Renzi, il furbo

Matteo Renzi  le sta davvero studiando tutte. Per restare incollato alla poltrona di Palazzo Chigi venderebbe pure sua madre. E’ diventato il novello Berluska o, se preferite, ha mutuato i metodi di vendita dei prodotti che tiene nei suoi polverosi scaffali, la vecchia Vanna Marchi: “Venghino, signori  e signore, venghino!”. Poi, ad una convention del suo partito, soggiunge, rivolgendosi alla inebetita platea dei suoi followers: “Se votate le mie riforme, avrete meno tasse per 50 miliardi di euro. Fra tre anni, non subito”. Piccolo particolare, piuttosto significante. Della riduzione del carico fiscale ne hanno parlato ripetutamente tutti, ma proprio tutti, gli inquilini di Palazzo Chigi. E anche quelli del Quirinale. Silvio Berlusconi ne ha fatto, nel tempo, un suo cavallo di battaglia. Ricordate lo slogan su cartelloni 6 metri per 6 “meno tasse per tutti”? Alcuni buontemponi (rivelatisi facili profeti) modificarono in “meno tasse per Totti”. Risultato? Le tasse sono aumentate. Se per avventura qualche piccolo balzello statale è diminuito (pensate alla tassa di concessione governativa sulle patenti di guida o a quella sulle autoradio, eliminate), certamente sono cresciute le imposizioni locali, come dimostrano i vari istituti di ricerca. L’ex sindaco fiorentino sta gabbando lo santo, pretende un sì nel referendum confermativo che si farà (lo si sarebbe fatto ugualmente, stante che la maggioranza dei due terzi non l’avrebbe conseguita, per evitarlo) e poi, fra tre anni se lui sarà ancora a Palazzo Chigi (e molti osservatori, anche tra i suoi simpatizzanti,  incominciano a dubitarne), allora, e solo allora, darà corso all’insperata riduzione del carico fiscale. Sempre che al referendum gli italiani votino le (pessime) riforme renziane. Perché cadere nelle provocazioni di Matteo e non rilanciare chiedendo all’esecutivo: prima diminuisci il carico fiscale, magari tagliando intelligentemente la spesa pubblica? Il bravo Carlo Cottarelli alcune indicazioni a Palazzo Chigi le aveva pur fornite. Perché Renzi non ha dato immediatamente seguito alle misure proposte? Semplice, non gli è mai passata per l’anticamera del cervello la prospettiva di seguire i suggerimenti degli esperti. Vuole decidere lui come, dove e quando. Un uomo, poco più che un ragazzo, senza nessuna esperienza lavorativa alle spalle, affronta i problemi della politica nazionale in maniera dilettantesca.  Alle promesse non fa seguire i fatti. La gente, che non è cretina, lo intuisce e lo scarica. Gli 80 euro concessi dal Re Sole di Rignano sull’Arno hanno sconquassato le casse pubbliche, non hanno prodotto ristoro alcuno ai percipienti e sono stati contabilizzati furbescamente come riduzione di imposte mentre in realtà sono stati un’ulteriore spesa pubblica improduttiva. Li avesse dati agli incapienti, probabilmente la musica sarebbe stata diversa. I pensionati da meno di 500 euro al mese li avrebbero graditi maggiormente. E la misura avrebbe avuto un impatto sociale più onorevole. Per il governo. Spiace che un tecnico avveduto come Pier Carlo Padoan abbia avallato questo esborso di quasi 10 miliardi di euro per non arrivare da nessuna parte. La crescita promessa, infatti, è ancora lontana e chissà quando torneremo ai livelli del 2007. C’è, addirittura, chi parla per la nostra economia di altri vent’anni di difficoltà. Dobbiamo tenerci come premier un signore che non ne azzecca una? Avesse almeno imposto all’Europa di cambiare il modello di sviluppo, di puntare tutte le risorse disponibili sulla crescita, anche a costo di “cassare” il tetto del deficit al 3%, di non tenerne conto per almeno un quinquennio, sì da avere un aumento del Pil tra il 2 ed il 3% all’anno. No, alle promesse del premier non bisogna dar credito, essendo persona del tutto  inaffidabile. Prima gli elettori si renderanno conto di avere sbagliato cavallo e di puntare su un altro meglio sarà. E’ chiaro che questo ragionamento porta ad una inevitabile crisi politica (e conseguentemente, economica), con lo spread che riprenderà la sua folle corsa, ma a Palazzo Chigi deve insediarsi un uomo politico dotato di coraggio e non un ragazzo infingardo che ascolta solamente le sirene confindustriali, quando il 95% delle imprese italiane sono al di fuori dello steccato di viale dell’Astronomia. 30, a Roma. Renzi fa promesse da marinaio e lui sa che non sarà in grado di mantenerle. Quasi quasi era preferibile Silvio Berlusconi, pur con tutti i sui difetti e vizi da lap dance a Villa San Martino. Lui, prima di andare a Palazzo Chigi, ha lavorato. E sodo. Renzi no. Il Jobs Act gli è stato suggerito, come le pessima riforma della scuola, come le riforme del Senato che non sta in piedi e dell’Italicum. Per non parlare dell’abolizione delle provincie. Perché non abolire le regioni?

Marco Ilapi, 20 luglio 2015

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