Il grande potere dell’opposizione, fondato sulla Costituzione e sul principio cardine della non-decisione, è trasmigrato intatto dai primi anni eroici del post-fascismo, della nascente democrazia e della fragile Repubblica italiana, alla maturità e alla crisi del sistema partitocratico e alla gran confusione dell’infinita transizione italiana. Sebbene possa fare impressione che al posto di Berlusconi, o di D’Alema, Veltroni, Fassino, e insomma dei leader di schieramenti maggioritari, oggi ci siano Vendola e i suoi sette senatori e Grillo con i suoi cinquantaquattro, la regola invalicabile vale anche per loro. E in quest’ambito, suona ovviamente da conferma che per oltre un trentennio siano andati falliti tutti i tentativi di cambiare la Costituzione (anche se in verità se ne parla da più tempo, addirittura dal 1969): perché da qualsiasi parte la si prenda, e perfino se si aggira il problema della Carta, ripiegando sulla legge elettorale, la questione rimane la stessa: per consentire ai governi di governare, realizzando il programma votato dagli elettori, come avviene in tutte le normali democrazie, non c’è altra strada che ridurre le garanzie eccezionali – lo strapotere, appunto – che in Italia sono ancora concesse alle opposizioni. Così Marcello Sorgi su La Stampa.
Le riforme che non arrivano: il potere di veto delle opposizioni