Matteo, è allarme consenso

Nell’entourage del premier è suonato il campanello di allarme. Finora il consenso ha retto varie prove ed ostacoli. Alle europee, grazie anche al bonus degli 80 euro concesso ai percettori di reddito fisso fino ai 25 mila euro annui, il partito democratico a guida Renzi ha valicato la soglia inimmaginabile (manco a Palazzo Chigi si fosse insediato un Alcide De Gasperi) del 40%. Successivamente il lento ma inesorabile (ed ineluttabile) declino. Per le tante riforme avviate e non portate a termine. Anche per alcuni tentativi di riforma direi un pochino pasticciati. Come quello sull’eliminazione delle provincie che non pare abbia portato risultati minimamente apprezzabili. I presidenti resistono, i sindaci delle città ex capoluogo di provincia ne hanno preso il posto, i consigli provinciali vengono eletti dai consiglieri comunali (in buona sostanza c’è, un po’ mascherata, una spartizione delle poltrone), mancano le risorse e i servizi una volta svolti da questi enti locali vengono di fatto trascurati. Le segnalazioni di inefficienza si sprecano. Ad inizio anno il premier avrebbe dovuto affrontare il nodo della riforma dell’istituto regionale. Tutto tace. Eppure questa sarebbe stata per davvero la trasformazione più incisiva, laddove i risparmi sarebbero stati importanti. Pensate come sarebbe l’Italia suddivisa in 4 o 5 macroregioni: 4 o5 governatori, altrettanti consigli regionali, spese maggiormente sotto controllo. E’ notorio che l’incremento della spesa pubblica nel Paese è determinato dal comportamento delle regioni. E non solo di quelle a statuto speciale. Il Senato così come lo ha ipotizzato Renzi appare un bel papocchio. Il suo cerchio magico fa acqua da tutte le parti. Dalla Serracchiani (che dovrebbe più curare la sua regione, il Friuli) a Guerini ai fratelli Manzione a Taddei sono personaggi inadeguati. Si è votato per le amministrative, il Pd ha prevalso ma non ha sfondato, come supponeva (evidentemente a torto) il buon Renzi. Gli elettori, sia di destra che di sinistra, sono delusi. I politici parlano, promettono, ma è fin troppo evidente che non intendono modificare lo stato dell’arte. Loro. La gente si è stancata e non va più a votare. Questo è un segno micidiale. Un uppercut che rischia di mandare a tappeto qualsiasi quaquaraqua. Anche questo fiorentino, erede di Machiavelli. Adesso un nuovo turno elettorale. Ennesima scoppola per il premier. Se non cambia narrazione si prepara da solo le esequie. Da domani la sua cerchia la pianterà di sorridere alla luna. Renzi è intelligente. Non può più far finta che tutto il Paese è ancora con lui. Se i risultati tardano ad arrivare non si dovrà permettere di parlare di gufi ma di comprendere che è il caso di cambiare registro. E di cominciare ad ascoltare in primo luogo i dissidenti del suo partito. Fabrizio Barca gli presenta un dossier sullo stato del partito romano. Ma è sicuramente da ritenere che anche in altre terre d’Italia il Pd non goda di splendida salute. L’esito elettorale, con milioni di persone che non vanno più a votare, sta lì a dimostrarlo. Il campanello di allarme delle elezioni in Emilia Romagna, ma anche nella stessa Calabria, come  in Veneto e Liguria, consegnata su un piatto d’argento al centrodestra di Toti, dovrebbe allertare il nostro focoso premier. Prima che sia troppo tardi.

Marco Ilapi.16 giugno 2015

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