La bufala delle riforme del governo Meloni

Si accettano scommesse che il progetto riformistico dell’esecutivo a guida Giorgia Meloni si arenerà e per una serie di ostacoli, diciamo, così, insormontabili. Appare di tutta evidenza che i tre partiti che formano la maggioranza di governo hanno fatto uno scambio: tu dai una legge a me (il federalismo caro alla Lega di Salvini), e io dò una legge a te (il premierato fortemente preteso da Fratelli d’Italia della Meloni) e noi (Lega e FdI) diamo una legge a te, Forza Italia con segretario Tajani (la riforma della giustizia preparata in gran fretta da Carlo Nordio.  Piccolo particolare, generalmente se un partito politico (è quasi sempre stato così) vuole che una sua proposta legislativa dirompente, come quelle dianzi citate, vengano approvate dai due rami del Parlamento, uno ha l’obbligo (uno) di cercare coinvolgere frange dell’opposizione per avere un’ampio consenso sul testo che porta in aula e (due) non deve ricorrere al voto di fiducia. Scelte queste che questo esecutivo tende a non fare. Il rischio è di infrangersi contro un muro invalicabile, così come è accaduto a Silvio Berlusconi nei primi anni duemila e, più di recente al povero Matteo Renzi (2016). E questo perchè la gente (l’elettore stupido non è) e quando individua delle forzature in un testo di legge che, se approvato in via definitiva, rischia di peggiorare la sua visione della Carta fondamentale riformata da un governo che, sostanzialmente, non rappresenta la maggioranaza dell’elettorato. A votare ci vanno sempre meno elettori, quindi… Per riforme di questo calibro ci vorrebbe un ampio consenso che non è assolutamente dato. Queste considerazioni sono presenti tra i membri dei tre partiti che formano la maggioranza di governo. Sarebbe stato auspicabile un confronto serrato, e pubblico, sui temi in discussione, ma la Meloni e la Lega hanno preferito imporre il proprio particolare punto di vista. Il terzo partito, Forza Italia, ha cercato, anche se in maniera blanda, di prendere le distanze da alcune posizioni radicali (si consideri le riserve di Occhiuto, presidente della Calabria e anche dello stesso vice presidente del Consiglio Antonio Tajani). per quanto riguarda, in particolare, la riforma del premierato, che consentirebbe al capo dell’esecutivo di fare e disfare il governo in carica quasi a suo piacimento. Il che non esiste in una democrazia compiuta…

Ha scritto il prof. Angelo Panebianc, politologo, sul Corriere della Sera del 6 novembre dello scorso anno un severo ammonimento che dovrebbe essere accolto dalla nosrta premier: “Se non ti chiami Charles de Gaulle, se non vuoi suicidarti politicamente e se vuoi sul serio cambiare la forma di governo, devi ottenere il consenso di una parte significativa dell’opposizione. La riforma potrebbe nascere solo grazie a un «patto costituzionale» fra la maggioranza e, quanto meno, una frazione quantitativamente rilevante degli oppositori parlamentari’’.

La riforma è poi una bufala: non offre nessun potere in più agli elettori, né da maggiori garanzie di stabilità ai governi “eletti dal popolo”. Perché la scelta del candidato a cui affidare il Governo e la sua stabilità non dipendono dalle regole costituzionali, ma dal gioco dei partiti. E’ la compattezza della coalizione a prospettare agli elettori il candidato a presiedere il governo; è la compattezza politica della coalizione a garantire la stabilità del governo. Il resto sono bufale.

Il federalismo proposto da Calderoli sembra una boiata incredibile. Si rifletta un attimo su un punto. Per assurdo ipotizziamo che la riforma venga confermata dal referendum, per cui si stanno già raccogliendo le firme. Ebbene, sono ben 23 le competenze che potrebbero rivendicare le regioni. Quali sono queste competenbze?

Tra le materie di autonomia differenziata ci sono tra le altre: tutela della salute, Istruzione, Sport, Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio con l’Estero. Quattrodici sono le materie definite dai Lep, Livelli Essenziali di Prestazione.

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