L’emozione del colore di Monet a primavera

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La luce e il colore di  Claude-Oscar Monet, il padre riconosciuto dell’Impressionismo francese anticiperanno la primavera nella città patavina  con  i loro timbri e pennellate frantumate. Dal 9 marzo una mostra promossa dal Comune di Padova e da Arthemisia ospiterà più di cinquanta capolavori eccezionalmente prestati dal Musée Marmottan Monet di Parigi, tra cui le famosissime Ninfee.

Nasce già l’aspettativa perché tra le voci  che si sentono in giro sembra che per un po’ di anni le opere dell’artista francese, dopo questa esposizione, non potranno più giungere in Italia.  I quadri che saranno visibili in rassegna sono quelli  donati dal figlio dell’artista, Michel,  nel 1966 al Musée Marmottan che custodisce ora la più grande e importante collezione di dipinti dell'artista. In particolare sono le creazioni a cui Monet era più affezionato  e che  aveva conservato gelosamente nella sua casa di Giverny fino alla morte.

La natura nelle sue opere e più in genere la realtà sembrano splendere in tutta la loro luminosità, dentro un’atmosfera che diventa mutevole. “Dipingo  come un uccello canta”, dice un giorno Monet all’amico Geoffrey e con queste parole semplici egli spiegava la spontaneità del suo gesto creativo. Una naturalezza che  trasformerà il modo di dipingere dopo di lui. Per Monet le ombre in natura non sono zone di valore neutro, ma sono luoghi in cui i diversi colori si influenzano reciprocamente ad un diverso grado di luminosità rispetto alle parti in pieno sole.

L’artista rinuncia a dipingere quello che sappiamo delle cose per realizzare sulla tela quello che vede. Da vicino infatti noi osserviamo i rami degli alberi distinti gli uni dagli altri e questa esperienza conoscitiva ci condiziona e non ci fa considerare che da lontano le case di una città o la vegetazione di un bosco diventano corpi, masse quasi indistinte. Lo spazio si crea  dalla vibrazione della luce e dell’atmosfera.

Quando parliamo di Impressionismo e di  impressione in particolare riferendosi all’artista francese, non intendiamo solamente il fenomeno ottico ma anche l’emozione che suscita in lui  e si  trasferisce agli osservatori del quadro. Egli è capace di coinvolgere nella stessa percezione  occhio e sentimento in modo da accordare l’osservazione del reale e la trasfigurazione lirica di essa.

 A Padova saranno esposti capolavori quali 

Ritratto di Michel Monet con berretto a pompon (1880), 

Il treno nella neve. La locomotiva (1875),

 Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905),

accanto a tutte le opere di grandi dimensioni come le eteree Ninfee (1917-1920) e gli evanescenti Glicini (1919-1920).

La rassegna, è curata da Sylvie Carlier, curatrice generale del Musée Marmottan Monet, con la co-curatela della storica dell'arte Marianne Mathieu e l'assistente alla curatela del Musée Marmottan Monet Aurélie Gavoille

Sarà un viaggio nel mondo intimo di Monet, nella sua casa e nella sua anima.

Patrizia Lazzarin, 31 dicembre 2023

 

 

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Le allegre comari di Windsor a Venezia

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Le allegre comari di Windsor andate in scena al Teatro Goldoni di Venezia nelle scorse serate e, ancora in cartellone oggi e domani, è uno spettacolo che libera l’ilarità. La commedia scritta da William Shakespeare e recitata probabilmente per la prima volta nel 1597 ci restituisce il vecchio Falstaff dell’Enrico IV del drammaturgo inglese mettendolo alla berlina con un humor tipicamente anglosassone.  Nella versione di Angela Demattè  e che ha la regia di Andrea Chiodi, in  questi giorni nella città veneziana, si avverte la lezione dell’antica commedia greca che si lega con i canti fallici.

Sono infatti forti  e pregnanti i riferimenti alla sfera sessuale che Falstaff ostenta sicuro di sé ed essi si  uniscono alla sua  presa in giro dei presunti e futuri mariti cornuti.  L’ilarità scoppiettante si sviluppa in un crescendo però, dalle due comari di Windsor che orchestrano consecutive beffe nei confronti del “cavaliere” sbruffone che ha scritto loro due lettere d’amore perfettamente identiche, pensando ingenuamente, con focose lusinghe, di poter approfittare dei loro quattrini.

Nei panni di Madame Quickly la locandiera che gestisce la Taverna Boar's Head, nella quale si riuniscono Sir John Falstaff e i suoi poco raccomandabili amici, vediamo l’attrice Eva Robin’s. Le due comari, Madame Margareth Page e Madame Alice Ford, impersonate rispettivamente da   Sofia Pauly  e da Francesca Porrini,  si mostrano  donne libere e disinibite, capaci di trovare da sole le soluzioni ai loro problemi. La Mimica con la maiuscola accompagna le battute, le prese in giro e i progetti di rivalsa verso Falstaff.

Revenge, revenge. Le parole degli attori erano tradotte in inglese e francese su un nastro che scorreva in alto sopra il  palco e fuori, durante lo spettacolo del 30 dicembre, i performer di Malmadur diventavano spettatori-traduttori di ciò che avveniva dentro il teatro.

Da un palchetto osservavano la commedia e la traducevano per chi era fuori dal teatro.  

Daniele D’Angelo che si è occupato della progettazione del suono racconta: quando Andrea Chiodi, il regista, mi chiese di partecipare a questo progetto mi assalirono due ricordi distinti: la commedia, che avevo rivisto l’estate prima nella versione di Edoardo Siravo, e il Falstaff verdiano ... dell’opera, inutile dirlo, ricordo tanta musica divertente e piena di guizzi.

Non sapevo bene cosa proporre finché Andrea mi raccontò la sua visione. Ne fui subito entusiasta. Usare la musica per descrivere un mondo di uomini e donne leggeri e violenti mentre quel che li circonda ricorda l’origine e la tradizione. Allora ho creato delle atmosfere dance, da sabato sera, utilizzando stralci e lacerti dall’aria di Verdi Quell’otre, quel tino! oppure la voce di Orson Welles che fu un grande Falstaff.

Nella dinamica della commedia hanno avuto un significato complementare ed efficace, quasi suadente, i movimenti degli attori curati  da Marta Ciappina che ha giocato con l’ambiente scenico come in una scacchiera, dove i corpi destinati a procedere con un andamento orchestrato tessevano una ragnatela empatica. Essi si vedevano muoversi  con cadenze capaci di disegnare paesaggi dell’anima, interpretando e suscitando in chi guardava  sentimenti ed emozioni. Motivi cadenzati, pensati, o a anche improvvisi come la mossa di un pezzo sulla tavola quadrata della scacchiera.

Non si possono spendere poi almeno alcune parole per quel fanfarone di Sir John Falstaff impersonato da Davide Falbo che nel suo corpo imponente e nell’esibizione della sua carnalità ha saputo interpretare anche il bullismo e la superbia audace e ostinata che individua lo spaccone o, guardando alla nostra contemporaneità, l’uomo insicuro ed arrogante.

Patrizia Lazzarin, 31 dicembre 2023

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Un signore in abito da sera, la gardenia all'occhiello…

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Cosi  ne parla  Neri Pozza, l’amico editore, quando vede Vucetich a Vicenza per la prima volta ad un concerto. Mario Mirko Vucetich nacque a Bologna nel 1898 e fu un artista e soprattutto un uomo attento a tutto ciò che accadeva intorno a lui, sperimentatore nei differenti ambiti dove l’essere umano può inventare. Di formazione architetto, fu scultore ed esperto nella decorazione pittorica.

Come architetto il suo nome si lega ad una villa che  rappresenta il suo progetto più noto: il villino al mare per i coniugi italo statunitensi Dante e Egle Antolini. Realizzato in due anni, tra il 1923 e il 1925, a Riccione sulla riviera romagnola, esso riunisce l’eleganza del Liberty allo stile barocchetto in chiave borrominiana, protendendo la sua facciata dalle linee sinuose verso il mare.

La rassegna che si è aperta verso fine dicembre a Vicenza, a Palazzo Chiericati e, a lui dedicata, fa conoscere in modo ampio la sua attività e produzione che si sviluppa dalla progettazione di ville, giardini e fontane alle  scenografie per il teatro, il cinema ed altri eventi. Fu anche  giornalista e critico, autore di testi teatrali, attore, traduttore e poeta. Il suo ritratto dello scrittore Goffredo Parise del 1951, in posizione isolata e all’inizio del percorso espositivo, in deroga al criterio cronologico seguito dalla rassegna, si spiega con il grande spazio riservato nella mostra al suo periodo vicentino.

Vucetich  nei primi anni Venti si era trasferito da Bologna a Roma dove si era ricavato uno studio d’artista presso Villa Strohl Fern a Villa Borghese. Qui avrà modo di conoscere alcune figure straordinarie del Novecento artistico italiano. Fra essi ci furono lo scultore trevigiano Arturo Martini, Efisio Oppo, fondatore della Quadriennale, Massimo Bontempelli teorico del “Realismo magico” e Anton Giulio Bragaglia, famoso per il suo Teatro sperimentale degli Indipendenti che prenderà poi il nome di Teatro delle Arti. Fucina d’avanguardia, ad esso il nostro collabora come scenografo, costumista, attore e traduttore.

A Vicenza giungerà nel 1945 al seguito delle truppe di liberazione americane, dopo essere stato costretto a lasciare durante la seconda guerra mondiale il suo studio a Roma e dopo una breve parentesi a Siena. Fu  amico di Neri Pozza e degli industriali più illuminati della città berica. Per la casa editrice divenne illustratore di edizioni di pregio come Il Primo Libro delle Favole di Carlo Emilio Gadda ed è sua l’invenzione della celebre Partita a scacchi di Marostica, la cui prima edizione risale al 1955.

 La rassegna ospitata nelle sale ipogee di Palazzo Chiericati permette la comprensione di questa eclettica e poliedrica personalità grazie alla ricca donazione di opere dell’artista destinata nel 2023 da Maurizio Breganze e dalle nipoti, Laura e Paola Baldisserotto, in memoria di Maria Grazia Breganze. Complessivamente essa riunisce quarantacinque sculture, trecento opere grafiche e un archivio di documenti e fotografie che in parte potremmo conoscere nell’esposizione  a cui si aggiungono altre opere provenienti da prestiti.

A Vicenza, Vucetich era giunto una  prima volta nel 1942 quando scolpì la scultura Il primo sonno per la Biennale di Venezia dello stesso anno e di cui ammiriamo il bozzetto in mostra.  Visse  anche a New York per due anni dal 1929. Qui progettò giardini e decorazioni per la borghesia statunitense e più tardi come scultore lavorerà anche in Brasile, per il palazzo progettato da Marcello Piacentini per l’industriale Ermelino Matarazzo. Sempre nella veste di scultore e anche di progettista fu coinvolto  in numerosi cantieri del Regime come per il piano di Via dei Fori Imperiali e di via dei Trionfi.

I volti che raccontano la sua vita: scrittori, amici e intellettuali del periodo romano e vicentino li rivediamo in mostra negli intensi ritratti  costruiti in gesso, terracotta o bronzo. La profondità del suo sentire si rivela in particolare nella sua scultura sacra, le cui forme traducono il sentimento in pathos. Nel Tempio Nazionale dell’Internato Ignoto a Padova, secondo altare della patria per la presenza delle spoglie di un internato ignoto esumate da una fossa comune a Colonia, si trovano alcune delle sue opere più toccanti e intrise di un dolore che si rivela ad una  prima osservazione.

Esse sono il Cristo di Buchenwald, posto sopra il sarcofago che custodisce i resti dell’internato, Il Crocefisso degli internati per l’altare maggiore e la scultura la Pietà del Perdono. Condannano l’assurdità e la brutalità della guerra e invitano al perdono. L’esposizione promossa dai Musei Civici di Vicenza e dall’Accademia Olimpica ha la curatela di Maria Elisa Avagnina, Angelo Colla, Alessandro Martoni e Mauro Zocchetta. 

Patrizia Lazzarin, 28 dicembre 2023   

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