Il premier stretto tra M5S e Pd

Come fosse fischiata l'ora d'aria, la politica italiana d'improvviso s'è risvegliata, nel cortile della prigione del silenzio a cui da due mesi la costringe il coronavirus. Dopo gli scontri nel dibattito al Senato sul decreto per i primi aiuti urgenti, ieri l'accordo maturato nella notte all'Eurogruppo ha fatto aprire le cateratte: sembra di essere tornati all'inutile, quotidiano flusso di polemiche, quasi fossimo fuori da un'emergenza, che invece, purtroppo, continua.
Colpiscono, non tanto gli attacchi di Salvini e Meloni, induriti dalla fine del confronto con il governo sulle misure da prendere. Piuttosto i movimenti interni alla maggioranza giallo-rossa, con Conte in mezzo e margini di manovra sempre più risicati. Semplificando, nella difficile trattativa a livello europeo che ha occupato il primo mese del lockdown, mentre il virus piegava uno dopo l'altro i maggiori partner dell'Unione, si è assistito, non solo a un duro braccio di ferro tra Europa del Nord e del Sud sul tema dei coronabond, cioè del tasso di solidarietà indispensabile in un frangente che sta mietendo vittime a migliaia.
Ma anche a un confronto serrato e non privo di colpi bassi tra l'anima europeista del Pd, rappresentata ai suoi più alti livelli dal ministro dell'Economia Gualtieri e dal commissario per gli Affari economici Gentiloni, e quella euroscettica dei 5 Stelle, a cui Di Maio ha dato un appoggio altalenante. E che nella notte dell'accordo all'Eurogruppo è sfociata in un documento delirante, in cui più o meno con gli stessi argomenti di Lega e Fd'I si accusa il governo, e sostanzialmente Conte, di aver svenduto l'Italia sull'altare del Mes, il fondo salva Stati per partner dell'Unione con conti dissestati, esponendola al rischio di dover essere sottoposta a un sistema di controlli tipo quello della Grecia di cinque anni fa.
Un pericolo come questo, non varrebbe neppure la pena di precisarlo, non esiste. L'adesione al Mes, infatti, è volontaria e l'Italia non ne ha fatto richiesta. E uno dei pochi risultati concreti dell'Eurogruppo è stato di rendere il Mes libero dalle "condizionalità", cioè dai controlli, per quei Paesi, come la Spagna, che intendano servirsene, sia pure limitatamente ai costi dell'emergenza sanitaria. L'Italia da questa sessione europea esce battuta sui coronabond, insieme con gli altri membri dell'Europa meridionale, visto che non c'è stato verso di convincere l'Olanda ad accettare il criterio di una condivisione delle garanzie di un'eventuale emissione di obbligazioni legata all'emergenza. Ma tra acquisti di titoli promessi dalla Bce, intervento della Bei, nuovo fondo Sure e, se ci si arriverà, ulteriore fondo dedicato, Conte e il governo non hanno proprio da lamentarsi, se non della sciagura che ha colpito il Paese. A novembre non sapevano come trovare tredici miliardi per evitare gli aumenti dell'Iva, adesso gli stessi miliardi li contano a centinaia, e speriamo sappiano farne buon uso.
Eppure il contegno del premier, nel giro che s'è appena chiuso, è sembrato più preoccupato del gioco di sponda con le posizioni euroscettiche del Movimento 5 Stelle, che non della necessaria equidistanza tra i due maggiori alleati della coalizione. Lo conferma l'insistenza con cui nella conferenza stampa serale ha insistito sulle critiche al Mes e sulla necessità degli Eurobond, fatta salva una solidarietà di prammatica con Gualtieri. Inoltre, se atteggiamenti del genere dovevano servire a tenere tranquilli Di Maio e i grillini, non sono bastati, come prova il siluro anti-europeo che dal fronte pentastellato è stato sganciato nella notte di mercoledì contro Palazzo Chigi.
In altre parole, la situazione è tornata più o meno a gennaio: quando dentro il M5S montava l'avversione contro Conte e l'alleanza con il Pd, Di Maio, ancora capo politico, ne pagava le spese ogni giorno e la convivenza tra la fazione parlamentare filogovernativa e quella nostalgica dell'asse con Salvini si faceva sempre più difficile. Allora furono le dimissioni del capo politico a evitare una scissione del Movimento, che sembrava possibile. Il ruolo di Di Maio funzionò da fusibile, per evitare il corto circuito. Ma adesso che Conte si avvia in prima persona a gestire la trattativa al prossimo Consiglio europeo, di quale autonomia potrà realmente avvalersi? E cosa sarà della sua testa?

Marcello Sorgi – La Stampa – 11 aprile 2020

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