Quel confine fra libertà e sicurezza

Le misure di restrizione alla nostra libertà prese dal governo sembrano ormai accettate dalla maggioranza della popolazione. Paura e consapevolezza del pericolo rendono legittime quelle misure agli occhi dei cittadini.
Circostanze del genere, dove determinati eventi – come una guerra, sommosse, o, come nel caso presente, una pandemia – richiedono una deroga ad alcuni principi sono contemplate dal pensiero giuridico così come dalla teoria politica.
Perché la democrazia necessita di alcuni presupposti per funzionare e quei presupposti, ad esempio in situazioni di grave disordine, di lesioni al tessuto sociale ed economico, di minaccia alla vita dei membri della comunità, provocate da accadimenti eccezionali, possono essere compromessi se non si agisce per prevenire tali situazioni. Appunto derogando al normale funzionamento del sistema politico democratico.
Questa deroga scaturisce dalla classica dialettica tra ordine, e quindi sicurezza, da un lato, e libertà, dall'altro. Un "dialogo" tra valori che diventa nei fatti una costante contemperanza tra esigenze concrete, funzionali all'esistenza di una comunità politica. Nei momenti di crisi l'equilibrio può spostarsi a favore dell'ordine e della sicurezza a detrimento della libertà. Ma i valori dell'ordine e della sicurezza e quello della libertà non possono essere mai, in una democrazia liberale, considerati totalmente alternativi, o l'uno o l'altro. In certe congiunture l'esigenza di sicurezza può limitare significativamente la libertà. Tuttavia, da un lato è necessario che chi governa renda trasparenti e convincenti i motivi della sua azione; dall'altro che faccia di tutto per mantenere vive certe garanzie nella misura del possibile.
In questa direzione va la proposta proveniente da numerosi parlamentari di mantenere operativo il Parlamento, ad esempio, come scriveva in questi giorni il costituzionalista Francesco Clementi, con la creazione di una commissione ad hoc che esamini in sede redigente i decreti legge del governo e con l'adozione di strumenti telematici per il voto dell'aula e gli stessi lavori della Commissione.
Una scelta che eliminerebbe occasioni di contagio, ma, soprattutto, in una situazione di limitazioni delle libertà, comunque sacrosante (ogni giorno ascoltiamo bollettini di nuovi contagi, terapie intensive sature e centinaia di morti), permetterebbe il coinvolgimento costante dell'organo parlamentare. Di contagio in contagio l'alternativa sarebbe chiudere il Parlamento, scelta gravissima.
Le università italiane, consapevoli del loro ruolo, si sono attrezzate e ormai da remoto si tengono esami, sedute di laurea, lezioni e riunioni degli organi. Perché ciò non dovrebbe accadere per il Parlamento? E se i funzionari parlamentari continueranno ad opporsi, come stanno facendo, non mancano certo nel paese i tecnici in grado di rendere operativa l'opzione della partecipazione a distanza. La decisione è politica e, appunto, nei casi di crisi le deroghe sono necessarie. Per tutelare la sicurezza e i fondamenti della libertà. —

Sofia Ventura – La Stampa – 18 marzo 2020

Newsletter

. . . .