Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento

Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento

L’Omero dei diseredati, il cantore delle loro vite e non solo, fu Giacomo Ceruti, il pittore del Settecento a cui Brescia, aprendo il palinsesto delle mostre nella grande ricorrenza che la vede Capitale Italiana della Cultura assieme a Bergamo per l’anno 2023, lo rende  protagonista di una rassegna che si è aperta al Museo di Santa Giulia e che illustra altri aspetti della sua arte, meno noti, come l’attenzione che egli dedicò all’aristocrazia. “A quasi cent’anni dalla loro riscoperta, avvenuta nel 1931 nel castello di Padernello, le opere di Giacomo Ceruti non finiscono di stupire l’osservatore. La profonda umanità degli sguardi che si coglie nelle sue scene di vita popolare continua a essere una fonte inesauribile di riflessione sulla quotidianità degli ultimi e delle persone che vivono in condizioni di marginalità”. Questi due ultime frasi chiariscono il pensiero di Emilio Del Bono sindaco di Brescia  e di Laura Castelletti, vicesindaco e assessore alla Cultura.

La rassegna “Miseria & Nobiltà. Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento” e le due esposizioni corollario, “Immaginario Ceruti. Le stampe nel laboratorio del pittore” e “David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land” potranno restituirci la profondità e la complessità di questo artista del Settecento  e le fonti su cui ha maturato le sue ispirazioni. Francesca Bazoli, presidente della Fondazione Brescia Musei e Stefano Karadjov, direttore della stessa hanno così commentato nella prefazione al catalogo edito da Skira. La collaborazione con il Getty Museum di Los Angeles, dove la prima monografica di Ceruti fuori dal territorio nazionale inaugurerà a luglio 2023, costituisce un grande riconoscimento per la Fondazione Brescia Musei e per la città di Brescia che nel Settecento ospitò il pittore e che nel tempo ne ha preservato la memoria. Confidiamo che questo programma cerutiano, al quale ci siamo dedicati nell’ultimo triennio, possa contribuire a mutare radicalmente la percezione dell’artista a livello nazionale e internazionale … Infatti nel Settecento e nell’Ottocento poche fonti citano questo pittore.

Essa è invece  la voce più originale della pittura lombarda nel corso del XVIII secolo come hanno spiegato  Francesco Frangi e Alessandro Morandotti, curatori assieme a Roberta d’Adda, dell’esposizione Miseria & Nobiltà. Le circostanze della formazione del pittore lombardo sono  tuttora avvolte nel mistero. Ci si interroga se avvenne a  Milano o a Brescia. I documenti fanno ritenere più veritiera la prima ipotesi. Egli nacque infatti  a Milano nel 1698,  ma nel 1711 la sua famiglia viene ricordata a Brescia e  cinque anni più tardi  di nuovo a Milano, dove nel 1717 il pittore si sposa con una donna di dieci anni più anziana dalla quale ha un figlio.  Solo nel  settembre 1721 si hanno nuovamente sue notizie  quando risulta vivere a Brescia, dove rimarrà fino al 1733. La sua crescita professionale avvenne dunque nella capitale dell’antico ducato, dove con ogni probabilità non acquisì gli strumenti adeguati per il disegno e la composizione, né tanto meno ebbe modo di apprendere modelli aggiornati. Sarà solo a partire dal soggiorno in Veneto, e cioè dal 1736, che Ceruti acquisirà la capacità di invenzione e le conoscenze accademiche che richiedeva la pittura di storia.

La produzione pittorica bresciana di Ceruti si distingue per la sua qualità all’interno del complessivo percorso della pittura pauperistica in Italia e come spiega Roberta D’Adda: diventa davvero difficile stabilire se e quanto l’addensarsi a Brescia dei capolavori del cosiddetto ciclo di Padernello, e più in generale delle opere giovanili di Ceruti, si possa mettere in relazione con la concezione assistenziale cattolica di consolidata tradizione nobiliare (che aveva guidato la nascita e lo sviluppo del sistema dei ricoveri a Brescia), o piuttosto con i portati dell’educazione giansenista; o ancora, con ‘semplici’ ragioni di divertissement e di gusto estetico per un genere pittorico che aveva alle spalle importanti precedenti e rispondeva, per molti versi, a un preciso canone stilistico. Nelle opere di Ceruti, emarginati, vagabondi e rappresentanti di umili lavori riempiono grandi tele su  uno sfondo rustico o una veduta di città, colti  in un isolamento quasi ipnotico.

Con una tavolozza che Roberto Longhi icasticamente definì “di polvere e di stracci”, essi sono dipinti con intensa partecipazione, dotati di una bellezza umana che infonde loro, spesso, una naturale vivacità. Erano individui che non costituivano una minaccia per l’ordine costituito, come poveri artigiani,  giovani orfane che vivevano presso istituzioni caritatevoli che si facevano carico della loro educazione insegnando loro a leggere e cucire, uomini ridotti in miseria perché troppo vecchi per lavorare o veterani di guerra con una disabilità fisica, ragazzi abbandonati dalle famiglie e forzati a vivere e lavorare sulla strada come ‘portaroli’. I portaroli, in particolare, sembrano diventare una particolare cifra, un simbolo della sua imagerie. I prestiti e le nuove acquisizioni giunte in Pinacoteca Tosio Martinengo permettono oggi a questo  museo di conservare, con 17 lavori, il più importante corpus dell’artista. Con oltre cento opere, di cui sessanta che gli appartengono,  a confronto con quaranta dipinti di altri autori a lui contemporanei o precedenti, l’esposizione ha il merito di offrire una visione più completa dell’arte del pittore, non più Pitoccheto, dal  nome  del ceto di molti suoi soggetti, ma Giacomo Ceruti, pittore europeo.

Patrizia Lazzarin, 14 febbraio 2023

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