Il difficile slalom sul Mes

Per quanto doveroso, alle soglie dell'ottava settimana di emergenza in cui il Parlamento è stato tenuto ai margini di ogni decisione e consultato giusto il necessario, il dibattito di ieri al Senato e alla Camera è stato inutile. L'assenza del voto lo ha smosciato; dando modo a Conte, alla sua maniera, con le sue cautele, di far capire alla maggioranza, in particolare al Movimento 5 Stelle, e alle opposizioni, che c'è poco da scherzare: l'Italia si sta avviando in modo "omogeneo", cioè uguale per tutti, alla riapertura dopo il "lockdown".
E non potrà contare prima di giugno, se tutto andrà bene, su un vero piano di aiuti europei deciso a livello di Unione. La commedia sul Mes è finita: il contestato fondo salva-Stati da cui il governo potrebbe ricavare 36 miliardi come pronto soccorso, a condizioni vantaggiose e senza rischi di trovarsi commissariato dai severi ispettori di Bruxelles, sarà nei prossimi mesi l'unica risorsa a cui attingere. Chi continua a essere contrario dovrà spiegarlo a un Paese che ha davanti i problemi di una ricostruzione simile a quella del Dopoguerra.
D'altra parte il Mes e la riapertura sono stati finora giocati soprattutto in chiave di politica interna. Le opposizioni - non tutte, dal momento che anche ieri Forza Italia si è distinta da Lega e FdI - hanno sperato fino all'ultimo che Conte andasse a schiantarsi, prima sulla gestione della terribile emergenza con cui sta facendo i conti, poi su quella del dopo, che richiederà sforzi e capacità fuori dal normale. In entrambi i casi - va detto - Conte ha fatto quel che ha potuto, camminando sull'orlo di un baratro da cui non è ancora riuscito ad allontanarsi. Il resto lo ha aggiunto il fallimento di quella "cabina di regia" perorata invano dal Quirinale, per spingere Salvini e Meloni a un maggior senso di responsabilità e a una più fattiva condivisione delle scelte complicate che ci attendono. Un fallimento, non va dimenticato, in cui sia il premier, sia i due leader della destra, ci hanno messo del loro.
Con il risultato che adesso l'Italia si avvia sul percorso in salita della cosiddetta ripresa della normalità - se tornerà, come c'è da augurarsi - in condizioni di agibilità politica peggiori di quelle in cui era entrata nell'emergenza. Al Consiglio europeo di domani Conte dovrà ricorrere alle sue migliori doti diplomatiche per non restare isolato: sempre più azzardata, infatti, è apparsa la durezza con cui ha condotto fin qui il negoziato, minacciando di ricorrere al veto per sollecitare un'Europa evidentemente in difficoltà, per la spaccatura tra Nord e Sud sul tema degli eurobond. Il fondo comune per la ricostruzione verrà, nella migliore delle ipotesi, alla fine della lunga istruttoria che attraverso l'Eurogruppo e il vertice di domani, e grazie all'abituale interlocuzione di Francia e Germania, consentirà alla Commissione di vararlo, e vedremo in che modo. Intanto, Conte, che si accinge a varare un nuovo decreto da 50 miliardi, farebbe bene a non farsi sfuggire l'occasione del Mes. Avviandosi alla riapertura del 4 maggio con i dovuti scongiuri, e nella speranza che le Regioni smettano di farsi la guerra e perpetuare l'immagine di un Paese afflitto dalle sue risse, oltre che dai suoi guai.

Marcello Sorgi - La Stampa -  22 aprile 2020

 

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