Ci riprova. L'articolo che riproponiamo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 21 settembre 1954 a firma dello scrittore fiorentino Giovanni Papini. Ironia del destino, il contenuto concerne la avvertita necessità ed urgenza, in quel momento storico, di provvedere l’Italia di una serie di riforme. Sono trascorsi oltre sessant’anni ed ancora oggi di riparla di riforme istituzionali! Negli ultimi decenni Commissioni Bicamerali (Bozzi, De Mita, D’Alema), oggi il governo Renzi, hanno affrontato i temi più scottanti, che poi sono sempre i medesimi: la Giustizia, la Scuola , la Pubblica Amministrazione da snellire, il Fisco, ecc. C’è da sorridere al solo pensiero che anche questa volta i nostri amati uomini politici non ce la faranno ad approdare ad una vera e profonda riforma del sistema-Stato che continua a dimostrare di non funzionare. Perché? Quel che si evince dalla lettura delle osservazioni papiniane è che … lo scrittore si riferisce (nel 1954) a discorsi su indispensabili riforme istituzionali ed esigenze del nostro Bel Paese presentatesi ben sessant’anni prima! Ossia: fine Ottocento. E oggi siamo al 2016. E non molto è stato fatto. Chissà se il toscanaccio Renzi riescirà a smentire il toscanaccio Papini...
La disgraziata guerra di Abissinia del 1895, che ebbe tante tristi risonanze del nostro Paese, fece nascere in me, ancor giovinetto, la penosa mania di leggere ogni giorno i quotidiani politici. Son dunque sessant’anni che io seguo attraverso quei fogli la storia e la cronaca dell’Italia, e sue fortune e le sue sfortune, le sue vergogne e le sue redenzioni. Dodici lustri non son molti rispetto alle esperienza dei secoli, ma quando penso che il Regno d’Italia è durato soltanto ottantacinque anni, ho il diritto di immaginarmi che, anche se decenni, possono dare qualche idea dei costumi e degli umori di un popolo. Dirò dunque che in questi sessant’anni ho sempre sentito discorrere e discutere di cinque riforme ritenute fondamentali e soprattutto urgenti: la Riforma della Burocrazia, la Riforma della Scuola, la Riforma Tributaria, la Riforma dei Codici, la Riforma Carceraria. Ad ogni mutare di ministeri e di governi, a intervalli che vanno dai tre ai dieci anni, i giornali riproponevano qualcuna di queste riforme, l’opinione pubblica si agitava, la Camera dei Deputati tumultuava, il Senato ponzava, si pubblicavano articoli e libri su questa o quella riforma che tutti ritenevano indifferibile.
Il più delle volte, dopo un paio di anni d’alluvioni di parole gridate e stampate, di quella riforma appena si pispigliava; certe volte i governi annunziavano che la riforma era già pronta o addirittura compiuta. Ma doveva trattarsi di stolte illusioni, di voluti inganni o di soluzioni sbagliate perché dopo un po’ di tempo si tornava a discettare e a concionare su quelle stesse riforme e così via fino ai presenti giorni. E anche oggi, dopo sessant’anni di alterne vicende, dopo guerre sterne e guerre civili, dopo mutamenti di capi e di regimi, sento parlare via via di Riforma della Burocrazia, di Riforma della Scuola, di Riforma Tributaria, di Riforma dei Codici e di Riforma Carceraria, cioè d tutte quelle riforme che fino agli ultimi anni dell’Ottocento sono state giudicate impellenti e improrogabili.
Non voglio indagare le profonde cause di queste urgenze che durano da sessant’anni ma voglio riserbarmi il diritto di sorridere quando dai nostri giornali vengo a sapere che è stata nominata la Commissione di studio per risolvere una di quelle riforme delle quali sento parlare fin dai tempi di Crispi e di Rudinì, di Luzzati e di Zanardelli.>>
Per concludere, finché dalle parole non si passerà ai fatti, nulla mai cambierà. Giovanni Papini aveva ragione nell’ironizzare sottilmente (da buon toscano) sulla capacità della classe politica tutta di parlar bene e razzolar male. A fine ottocento come negli anni del primo dopoguerra come ai tempi del suo conterraneo Matteo Renzi.
Marco Ilapi, 26 maggio 2016