Le fatiche di Matteo Sisifo

Come volevasi dimostrare, al di là delle belle intenzioni tese a costringere l’Unione Europea a mutare le sue linee di politica economica durante il tanto decantato semestre di presidenza italiana, il premier ha partorito un topolino. Sostiene di avere persuaso i tecnocrati di Bruxelles ad ammorbidire le rigidità che non hanno portato fuori dalla crisi l’Europa, che è in un continuo affanno, con i due fronti che propongono soluzioni antitetiche per stimolare la crescita, da una parte i Paesi nordici, dall’altra i Paesi sudisti, Italia e Grecia in testa. Gli Stati Uniti si sono lasciati alle spalle i periodi più bui del post Lehman Brothers, iniettando nel sistema economico centinaia di miliardi di dollari, grazie alle politiche espansive della Federal Reserve. Anche Giappone e Gran Bretagna si stanno riprendendo, segnando significativi trend di crescita. L’Europa arranca. La Grecia ridiventa mina vagante, soprattutto se alle prossime, imminenti, elezioni politiche dovessero prevalere Tsipras e gli schieramenti di sinistra. Renzi non è riuscito a mettere Jean Claude Juncker con le spalle al muro. Abbiamo perso sei mesi di inutili chiacchiere che non hanno certo portato a soluzione i sempre più gravi i problemi del Vecchio Continente. Parole, parole, parole. Risultati: disoccupazione crescente, debito pubblico in aumento, riforme ancora al palo. Se Berlusconi non ha tempestivamente compreso i prodromi del disastro che incombeva fin dal 2007; se il suo successore Monti non è riuscito a tirar fuori l’Italia dalle secche della crisi più terribile che si è abbattuta sul Bel Paese dal 1929; se Enrico Letta ha ugualmente fallito nell’impresa di cambiare le carte in tavola di un’economia in palese fase recessiva e se l’ex sindaco di Firenze, nonostante il suo entusiasmo pur contagioso (non bisogna dimenticare la pugnalata alle spalle del povero Letta che gli ha consentito di insediarsi a Palazzo Chigi in modo rocambolesco da far gridare allo scandalo), le sue slide e la sua tempistica sul progetto riformistico, ebbene c’è da notare che per adesso tutto è in alto mare. Nessuna riforma è andata ancora in porto, nonostante le mille promesse e assicurazioni renziane, il presidente della Repubblica si è stufato di questo andazzo e, al di là delle parole di circostanza, del tipo non c’erano alternative a Monti, Letta e Renzi, che lasciano il tempo che trovano, perché le alternative c’erano e ci sono tutt’oggi: immediata approvazione di una nuova legge elettorale che deve essere, tra l’altro, proposta dal parlamento e non dal governo e subito dopo elezioni anticipate. Si prenda un modello, quello tedesco, quello francese, quello inglese e finisca questa tiritera che procura soltanto del male all’Italia. Che continua a non essere ben governata. Anche Napolitano ha le sue responsabilità nell’essersi sempre intromesso nelle determinazioni dei diversi governi finendo per agevolare l’acuirsi della crisi anziché dare un contributo per la sua soluzione. I partiti, ovviamente, hanno grandi colpe da farsi perdonare. E’ vero che non si mangia con la legge elettorale, però quella italiana fa proprio schifo. E non è che l’Italicum sembra dia la sensazione di essere migliore del Porcellum di Calderoli. L’Italia è in panne. Ci vorrebbe una forte personalità alla Bergoglio per risalire la china, anzi dal precipizio i cui cattivi, anzi pessimi, governi ci hanno scaraventato. Le promesse del rottamatore fiorentino (e gli 80 euro al mese in busta paga dei lavoratori dipendenti …) hanno illuso gli italiani e a maggio gli è stato assicurato un tributo di consensi elevatissimo, il 40,8%. Il tempo non è tiranno e i nodi vengono al pettine. La squadra di governo è più che mediocre (si salvano solo Padoan, forse Delrio) e gli appuntamenti che ci attendono rischiano di aggravare ulteriormente i problemi del Paese: le riforme, l’elezione del successore di Giorgio Napolitano. Renzi si sta munendo di una buona scorta di amuleti, per non essere travolto e cacciare così il malocchio. Il sistema è in crisi e il premier non sta facendo molto ma così rischia moltissimo. Anche di essere cacciato da Palazzo Chigi.

Marco Ilapi

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