La partita di Renzi con il Pd e con il Paese

Renzi, segretario e premier, riscuote un notevole consenso nella pubblica opinione, è bravo, sa parlare, persegue e in parte attua riforme. La sua parola d'ordine è: "cambiamento". Governa da solo. Quest'ultimo particolare gli procura quella notevole fiducia di cui gode proprio perché molti italiani detestano i partiti e molti se ne infischiano perfino della democrazia. Dunque: scarsa fiducia al Pd, molta fiducia al premier. È un fatto strano? Certamente lo è, ma questa è la situazione. Del resto non è una novità, in Italia è avvenuto spesso e l'esempio più recente è stato Berlusconi: per vent'anni  -  sia pure con alcune interruzioni  -  ha avuto un consenso personale di massa. Nel suo caso il partito Forza Italia di fatto non esisteva sul territorio, non faceva quasi mai congressi, gli organi collegiali non avevano alcun peso, Berlusconi decideva tutto, consultando non più d'una dozzina di persone. (...) Dover gestire un partito o pezzi di partiti non è il forte di Renzi e mette comunque in discussione quel comandare da solo che sta bene a molti italiani ma non ai partiti che gli si oppongono in Parlamento né alla sua minoranza. Per questo ha abolito il Senato, dove elettoralmente non esiste il premio di maggioranza. Ha vinto per il rotto della cuffia riuscendo ad ottenere anche il voto della sua minoranza teoricamente dissidente ma di fatto consenziente avendo ottenuto molto poco in contropartita. L'editoriale di Eugenio Scalfari su la Repubblica.

L'Italia renziana non ha una marcia in più

Leggi tutto...

Il papocchio di Renzi alla prova del referendum

In un vecchio film interpretato da Alberto Sordi e intitolato Il marchese del Grillo Sordi recita un sonetto orecchiando il poeta romanesco che nei suoi versi principali suona così: "Io so io e voi nun sete un c... / sori vassalli buggeroni/ e zitto. / Io fo dritto lo storto e storto er dritto/ e la terra e la vita io ve l'affitto" (... ) È una buona riforma? Instaura il sistema monocamerale lasciando al nuovo Senato compiti territoriali. Naturalmente i poteri legislativi sono interamente della Camera, così come accade in quasi tutti i Paesi d'Europa. Ma - vedi caso - la nostra è di fatto una Camera di " nominati" dal governo, quindi i poteri legislativi sono di fatto nelle mani dell'esecutivo. L'editoriale di Eugenio Scalfari su la Repubblica.

Mi pare che si attaglia perfettamente al trasformismo italiano quando diventa autoritario.

Il nuovo Senato fa discutere e lo farà per gli anni a venire

Leggi tutto...

Riforme costituzionali, il referendum farà tremare il premier

Il governo è giustamente soddisfatto di avere fatto approvare, sia pure in maniera rocambolesca, il disegno di legge sulla riforma del Senato. Maria Elena Boschi esulta. Matteo Renzi fa compilare l’ennesimo tweet, dando la sensazione che la strada verso il definitivo approdo verso la terza Repubblica sia ormai in discesa. Errore che l’entourage che lo circonda e lo protegge dovrebbe indurlo ad una serena riflessione. Poniamo pure che i suoi progetti di stravolgimento della carta costituzionale vadano in porto, c’è un particolare da non sottovalutare: il referenum confermativo a cui oltre 44 milioni di italiani saranno chiamati a dare la propria valutazione. Ricordiamo che la Costituzione stabilisce l’obbligatorietà del referendum qualora non si sia raggiunta la maggioranza dei 2/3 dei componenti di Camera e Senato. Così recita la Costituzione:

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

C’è poco da scherzare o da gridare al successo dell’èquipe renziana. Con le maggioranze ridicole, nettamente inferiori a quelle che Palazzo Chigi riesce ad avere come supporto (patto del Nazareno prima, appoggio dei verdini ani oggi), non si a da nessuna parte. Il rischio è dell’ennesimo flop. Dopo l’insuccesso della devolution di Berlusconi-Bossi-Fini di dieci anni fa, sicuramente nel 2016 ci sarà un altro flop, quello di Matteo Renzi. Il popolo italiano si esprimerà in dissenso su una riforma variamente pasticciata e voterà no. Le provincie non sono state di fatto abolite. I politici di scuola renziana hanno aumentato il proprio potere di indirizzo, con la scelta degli uomini da mandare a prendere decisioni in ambito provinciale. Anche queste sono elezioni di secondo livello con esproprio della possibilità di scelta da parte dei cittadini. Inoltre alle nuove provincie sono state sottratte risorse. Si sta andando verso una ri-centralizzazione delle decisioni. Fa tutto Roma. Renzi avrebbe potuto percorrere un’altra strada, verso un federalismo caratterizzato su un minore numero di regioni (ha senso una regione come la Valle d’Aosta con poco più di 100 mila abitanti? O il Molise con soli 300mila abitanti? O la Basilicata con 500mila anime?). Si è discusso sovente di macroregioni. Lo stesso Roberto Maroni aveva promesso in occasione delle elezioni regionali lombarde l’istituzione di una macroregione comprendente Piemonte, Lombardia e Veneto. Grazie a quell’impegno è riuscito ad  insediarsi al Pirellone. Renzi avrebbe dovuto proporre una riforma dell’assetto regionalistico del paese. Quattro o cinque macroregioni, mantenimento delle provincie con qualche accorpamento, e la struttura federalista dell’Italia avrebbe potuto assumere una configurazione più agile (pensate, solo 4 o 5 governatori anziché venti, 4 o 5 consigli regionali anziché venti), i costi pubblici sarebbero calati immediatamente e in modo più rapido di quando non stia capitando con le  pasticciate riforme renziane. Probabilmente, anzi sicuramente, il nostro focoso premier avrebbe avuto il sostegno dell’opinione pubblica e quello della classe politica nel suo complesso. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Un ultima considerazione: l’attuale riforma l’avrebbe dovuta proporre il Parlamento e non subirla. Poi i ricatti lasciano il tempo che trovano. Il fatto che i verdiniani siano diventati determinanti per il raggiungimento del quorum necessario per il via libera, beh, fa nascere qualche sospettaccio. Non è che ci sia qualche Nazareno bis nascosto in qualche scartoffia racchiusa in un cassetto di Palazzo Chigi? Lo capiremo quando sarà indetto il referendum confermativo. Ricordiamoci che, promessa di Renzi-Boschi o meno, il referendum avrebbe avuto ugualmente luogo, visto che si è lontani mille miglia dalla maggioranza dei 2/3 prevista dalla Costituzione. Renzi ha i giorni contati. O i mesi. Il che fa lo stesso.

Marco Ilapi, 4 ottobre 2015

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .