Juncker, confessa: nel 2011 l'Ue ha sbagliato tutto

Racconta Pier Luigi Bersani, l'ex segretario del Pd: «Ricordo ancora la direzione in cui posi i dirigenti del partito di fronte all'opzione governo Monti o elezioni. Mi trovai di fronte un fuoco di sbarramento di sei interventi di esponenti di primo piano che consideravano Monti una scelta obbligata. Poi c'era Napolitano... Da quel momento, tutte le settimane, per un anno, sono stato sottoposto ad un'esame di montismo. E anche se avevo qualche dubbio sull'efficacia della politica del loden, dovevo accettare l'impostazione di chi, per far dimenticare il proprio passato comunista, pensa sempre che abbiano ragioni gli altri. La verità è che in molti si ubriacarono di retorica europeista. Trasformarono un'idea buona, l'Europa unita, in un'ideologia...». Il commento di Augusto Minzolini su il Giornale.

Coming out di Bersani, Napolitano ci impose di accettare diktat Ue

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Messaggio ai politici: prendersi cura dell'Italia

Tornano in mente le parole che disse anni fa il geologo Annibale Mottana all’Accademia dei Lincei, davanti al presidente Giorgio Napolitano. Denunciava la cecità scellerata di chi per decenni aveva finto di non vedere quanto accadeva nella zona rossa vesuviana, sepolta sotto colate di pattume urbanistico come se il Vesuvio «fosse un monte» e non un vulcano attivo. E chiudeva appunto con quel monito: « Vi si chiederà: voi dov’eravate?». Una domanda da riproporre davanti a tanti lutti, disastri, problemi di questo 2018. L'editoriale di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera.

2018, annus horribilis, l'Italia nel degrado più totale

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Lo spread vola, è un ritorno al 2011?

Molti lo temono. Certo è che la manovra che sta predisponendo l’esecutivo gallo-verde sta incontrando critiche a non finire. Su più fronti, sia interno (la variegata opposizione rappresentata dal partito democratico guidato pro tempore da Maurizio Martina, da Forza Italia, da Liberi e Uguali e da Fratelli d’Italia), sia esterno, con quasi tutti i commissari europei, dal presidente Juncker al responsabile dell’economia Moscovici. Ognuno dice la sua. Certo è che i partiti al governo hanno alzato l’asticella del deficit non concordando preventivamente la manovra con Bruxelles, anzi, andando oltre quanto era stato generosamente concesso a Palazzo Chigi. L’obiettivo che il nostro Paese avrebbe dovuto perseguire è il pareggio di bilancio. Così non è  stato. In effetti Di Maio e Salvini si sono pervicacemente  intestarditi a cercare di dare ragione al proprio elettorato, proponendo misure che assai difficilmente l’esecutivo sarà in grado di garantire. O, per dirla tutta, sicuramente il Parlamento licenzierà la manovra così come proposta da M5S e Lega. Questo entro il 31 dicembre. Purtroppo i due capi popolo, entrambi vice presidenti del Consiglio, hanno fatto i conti senza l’oste. E quest’oste  è il mercato. Il detestato, disprezzato mercato. Già grandi banche d’affari hanno avvertito che qualora lo spread dovesse sfondare quota 400 si entrerebbe in una fase di grandissima fibrillazione. Con grande rischio di rivedere scene da panico modello Lehman Brothers o Grecia, con risparmiatori nel panico.

Sul quotidiano la Repubblica  Andrea Greco scrive che la riapertura dei mercati sta  avvenendo all’insegna del nervosismo, per i segnali che vengono dalla politica italiana e per le evidenze tecniche osservabili sul mercato secondario, dove gli investitori si scambiano titoli governativi. Il fine settimana è stato contrassegnato da una serie di segnali di fermezza da parte del governo, che non appare intenzionato – come ribadito dal leader dei Cinquestelle Luigi Di Maio – a mettere in discussione il livello di deficit, stimato al 2,4% del Pil l’anno prossimo, in violazione delle regole dell’Unione europea. E’ in atto uno scontro tra il governo Conte e l’Unione europea, che ha avviato l’iter verso la procedura di infrazione all’Italia, è benzina per le speculazioni del mercato: dove le vendite allo scoperto sul Btp, specie la scadenza più corta a 2 anni, stanno tornando ai livelli di metà maggio, quando la pubblicazione del Contratto di governo tra Lega e M5s portò il rischio Italia a quasi raddoppiare in poche settimane. Venerdì il differenziale tra Btp e Bund decennali tedeschi ha chiuso in lieve rialzo a 286 punti base, per un rendimento del titoli italiani pari al 3,435%. Nonostante siamo su livelli di spread non visti dal 2014, continua ad affollarsi la platea di operatori finanziari che prendono a prestito i titoli del Tesoro, tramite operazioni di rifinanziamento (nel gergo dette “repo”) e li vendono a scadenza: salvo riacquistarli sotto data a prezzo ribassato e lucrare sulla differenza. Una strategia finanziaria che crea turbolenza e nuoce al paese, anche perché chi la attua può usare una leva finanziaria tra le più alte: i fondi più piccoli 20-30 volte il capitale investito, i pesci grossi fino a 50 volte. Era tutto previsto e fa strano che un uomo avvertito come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e, soprattutto, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e Paolo Savona non abbiano messo sull’avviso Di Maio e Salvini che non si può lottare contro i mulini al vento, non avendo armi in grado di contrastare quel che Bruxelles ci impone di fare. Per essere più esaustivi, sarebbe stato probabilmente più tollerabile lo sforamento del tetto al deficit consentito (l’1,6% sul Pil) se anziché sfidare la Ue con la proposta di dare a milioni di persone, anche sicuramente bisognose e meritevoli, una decina di miliardi (che, poi, alla fine, si tratterà dell’ennesima mancia elettorale alla Matteo Renzi, giusto per ingraziarsi il proprio elettorato, quello del Sud, in particolare), la stessa somma fosse destinata, che so, ad avviare cantieri per mettere in sicurezza migliaia di edifici scolastici e, nel contempo, proporre una severa spending review, per recuperare le necessarie risorse per far fronte ai tanti problemi della nostra fragile Italia. Si pensi agli smottamenti di vaste aree nel Nord, al Centro e al Sud. Alle frequenti alluvioni. Ai ponti ed ai cavalcavia da controllare e mettere in sicurezza. Ai problemi di Genova, della Calabria, della Sicilia, dei territori colpiti dal terremoto. I due al governo (di Conte nessuno parla perché è come se fosse una figurina da esibire nei consessi internazionali, ma in realtà non conta nulla), parliamo di Di Maio e Salvini, stanno giocando d’azzardo. Così come d’azzardo stavano giocando nel funesto 2011 Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Con il risultato sotto gli occhi di tutti. L’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiamò al Quirinale il prof. Mario Monti, incaricandolo di prepararsi a prendere il posto di Berlusconi a Palazzo Chigi. Sotto la tempesta di uno spread volato a quote stellari (574 punti il 9 novembre sui bund tedeschi) il Cavaliere si arrese a consegnò lo scettro a Monti. Speriamo, e tocchiamo ferro, che non si arrivi più a quei livelli. C’è però da mandare un avviso ai naviganti: non si può combattere contro i mercati finanziari. Questi hanno nella loro mission anche la speculazione. Dicevano gli antichi romani che pecunia non olet. Cosa significa? Che se chi ha tanti soldi da investire può condizionare la vita di un Paese come l’Italia. Potrebbe, addirittura, causare problemi anche a governi come quello americano. Figuriamoci a quello nostrano. Salvini e Di Maio dovrebbero essere più responsabili e non fare battute che sanno di una vera e propria sfida.

Marco Ilapi, 17 ottobre 2018

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