Pd, richieste le dimissioni a Cofferati. Perché non a Migliore?

Perché la stessa richiesta il premier non la rivolge, tra gli altri, ad Andrea Romano e Gennaro Migliore anziché al solo Sergio Cofferati? Il presidente del Consiglio dei ministri, nonché segretario del partito democratico, Matteo Renzi, ha pubblicamente chiesto all’ex leader della Cgil, Sergio, visto che ha abbandonato il partito che ha contribuito a fondare, di dimettersi dal parlamento europeo. Il ragionamento non fa una grinza. Debora Serracchiani, vice segretario del Pd nonché governatrice della regione Friuli Venezia Giulia, ha maliziosamente insinuato (sbagliando) che Cofferati è fuoriuscito dal Pd perché aveva perso le primarie liguri con la renziana Paita. Niente di più falso: Cofferati aveva già precedentemente avvertito i massimi dirigenti del suo partito di quel che stava accadendo in Liguria, accennando a gravi questioni di etica nella politica, con la presenza di loschi figuri nelle settimane e nei giorni immediatamente precedenti la consultazione. Dal punto di vista di chi detiene saldamente il potere è comprensibile la voglia di liberarsi di tutti coloro che possono porre degli ostacoli, dei problemi all’esercizio di questo potere. Chi è che gestisce in modo arbitrario questo potere siede nello scranno di Palazzo Chigi, il quale appare sufficientemente disinvolto nella gestione dell’attività di governo. Cofferati in questo momento storico (per l’ansiogeno delle riforme Matteo Renzi) è obiettivamente di grande ostacolo, anche, e soprattutto, per il carisma di cui gode. Si potrebbe aderire alla sollecitazione del duo Renzi-Serracchiani se analoghe pretese venissero rivolte a tutti quei deputati e senatori, sembra che superino il numero di 180, che in questo breve scorcio di legislatura hanno cambiato vessillo, o per meglio dire, si sono intruppati nel grande raggruppamento dei Voltagabbana. Il che porta a ritenere che i Parlamento dovrebbe essere mandato a casa.

Scelta Civica non esiste più, Il Pdl ha perduto dei pezzi ed è diventato Forza Italia, il Movimento 5 Stelle si sta frantumando (per colpa di Grillo e Casaleggio o altre motivazioni, non importa), è nato il Nuovo Centro Destra di Alfano, Quagliarello, Schifani e Lupi, Migliore di Sel è transitato nelle file del Pd, si potrebbe, e si dovrebbe, andare subito ad elezione per capire l’umore del popolo italiano-.

Se Cofferati abbandona il Pd deve lasciare lo scranno europeo, se Andrea Romano passa da Scelta Civica al Pd è tutto ok,  se Vincenzo D'Anna abbandona Fi e si intruppa nel Gal, va bene a Renzi. Per fare solo qualche nome, qualche voltagabbana.  C’è una evidente stortura in questi atteggiamenti incongruenti. Il nostro è un Parlamento di voltagabbana quello in carica. A rivelarlo è l'associazione Openpolis, che si occupa di accesso alle informazioni pubbliche, in uno studio ripreso dal quotidiano romano Il Tempo. Dice l'indagine che nella legislatura corrente, la XVII, al momento sono stati 155 i parlamentari "salterini". Per un totale di 187 cambi di gruppo, a testimonianza che c’è qualcuno molto indeciso che ha cambiato più di una volta. I cambia-casacca risultano sostanzialmente divisi a metà tra Camera e Senato: 76 a 79. E se le fronde (quella dei fittiani in FI e della sinistra Pd) dovessero sfociare in scissioni, i numero schizzerebbero alle stelle. Numeri elevati in specie se messi a confronto con quelli della scorsa legislatura, quella in cui si verificò la traumatica spaccatura del Pdl con l’uscita dei finiani, quando erano stati 160 i parlamentari che avevano cambiato gruppo: 120 alla Camera e 60 al Senato. Scendendo nei dettagli, dal rimescolamento guadagna il Pd, con 18 parlamentari approdati a Largo del Nazareno. Senza considerare le varie scissioni maturate in questa legislatura, come quella tra Forza Italia ed Ncd e quella tra Scelta Civica e popolari per l’Italia, in senso inverso risalta il -19 (5 a Montecitorio e 14 a Palazzo Madama) del Movimento Cinque Stelle, frutto delle espulsioni decise dal leader maximo Beppe Grillo e delle uscite legate ai maldipancia grillini. Sarebbe più che mai indispensabile se si affrontasse il problema e si obbligasse il parlamentare che vuole abbandonare uno schieramento politico (naturalmente deve essere libero di farlo) di lasciare anche lo scranno occupato vuoi a Montecitorio, vuoi a Palazzo Madama o nei consigli regionali o comunali nelle cui file è stato eletto (o nominato). Prendersela con il povero Cofferati che sembra che abbia delle ragioni da vendere nelle sue lamentazioni. Renzi se ne faccia una ragione.

Marco Ilapi

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