Italia, la piccola “provincia” che balla tra Cina e Usa

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Sabino Cassese, un grande costituzionalista, qualche settimana fa in un’intervista, ha fatto comprendere che nella stessa Costituzione italiana c’è la possibilità di un passaggio al presidenzialismo, un grande analista politico come Marcello Sorgi fa notare che, al di là dei referendum renziani bocciati, un presidenzialismo di fatto esiste sin dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro. Il commento di Gianluigi Da Rold su il Sussidiario.

L’Italia parla di presidenzialismo, ma l’Asia ribolle

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Il difficile slalom sul Mes

Per quanto doveroso, alle soglie dell'ottava settimana di emergenza in cui il Parlamento è stato tenuto ai margini di ogni decisione e consultato giusto il necessario, il dibattito di ieri al Senato e alla Camera è stato inutile. L'assenza del voto lo ha smosciato; dando modo a Conte, alla sua maniera, con le sue cautele, di far capire alla maggioranza, in particolare al Movimento 5 Stelle, e alle opposizioni, che c'è poco da scherzare: l'Italia si sta avviando in modo "omogeneo", cioè uguale per tutti, alla riapertura dopo il "lockdown".
E non potrà contare prima di giugno, se tutto andrà bene, su un vero piano di aiuti europei deciso a livello di Unione. La commedia sul Mes è finita: il contestato fondo salva-Stati da cui il governo potrebbe ricavare 36 miliardi come pronto soccorso, a condizioni vantaggiose e senza rischi di trovarsi commissariato dai severi ispettori di Bruxelles, sarà nei prossimi mesi l'unica risorsa a cui attingere. Chi continua a essere contrario dovrà spiegarlo a un Paese che ha davanti i problemi di una ricostruzione simile a quella del Dopoguerra.
D'altra parte il Mes e la riapertura sono stati finora giocati soprattutto in chiave di politica interna. Le opposizioni - non tutte, dal momento che anche ieri Forza Italia si è distinta da Lega e FdI - hanno sperato fino all'ultimo che Conte andasse a schiantarsi, prima sulla gestione della terribile emergenza con cui sta facendo i conti, poi su quella del dopo, che richiederà sforzi e capacità fuori dal normale. In entrambi i casi - va detto - Conte ha fatto quel che ha potuto, camminando sull'orlo di un baratro da cui non è ancora riuscito ad allontanarsi. Il resto lo ha aggiunto il fallimento di quella "cabina di regia" perorata invano dal Quirinale, per spingere Salvini e Meloni a un maggior senso di responsabilità e a una più fattiva condivisione delle scelte complicate che ci attendono. Un fallimento, non va dimenticato, in cui sia il premier, sia i due leader della destra, ci hanno messo del loro.
Con il risultato che adesso l'Italia si avvia sul percorso in salita della cosiddetta ripresa della normalità - se tornerà, come c'è da augurarsi - in condizioni di agibilità politica peggiori di quelle in cui era entrata nell'emergenza. Al Consiglio europeo di domani Conte dovrà ricorrere alle sue migliori doti diplomatiche per non restare isolato: sempre più azzardata, infatti, è apparsa la durezza con cui ha condotto fin qui il negoziato, minacciando di ricorrere al veto per sollecitare un'Europa evidentemente in difficoltà, per la spaccatura tra Nord e Sud sul tema degli eurobond. Il fondo comune per la ricostruzione verrà, nella migliore delle ipotesi, alla fine della lunga istruttoria che attraverso l'Eurogruppo e il vertice di domani, e grazie all'abituale interlocuzione di Francia e Germania, consentirà alla Commissione di vararlo, e vedremo in che modo. Intanto, Conte, che si accinge a varare un nuovo decreto da 50 miliardi, farebbe bene a non farsi sfuggire l'occasione del Mes. Avviandosi alla riapertura del 4 maggio con i dovuti scongiuri, e nella speranza che le Regioni smettano di farsi la guerra e perpetuare l'immagine di un Paese afflitto dalle sue risse, oltre che dai suoi guai.

Marcello Sorgi - La Stampa -  22 aprile 2020

 

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Il premier stretto tra M5S e Pd

Come fosse fischiata l'ora d'aria, la politica italiana d'improvviso s'è risvegliata, nel cortile della prigione del silenzio a cui da due mesi la costringe il coronavirus. Dopo gli scontri nel dibattito al Senato sul decreto per i primi aiuti urgenti, ieri l'accordo maturato nella notte all'Eurogruppo ha fatto aprire le cateratte: sembra di essere tornati all'inutile, quotidiano flusso di polemiche, quasi fossimo fuori da un'emergenza, che invece, purtroppo, continua.
Colpiscono, non tanto gli attacchi di Salvini e Meloni, induriti dalla fine del confronto con il governo sulle misure da prendere. Piuttosto i movimenti interni alla maggioranza giallo-rossa, con Conte in mezzo e margini di manovra sempre più risicati. Semplificando, nella difficile trattativa a livello europeo che ha occupato il primo mese del lockdown, mentre il virus piegava uno dopo l'altro i maggiori partner dell'Unione, si è assistito, non solo a un duro braccio di ferro tra Europa del Nord e del Sud sul tema dei coronabond, cioè del tasso di solidarietà indispensabile in un frangente che sta mietendo vittime a migliaia.
Ma anche a un confronto serrato e non privo di colpi bassi tra l'anima europeista del Pd, rappresentata ai suoi più alti livelli dal ministro dell'Economia Gualtieri e dal commissario per gli Affari economici Gentiloni, e quella euroscettica dei 5 Stelle, a cui Di Maio ha dato un appoggio altalenante. E che nella notte dell'accordo all'Eurogruppo è sfociata in un documento delirante, in cui più o meno con gli stessi argomenti di Lega e Fd'I si accusa il governo, e sostanzialmente Conte, di aver svenduto l'Italia sull'altare del Mes, il fondo salva Stati per partner dell'Unione con conti dissestati, esponendola al rischio di dover essere sottoposta a un sistema di controlli tipo quello della Grecia di cinque anni fa.
Un pericolo come questo, non varrebbe neppure la pena di precisarlo, non esiste. L'adesione al Mes, infatti, è volontaria e l'Italia non ne ha fatto richiesta. E uno dei pochi risultati concreti dell'Eurogruppo è stato di rendere il Mes libero dalle "condizionalità", cioè dai controlli, per quei Paesi, come la Spagna, che intendano servirsene, sia pure limitatamente ai costi dell'emergenza sanitaria. L'Italia da questa sessione europea esce battuta sui coronabond, insieme con gli altri membri dell'Europa meridionale, visto che non c'è stato verso di convincere l'Olanda ad accettare il criterio di una condivisione delle garanzie di un'eventuale emissione di obbligazioni legata all'emergenza. Ma tra acquisti di titoli promessi dalla Bce, intervento della Bei, nuovo fondo Sure e, se ci si arriverà, ulteriore fondo dedicato, Conte e il governo non hanno proprio da lamentarsi, se non della sciagura che ha colpito il Paese. A novembre non sapevano come trovare tredici miliardi per evitare gli aumenti dell'Iva, adesso gli stessi miliardi li contano a centinaia, e speriamo sappiano farne buon uso.
Eppure il contegno del premier, nel giro che s'è appena chiuso, è sembrato più preoccupato del gioco di sponda con le posizioni euroscettiche del Movimento 5 Stelle, che non della necessaria equidistanza tra i due maggiori alleati della coalizione. Lo conferma l'insistenza con cui nella conferenza stampa serale ha insistito sulle critiche al Mes e sulla necessità degli Eurobond, fatta salva una solidarietà di prammatica con Gualtieri. Inoltre, se atteggiamenti del genere dovevano servire a tenere tranquilli Di Maio e i grillini, non sono bastati, come prova il siluro anti-europeo che dal fronte pentastellato è stato sganciato nella notte di mercoledì contro Palazzo Chigi.
In altre parole, la situazione è tornata più o meno a gennaio: quando dentro il M5S montava l'avversione contro Conte e l'alleanza con il Pd, Di Maio, ancora capo politico, ne pagava le spese ogni giorno e la convivenza tra la fazione parlamentare filogovernativa e quella nostalgica dell'asse con Salvini si faceva sempre più difficile. Allora furono le dimissioni del capo politico a evitare una scissione del Movimento, che sembrava possibile. Il ruolo di Di Maio funzionò da fusibile, per evitare il corto circuito. Ma adesso che Conte si avvia in prima persona a gestire la trattativa al prossimo Consiglio europeo, di quale autonomia potrà realmente avvalersi? E cosa sarà della sua testa?

Marcello Sorgi – La Stampa – 11 aprile 2020

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