Il balletto dei poveri esperti attorno a Trump, che non va contrariato sul virus

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Il presidente americano, Donald Trump, si è circondato in ritardo di una squadra di esperti per fronteggiare la pandemia, ma è una squadra che vive male il suo ruolo. Gli esperti sanno di essere obbligati a fare un balletto invisibile, devono dare istruzioni e fornire indicazioni ma senza contraddire il capo anche se dice una bestialità dietro l’altra. Se si mettono troppo in contraddizione finiscono schiacciati, perché Trump non tollera di essere smentito e quindi reagisce male senza curarsi del fatto che è in corso la più grave crisi sanitaria della storia recente. Se invece non si fanno avanti e non dicono cosa occorre fare rischiano che questa crisi diventi ancora più grave di quanto non sia già – gli Stati Uniti sono primi al mondo per numero di contagi e di morti, e non perché siano grandi ma perché per settimane la diffusione del contagio è stata ignorata dall’Amministrazione. Il più bravo in questo balletto finora è Anthony Fauci, il direttore del centro per le malattie infettive che in tempi di epidemia viene chiamato a fare da consulente alla Casa Bianca sin da quando c’era Reagan. Fauci è riuscito a far desistere Trump dalla riapertura a Pasqua, assieme ad altri fattori come i sondaggi negativi, ed è arrivato a un centimetro dal licenziamento senza però oltrepassare la linea. Un giorno in effetti Trump ha fatto il retweet di una tizia che chiedeva il licenziamento di Fauci e questo nella grammatica dell’Amministrazione equivale a un avviso di condanna, ma poi ha detto che no, non ci pensava nemmeno. Dall’altra parte della gamma troviamo il dottor Rick Bright, che dirige l’agenzia federale incaricata di trovare un vaccino contro il Covid-19 e questa settimana è stato rimosso e spostato a un incarico minore. Mercoledì Bright ha scritto una dichiarazione in cui accusa i suoi superiori di averlo rimosso perché si rifiutava di allocare risorse per lo studio dell’idrossiclorochina, che Trump crede sia un rimedio efficace contro il virus. “Penso che il trasferimento sia avvenuto in risposta alla mia insistenza sul fatto che il governo dovrebbe investire i miliardi di dollari concessi dal Congresso per fronteggiare la pandemia con soluzioni verificate dalla scienza e non con sostanze senza merito scientifico. Ho deciso di fare questa dichiarazione perché la scienza, non la politica o il clientelismo, deve guidare la lotta contro il virus”. Povero dottor Bright, finito nel tritatutto trumpiano, quella colossale macchina di smaltimento che prima di lui ha neutralizzato avversari con la scorza molto più dura. Per di più Bright si è fatto rimuovere fuori tempo, perché ormai il presidente ha smesso di fare pubblicità all’idrossiclorochina come se fosse un rimedio miracoloso contro il virus, forse convinto anche da uno studio arrivato un paio di giorni fa dalla US Veterans Health Administration che dice che la sostanza alza il rischio di morte nei pazienti. E con il presidente anche i volti di Fox News che finora avevano spinto molto sull’idrossiclorochina come la soluzione della crisi hanno smesso di colpo di parlarne. Su tutti Laura Ingraham, che aveva descritto il medicinale come un “game changer”, qualcosa capace di imprimere una direzione diversa alla crisi. Perché l’establishment medico e la sinistra si ostinano a negare gli effetti dell’idrossiclorochina? chiedeva la Ingraham con sdegno. Perché ti uccide, era la risposta. Il 26 febbraio era toccato a Nancy Messonnier, capo del reparto malattie respiratorie del Centro per la prevenzione delle malattie, quindi una delle persone più qualificate a parlare di Covid-19 e per questo chiamata alla Casa Bianca, a rischiare il posto. In conferenza stampa aveva detto che la sua agenzia si stava preparando all’arrivo della pandemia e la Borsa era crollata. Trump, che in quel momento era in volo di ritorno da un viaggio in India, al telefono con il responsabile della campagna anti epidemia Alex Azar minacciò di licenziarla. La Messonnier poi non fu licenziata, ma Azar fu messo da parte e il suo ruolo passò al vicepresidente Mike Pence. La rabbia di Trump per quella uscita (peraltro inappuntabile) inceppò l’Amministrazione, secondo una lunga ricostruzione fatta dal New York Times, e il presidente aspettò fino al 16 marzo per parlare di distanziamento sociale. Quando due giorni fa la dottoressa Deborah Birx, che assieme a Fauci è il volto più noto della squadra di esperti, ha detto che in Georgia “la gente saprà trovare metodi creativi per farsi tatuaggi e andare dal parrucchiere rispettando la distanza di sicurezza”, a molti è sembrato un cedimento troppo impaurito al solito balletto per non indispettire il presidente. Brian Kemp, governatore trumpiano della Georgia, ha detto che da oggi lo stato riapre. Ma è un annuncio che persino Trump ha poi definito prematuro.

Daniele Raineri – Il Foglio – 24 aprile 2020

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Domandine a Di Maio

Questa è una richiesta cortese di chiarimenti al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rappresentante carismatico di un partito che ha fatto campagne “a favore della trasparenza” e contro “lo spreco di denaro pubblico”. La sera di domenica 22 marzo il ministro era all’aeroporto militare di Pratica di Mare, poco a sud di Roma, per accogliere il primo di nove voli militari provenienti dalla Russia con a bordo un carico di soldati, di mezzi e di aiuti sanitari. Il quotidiano La Stampa sostiene che il ponte aereo è stato pagato dall’Italia mentre Sputnik, che è un organo di informazione del governo russo, quel giorno scrisse che “le operazioni di invio degli aiuti russi all’Italia sono a carico del Ministero della Difesa russo”. Si trattava di nove aerei da trasporto Ilyushin-76 che partirono nel primo pomeriggio dall’aeroporto militare Chkàlovsky di Mosca, seguirono una rotta anomala per non passare sopra all’Europa orientale e quindi volarono sopra Turchia, Grecia e Albania prima di arrivare in Italia. Almeno cinque ore di volo all’andata e altrettante al ritorno. Secondo gli esperti sentiti dal Foglio, il costo dell’operazione è superiore al mezzo milione di euro almeno (e stiamo prendendo per buona la più bassa delle stime perché, appunto, non ci sono dati pubblici). E’ possibile sapere chi ha pagato quel mezzo milione di euro? E se la cifra non è esatta, quanto è stato il costo reale? C’è da notare che una settimana dopo l’Albania ha mandato in Lombardia una squadra di trenta medici e infermieri – lo stesso numero mandato dai russi – e si è fatta carico di tutti i costi, come risulta da un atto ufficiale del governo albanese del 27 marzo 2020. Seconda domanda. I militari russi operano in Lombardia e sono alloggiati nell’aeroporto militare di Orio al Serio, dove gli aerei Ilyushin-76 possono atterrare. I militari russi invece sono atterrati nel Lazio e poi il giorno dopo sono partiti in convoglio verso il nord del paese con le bandiere al vento – ci sono ragioni logistiche specifiche oppure l’aeroporto di Pratica di Mare vicino a Roma era considerato una cornice migliore per l’arrivo degli aiuti, che fu trasmesso in diretta? Terza domanda, che rischia molto di essere retorica. La parte più pesante del carico dei nove aerei russi erano i mezzi militari della missione, che possiamo dividere in tre categorie. Camion telonati per il trasporto truppe, camion con uno shelter di alluminio – probabilmente per contenere i laboratori – e autobotti per le procedure di disinfezione. In Italia non ci sono abbastanza autobus per trasportare 104 militari russi a destinazione? E non ci sono autobotti a sufficienza – al punto che dobbiamo importarle dalla Russia con aerei cargo? Gli asset militari spostati con grande movimento di mezzi da Mosca a Roma non sono già a disposizione in gran numero in Italia? Quarta domanda. La sera di sabato 21 marzo l’agenzia russa Tass raccontò della telefonata fra il presidente russo Vladimir Putin e il premier italiano Giuseppe Conte. Il russo secondo il testo della Tass confermò la propria disponibilità ad aiutare l’Italia. Il comunicato specifica che la telefonata fu chiesta “dalla parte italiana”: volevano che si capisse che c’era stato un invito ufficiale da parte dell’Italia. Ma il giorno dopo nel primo pomeriggio all’aeroporto Chkàlovsky si vedono i camion salire a bordo degli aerei e hanno già gli adesivi con il logo della missione e lo slogan “Dalla Russia con amore” tradotto in tre lingue. E’ come se la missione fosse stata preparata dai russi con molto più anticipo di quel che sappiamo in via ufficiale ed è come se la notizia della richiesta al telefono di Conte fosse soltanto una formalità necessaria – del resto nove aerei militari russi si preparavano ad atterrare in Italia, ci voleva un assenso netto. Da chi è partita la proposta di mandare una missione militare russa con scopi umanitari in Italia? Da Mosca oppure dall’Italia? La pandemia ha travolto la vecchia idea di normalità, ma un convoglio militare russo che atterra nel Lazio per dirigersi nel nord dell’Italia è un fatto spettacolare e anomalo – e non si è visto in nessuno degli altri paesi europei colpiti dal virus. Così spettacolare da rischiare di diventare un’operazione di propaganda politica, perdipiù a spese nostre, in particolare mentre il paese ha un rapporto difficile con l’Europa e l’idea stessa di Unione europea è messa in crisi dalle conseguenze pesantissime delle misure adottate per frenare il virus. Per questo occorre capire bene i contorni dell’operazione – grazie alle risposte che eventualmente arriveranno, in nome della trasparenza.

Daniele Raineri – Il Foglio – 18 aprile 2020

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Modello California

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Nella “culture war” americana tra i trumpiani che per istinto si ribellano alle misure restrittive e i democratici che seguono l’approccio razionale alla lotta contro la pandemia, l’esempio positivo è la California. E’ stato uno dei primi stati a scoprire casi positivi di Covid-19, ha una popolazione enorme e una megalopoli come Los Angeles, è molto esposta al traffico internazionale – che porta contagiati – ma per ora è uno degli stati che se la cava meglio. E l’avanguardia di questo cavarsela meglio del resto degli Stati Uniti è San Francisco, dove la donna sindaco London Breed è stata la prima a intuire il pericolo e a ordinare misure di distanziamento sociale (è democratica e con un legame politico stretto a Kamala Harris, ex candidata nelle primarie democratiche). Quando a marzo ha deciso che non ci dovevano essere più assembramenti con più di mille persone ha messo in crisi la NBA, che poco dopo – anche per la scoperta del primo giocatore positivo – ha deciso di chiudere e ha trascinato tutti gli altri sport americani a fare lo stesso. Da gennaio Breed ha chiesto ai suoi specialisti di seguire la crisi a Wuhan e quando si è sentita dire che la stessa cosa sarebbe potuta succedere anche a San Francisco e che non ci sarebbe stato abbastanza posto per tutti negli ospedali è entrata in uno stato di allerta permanente. Ha spostato tutti gli uffici municipali in un centro molto più ampio dove si può lavorare senza stare a stretto contatto, ha obbligato tutti a mettere le mascherine e ha sfidato tutte le voci contrarie che chiedevano di non fermare la città per non danneggiare troppo gli affari. Il 17 marzo ha dato l’ordine di chiudere i negozi e ha dato il via alla fase “stay home” di San Francisco, quando in città c’erano meno di cinquanta casi confermati di coronavirus, e il governatore della California, Gavin Newsom, l’ha seguita pochi giorni dopo. Quel giorno, nota il sito della rivista Atlantic che le ha dedicato un lungo ritratto, a New York c’erano già duemila casi di coronavirus ma il sindaco Bill De Blasio e il governatore Andrew Cuomo hanno aspettato fino al 22 marzo per chiudere le scuole e per dare il via, con molta riluttanza, alla fase di isolamento sociale. I casi nel frattempo erano già diventati diecimila. Il risultato è che oggi tutti parlano di New York come di un caso catastrofico e nessuno di San Francisco e della California, dove la curva dei contagi è molto lenta e piatta. La differenza tra la California e New York, le due grandi aree della costa dove gli elettori votano in maggioranza per i democratici complica l’immagine di un paese dove i trumpiani rifiutano in blocco le misure restrittive come un’offesa e i democratici cercano di affrontare la crisi con misure razionali. Inoltre nel ritratto dell’Atlantic c’è un passaggio interessante in cui gli esperti dicono che per ragioni geografiche a proteggere la California è stata anche la decisione dell’Amministrazione Trump di chiudere i voli dalla Cina a gennaio, mentre New York è rimasta più esposta all’ondata di contagio dall’Europa – che ha continuato ad arrivare sui voli che attraversavano l’Atlantico. La California ha adottato alcune misure che suonano molto innovative nella lotta americana alla pandemia. C’è un programma pilota a San Francisco per creare un battaglione di tracciatori che si occuperà di parlare con i positivi al tampone e di ricostruire a ritroso tutti i loro contatti recenti, in modo da avvertirli e da chiedere loro di fare il tampone e, nel caso di mettersi in isolamento. E’ lo stesso compito che in molti paesi dovrebbe essere affidato in teoria a una app sui telefonini, ma in California e in alcuni altri stati pionieri hanno deciso che il contatto umano era meglio, perché la gente tenderà di più a fidarsi della procedura se c’è qualcuno che ti consiglia cosa fare – e non un programma sul telefonino. A San Francisco ci sono circa 250 persone coinvolte nel programma, ma il professore George Rutherford, un esperto in malattie infettive che lo dirige, dice che in California serviranno tra le 30 mila e le 40 mila persone. Suona come un’operazione costosa, avverte, ma l’alternativa è fare così oppure fermare l’economia. L’altra innovazione in California è un assegno di 500 dollari agli immigrati senza documenti, che non sono coperti dal piano nazionale di aiuti e assistenza. Lo scopo è non creare una parte invisibile della popolazione che continua a esporsi al contagio per sopravvivere oppure tenta metodi disperati.

Daniele Raineri – Il Foglio – 17 aprile 2020

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