Trump, scontro con il virologo

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Anthony Fauci è diventato, suo malgrado, l’ostacolo principale per il «partito della ripartenza». Proprio oggi ci sarà la prima riunione della «Task force 2» insediata da Donald Trump: un altro gruppo di esperti che studierà come «riaprire l’america». Ne faranno parte medici e scienziati, ma ci saranno anche manager, imprenditori e finanzieri. Il mondo del lavoro, le grandi aziende, le lobby dei diversi settori stanno premendo sulla Casa Bianca. E il presidente ha affidato il compito di fare da raccordo con il nerbo produttivo del Paese al segretario al Tesoro Steven Mnuchin e al genero-consigliere Jared Kushner. Mnuchin, in particolare, è la figura da osservare con attenzione. Fin qui si è mosso con efficacia, mediando con i democratici e portando a casa un pacchetto di misure da 2.200 miliardi. Nancy Pelosi ha raccontato ai giornalisti del Congresso che durante una conversazione con lui le era capitato di citare Bergoglio. «Vede Madam Speaker, lei ascolta la voce del Papa, io quella dei mercati» le aveva risposto. Il Segretario al Tesoro non si fa impressionare dal Pontefice e nemmeno dai modelli matematici di Fauci e di Deborah Birx, la coordinatrice della Task force numero uno, quella degli scienziati. È questa una delle forze che sta mettendo in difficoltà il settantanovenne scienziato di Brooklyn, figlio di un farmacista e pronipote di un immigrato da Sciacca. Lo schieramento dei suoi avversari, in realtà, è composito. Ci sono altri ministri, come l’attorney General William Barr, i consiglieri Peter Navarro e Larry Kudlow, la segretaria ai Trasporti, Elaine Chao. Vi partecipano i parlamentari repubblicani più conservatori, raccolti nell’house Freedom Caucus. Un gruppo molto ascoltato da Trump, visto che ha pescato tra i suoi fondatori il nuovo Capo dello Staff alla casa Bianca, Mark Meadows. Nei giorni scorsi Andy Biggs, presidente del Caucus, si chiedeva in un articolo pubblicato dal Washington Examiner, se avesse senso «lasciare gli Stati Uniti nelle mani di Fauci». Non potevano mancare i conduttori di Fox News, al completo. Ogni giorno da settimane, Sean Hannity, Laura Ingraham, Jeanine Pirro, Tucker Carlson, seminano dubbi sulla credibilità del dottor Fauci. Gli rimproverano di essere stato lui a mal consigliare Trump a febbraio, sostenendo che «il rischio di infezione per gli americani fosse basso». Gli rinfacciano l’allarmismo creato con previsioni catastrofiche sul numero dei morti: tra i 100 mila e i 240 mila, quando i nuovi calcoli ora si fermano a 60 mila. Laura Ingraham ha addirittura formato una specie di team di medicina alternativa per convincere Trump a promuovere l’uso di un farmaco anti-malaria, l’idrossiclorichina, contro il Covid-19. Ma, ancora una volta, ecco che spunta Fauci a rovinare i piani: «Non ci sono prove sufficienti sull’efficacia di questa medicina». Per storia e temperamento il virologo non è interessato ai conflitti. La sua carriera si è sviluppata tutta nel settore pubblico. A 44 anni assume la guida del National Institute of Health ed ha mantenuto l’incarico con sei presidenti, da Ronald Reagan a Trump. Dopo una vita da ricercatore e suggeritore, ora si trova al centro dell’attenzione. Gira con la scorta. In rete gli ultrà trumpiani lo insultano sistematicamente. I suoi ammiratori, invece, comprano magliette o ciambelle con la sua immagine. La sua reazione? «Pensiamo a come sconfiggere il coronavirus, il resto è secondario».

Giuseppe Sarcina – Corriere della Sera – 14 aprile 2020

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Dr. Fauci e mr. Trump

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Un’influenza” è stato a lungo il ritornello del presidente degli Stati Uniti Donald Trump), ha messo la lotta al Covid-19 nelle mani espertissime di un luminare della immunologia come Anthony Fauci, 79 anni, italoamericano di Brooklyn, scienziato e funzionario pubblico. E’ lui il Colin Powell, tanto per assecondare la nostra metafora bellica. Suo aiutante di campo, Deborah “Debbie” Birx, distaccata dal dipartimento di Stato dove ha lo status di ambasciatrice, medico militare, sotto le armi dal 1980 al 1994 fino a raggiungere il grado di colonnello, grande esperta, anche sul campo, di virus ed epidemie. Nel 2014 è stato Barack Obama a nominarla alla testa del piano di emergenza per la lotta all’Aids da lui voluto. Ciò poteva renderla sospetta a Donald Trump, ma per lei ha garantito il vicepresidente Mike Pence che l’ha introdotta alla Casa Bianca per coordinare la task force messa in piedi allo scopo di combattere il Covid-19.

Fauci-Birx, il generale e il colonnello, una coppia solida, esperta, affiatata, eppure ha dovuto sudare sette camicie prima di convincere il presidente che la faccenda si stava facendo davvero seria. Tanto da non evitare gli errori iniziali (messaggi pubblici contraddittori, ritardi persistenti nei test e nelle forniture sanitarie necessarie), per colpa dei quali gli Stati Uniti sono precipitati nell’inferno della pandemia e battono giorno dopo giorno ogni record di vittime tra infetti, malati e morti. Ancor oggi il team di scienziati si trova in contrasto con il primo cerchio dei consiglieri politici ed economici che hanno messo in discussione l’accuratezza dei loro modelli, fino al punto da negare l’evidenza, lamentandosi in privato della loro enorme influenza.

Il gioco del potere non si ferma davanti alla morte. E l’entourage trumpiano è perennemente diviso tra i lealisti e gli esperti sui quali viene gettata l’ombra del sospetto. L’ultimo caso riguarda il rimedio miracoloso, l’idrossiclorochina utilizzata, tra le altre cose, contro la malaria. Trump ci crede in base a quelli che egli stesso chiama “aneddoti”. Fauci è contrario: non si fida, non ci sono risultati clinici validi. In realtà, anche qui è in atto un braccio di ferro per ottenere le grazie del sovrano, perché a insufflare il presidente è il cerchio magico formato da fedelissimi come Rudy Giuliani, Larry Ellison e Laura Ingraham, tutte personalità di valore, ma digiuni di immunologia: il primo è un avvocato ed ex magistrato, campione della lotta alla mafia; il secondo, fondatore di Oracle è un guru high tech; la terza non sa nulla di preciso e di tutto un po’, è una conduttrice di Fox News la rete televisiva conservatrice, e proprio lei ha più degli altri l’orecchio di Trump. La settimana scorsa, racconta il Washington Post, ha accompagnato alla Casa Bianca due medici ospiti abituali della sua rubrica in tv, ferventi adoratori della colorochina.

Forse hanno ragione, però Fauci non si piega e non esita a contraddire Trump anche in pubblico, durante i briefing per la stampa. Lo scienziato riprende il presidente il quale trattiene a stento la sua irritazione. Il primo dice che il vaccino è ancora lontano e la situazione non può che peggiorare, il secondo sostiene che ci siamo quasi e a Pasqua sarà tutto finito. Il battibecco tra i due è diventato una situation comedy televisiva, anche se bisogna dire che Trump, impaurito e incerto, è pronto a cambiare rapidamente idea, più presto del solito. “Abbiamo discusso vigorosamente con il presidente di non ritirare queste linee guida dopo 15 giorni, ma di estenderle e ascoltarle”, ha raccontato Fauci alla Galileus Web: “Il dottor Birx e io siamo entrati insieme nell’ufficio ovale, ci siamo chinati sulla scrivania e abbiamo detto: ecco i dati, diamo un’occhiata. Il presidente li ha guardati, ha capito, e ha semplicemente scosso la testa replicando: ‘Credo che abbiamo da fare’”. Il vantaggio è che The Donald, sebbene detesti essere contraddetto (fin da quando era piccolo sostengono i suoi biografi), apprezza l’approccio diretto e chi gli tiene testa lealmente. Una volta ha ricordato l’abilità di Fauci come giocatore di basket, definendo lui e la Birx “grandi geni”, un po’ per celia un po’ per sincerità. La dottoressa colonnello ha un approccio meno frontale, forse perché, sostengono le malelingue, essendo di nomina politica può essere cacciata in ogni momento. In realtà, è proprio la sua formazione militare a spiegare un atteggiamento ispirato a disciplina e obbedienza alla catena di comando, diverso da quello scanzonato e irriverente del proprio mentore.

Il tono è certamente meno terra terra alla corte di sua maestà britannica, ma le tensioni tra politica e scienza non sono minori, anzi sono aggravate dal conflitto interno allo stesso mondo della medicina. All’ombra della “immunità di gregge” che aveva conquistato il primo ministro Boris Johnson desideroso di mostrarsi ancora una volta degno del suo mito Winston Churchill, si svolge lo scontro tra gli scienziati di Oxford e quelli londinesi dell’Imperial College. I primi, guidati dalla professoressa Sunetra Gupta, sostengono, cifre alla mano, che la mortalità del Covid-19 è inferiore rispetto alle stime ufficiali e il visus, il Sars-Cov-2, è meno aggressivo di quel che sembra. Gli altri, guidati da Roy Anderson e sostenuti dal suo protetto Neil Ferguson, hanno rigettato lo studio oxoniense considerandolo “fondamentalmente speculativo”. E mentre gli esperti si schiaffeggiavano a suon di rapporti e contro-rapporti, il governo esitava, gli ospedali si riempivano di malati, la pandemia colpiva a ritmo accelerato, come in Italia, come in Spagna, forse anche di più. C’è chi insinua che dietro lo scontro tra Oxford e l’Imperial College ci siano antiche rivalità: il trait-d’union sarebbe Anderson il quale vent’anni fa, quando era a Oxford, fece pesanti apprezzamenti sull’allora giovane collega Sunetra Gupta, arrivando a sostenere che aveva ottenuto la cattedra perché andava a letto con il capo dipartimento. Ne seguì uno scandalo, Anderson ci rimise il posto e si trasferì a Londra. Non sappiamo se abbia perdonato, certo non ha dimenticato. In ogni caso, alla fine, anche BoJo si è convinto a seguire l’Imperial College, pagando personalmente il prezzo della hybris. La politica al primo posto, ma quando la politica non è in grado di conoscere la realtà, quando in politica prevale l’incompetenza e quando vince la presunzione? Che fare allora, una volta delegittimato chi è in grado di sapere? “Conoscere per deliberare”, il monito platonico di Luigi Einaudi risuona in questi giorni, ovunque, e naturalmente anche in Italia.

Una volta scoppiata la crisi del 2008, la regina Elisabetta con il candore che solo una sovrana può permettersi, chiese ai massimi esponenti della London School of Economics perché mai non avessero capito quel che stava accadendo. Ricevette una risposta compita e contrita, piena di spiegazioni razionali e di una conclusione anch’essa candida, cioè sincera: non abbiamo capito, ci siamo sbagliati. L’episodio torna attuale ora che si scatenano le polemiche sul collasso dei sistemi sanitari e proprio nei loro punti più alti: Milano, Londra, New York. Ci vorrebbe qualcuno altrettanto sincero da porre la stessa domanda e qualcun altro così onesto da rispondere “ci siamo sbagliati”. Invece è tutto un rimpallo di responsabilità: la regione Lombardia, alla quale spetta la gestione della sanità, se la prende con Palazzo Chigi il quale replica elencando giorno dopo giorno le incongruenze e i ritardi di Milano. Intanto, il Veneto gonfia il petto arrogandosi un modello più efficace. Bella forza, replicano i lombardi, da voi si è abbattuto un temporale, su di noi un uragano. E sì che anche il governo giallorosso si è affidato a un quartetto di esperti: Walter Ricciardi, consulente numero uno, proviene dall’Università cattolica e dal policlinico Gemelli, attore per diletto, politicamente vicino a Luca Cordero di Montezemolo ai tempi di Italia Futura; accanto a lui Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità; Angelo Borrelli, un funzionario pubblico, capo della Protezione civile, è il controllore supremo; Domenico Arcuri, sceso in campo per ultimo, fa il commissario straordinario. Insomma, due medici e due amministratori. Nemmeno loro si trovano sempre d’accordo, le dichiarazioni televisive sono talvolta contraddittorie, i messaggi confusi, ma bisogna capire che Fauci-Birx, il generale e il colonnello, hanno dovuto sudare per convincere il presidente che la faccenda si stava facendo seria.

La politica al primo posto, ma quando in politica prevale l’incompetenza oppure quando vince la presunzione, come si fa?

Anche in Italia, ora che appaiono barlumi di speranza e serve una road map per la fase due, sono tornati gli scontri tra politica e scienziati nessuno possiede la ricetta, finché non ci sarà (se ci sarà) il vaccino o finché non verrà trovato un cocktail di farmaci efficace, come per l’Aids.

L’idea di mettersi nelle mani di personalità super partes è senza dubbio corretta. Tuttavia questo continuo ripetere “lo dicono gli scienziati, ci affidiamo alle loro decisioni” può sembrare un modo per diluire le responsabilità ultime che sono di chi decide sullo stato d’eccezione. Ora che appaiono barlumi di speranza ed è arrivato il momento di scegliere se e quando riaprire le gabbie in cui siamo rinchiusi da un mese, politica e scienza tornano a dividersi. Prima è cominciata la cacofonia. Poi il dissenso. Ricciardi è netto: “Sconsiglio l’apertura di fabbriche e scuole”. Conte replica: “Non siamo in Cina, la gente non può stare troppo a lungo in casa”. Gli industriali premono: “L’economia deve ripartire”. I sindacati frenano: “La salute innanzitutto”. Gli unici a tacere, sconfitti dalla falce nera del Covid-19 sono i no vax. Ma non per molto, siamo pronti a scommetterlo.

La gestione del dopo, la riapertura progressiva, è ancora più difficile. Passare dalla strategia della soppressione a quella del contenimento flessibile è rischioso (a Singapore siamo alla terza ondata, a Hong Kong alla seconda, in Cina il virus si sposta da un distretto all’altro) e soprattutto estremamente complesso, richiede controlli a tappeto e la mobilitazione di una struttura sanitaria oggi sotto stress e in pieno collasso nelle regioni più colpite, dalla Lombardia all’Emilia. Affinché riesca occorre una collaborazione stretta tra tutte le istituzioni e la politica, ci vuole soprattutto fiducia negli amministratori e negli esperti. Torniamo così a Clemenceau. Si potrebbe replicare che la pace è troppo seria per lasciarla ai governi, del resto il vecchio radicale francese fu tra i protagonisti del rovinoso trattato di Versailles che nel 1919 emarginò l’Italia vincitrice e aprì la strada a Mussolini, ma soprattutto umiliò la Germania, innescando quel sentimento di rivalsa cavalcato dai nazionalisti e da Hitler. Allora, attenti al primato della politica, che ha le sue ragioni anche se la ragione talvolta non riesce a comprenderle.

Stefano Cingolani  - Il Foglio – 13 aprile 2020

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Fauci: "Lo dico pure a Trump che non mi fido di quelle medicine. E da voi impariamo molto"

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«Lo so, ora tutti parlano di clorochina e idrossiclorochina, antimalarici con potente azione antivirale, come farmaci efficace contro il coronavirus. Io non dico che non funzionano. Dico che ancora non lo sappiamo». Al telefono dal suo studio di Washington, Anthony Fauci, 79 anni, l’immunologo italoamericano della task force della Casa Bianca per la lotta al Covid-19, a capo dell’Istituto nazionale delle malattie infettive, espone il suo punto di vista con la stessa pragmatica chiarezza che mostra nel corso delle conferenze stampa dove pacatamente ridimensiona le affermazioni non sempre esatte di Donald Trump sul modo più efficace di sconfiggere il virus.

«Trump ha detto di considerare quei farmaci "game-changer", medicinali determinanti nella lotta al Covid-19. Molti medici, in America e fuori, li stanno già prescrivendo. Il presidente ha perfino minacciato l’India, pur di farsi fornire le scorte di quel Paese».

Si dice però che sull’argomento ci siano state tensioni alla Casa Bianca fra lei e il consigliere economico Peter Navarro...

«Il presidente parla di quei farmaci sulla base di "aneddoti", come lui stesso li definisce. Notizie certamente suggestive riguardo a guarigioni di persone sottoposte a quei trattamento. Ma io sono uno scienziato. Gli aneddoti non mi bastano. Il mio compito è fornire le prove certe che determinati farmaci funzionano. E a ora, la sperimentazione clinica su clorochina e idrossiclorochina è avvenuta in maniera troppo casuale per avere certezze sulla sua efficacia».

Dunque ne sconsiglia l’uso?

«Allo stato delle cose è una decisione che deve prendere il medico, se possibile informando il paziente dei possibili effetti collaterali. Poi, quando si lavora in condizioni disperate cercando di salvar vite, si tenta il tutto per tutto. Non giudico chi la prescrive. Ripeto, la mia posizione è che la prova finale ancora non c’è».

In un’intervista con la rivista "Science" pubblicata qualche giorno fa, lei ha detto che cerca di indirizzare il presidente, ma poi quando lui dice cose inesatte "non può certo strappargli il microfono"...

«I miei rapporti col presidente sono ottimi. Lo informo quotidianamente e mi ascolta con attenzione e serietà. Si specula troppo sui miei gesti e sulle mie assenze. Se non appaio al suo fianco, ormai dicono subito che ci sono problemi. Ma io ho molto da fare. Quando la discussione mi riguarda, non manco mai»..

Eppure certi suoi interventi, in contrasto con le parole del presidente, hanno scatenato minacce nei suoi confronti. Lei ora è sotto scorta...

«Dico le cose come stanno. Faccio questo lavoro da tanti anni, l’ho scelto e non potrei farlo in altro modo. Al resto dedico poca attenzione».

Trump ha appena attaccato via Twitter l’Organizzazione Mondiale della Sanità: "Taglio i fondi, è troppo filocinese".

«Non ho tempo di seguire i tweet del presidente»

Eppure trova sempre il tempo di parlare con la stampa.

«La gente deve capire che cosa succede, che cosa deve fare e perché. Il ruolo dei giornalisti in questo momento è cruciale. Credo nella stampa libera. È la via più accurata per dare a tutti informazioni corrette e verificate».

Negli Stati Uniti la situazione è molto grave. C’è qualcosa che l’esperienza italiana vi sta insegnando?

«L’Italia è stata colpita molto severamente dal virus. Avete medici competenti ed eroici che sono stati travolti da uno tsunami ed è stato difficile trovare il passo. Dalla vostra esperienza abbiamo imparato quanto questo virus, incontrollato, può essere micidiale. Sì, l’America ha il più alto numero di casi del mondo: perché siamo un Paese grandissimo. Organizzare la risposta in un sistema federale come il nostro non è stato semplice. Ma migliora ogni giorno e le misure messe in atto funzionano».

I ricercatori stanno lavorando ovunque su medicinali e vaccini in grado di contrastare il virus. A che punto siamo?

«Il momento è senza precedenti e gli sforzi sono tanti. Stiamo sperimentando molti medicinali, alcuni conosciuti, compresi quelli a base di clorochina e idrossiclorochina proprio per mettere ordine alla confusione e stabilire protocolli certi. E testando già due vaccini: siamo a buon punto, saranno disponibili entro un anno, un anno e mezzo»

E fino ad allora come ce la caveremo?

«Prima di tornare a una forma nobile di esistenza dovremo ancora convivere con la miseria del virus. Quando lo avremo mitigato continueremo a prendere accorgimenti per impedirne il ritorno violento. Affronteremo ancora tempi difficili e serve solidarietà e impegno. Ma ce la faremo. Finirà».

Anna Lombardi – la Repubblica – 8 aprile 2020

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