Domandine a Di Maio

Questa è una richiesta cortese di chiarimenti al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rappresentante carismatico di un partito che ha fatto campagne “a favore della trasparenza” e contro “lo spreco di denaro pubblico”. La sera di domenica 22 marzo il ministro era all’aeroporto militare di Pratica di Mare, poco a sud di Roma, per accogliere il primo di nove voli militari provenienti dalla Russia con a bordo un carico di soldati, di mezzi e di aiuti sanitari. Il quotidiano La Stampa sostiene che il ponte aereo è stato pagato dall’Italia mentre Sputnik, che è un organo di informazione del governo russo, quel giorno scrisse che “le operazioni di invio degli aiuti russi all’Italia sono a carico del Ministero della Difesa russo”. Si trattava di nove aerei da trasporto Ilyushin-76 che partirono nel primo pomeriggio dall’aeroporto militare Chkàlovsky di Mosca, seguirono una rotta anomala per non passare sopra all’Europa orientale e quindi volarono sopra Turchia, Grecia e Albania prima di arrivare in Italia. Almeno cinque ore di volo all’andata e altrettante al ritorno. Secondo gli esperti sentiti dal Foglio, il costo dell’operazione è superiore al mezzo milione di euro almeno (e stiamo prendendo per buona la più bassa delle stime perché, appunto, non ci sono dati pubblici). E’ possibile sapere chi ha pagato quel mezzo milione di euro? E se la cifra non è esatta, quanto è stato il costo reale? C’è da notare che una settimana dopo l’Albania ha mandato in Lombardia una squadra di trenta medici e infermieri – lo stesso numero mandato dai russi – e si è fatta carico di tutti i costi, come risulta da un atto ufficiale del governo albanese del 27 marzo 2020. Seconda domanda. I militari russi operano in Lombardia e sono alloggiati nell’aeroporto militare di Orio al Serio, dove gli aerei Ilyushin-76 possono atterrare. I militari russi invece sono atterrati nel Lazio e poi il giorno dopo sono partiti in convoglio verso il nord del paese con le bandiere al vento – ci sono ragioni logistiche specifiche oppure l’aeroporto di Pratica di Mare vicino a Roma era considerato una cornice migliore per l’arrivo degli aiuti, che fu trasmesso in diretta? Terza domanda, che rischia molto di essere retorica. La parte più pesante del carico dei nove aerei russi erano i mezzi militari della missione, che possiamo dividere in tre categorie. Camion telonati per il trasporto truppe, camion con uno shelter di alluminio – probabilmente per contenere i laboratori – e autobotti per le procedure di disinfezione. In Italia non ci sono abbastanza autobus per trasportare 104 militari russi a destinazione? E non ci sono autobotti a sufficienza – al punto che dobbiamo importarle dalla Russia con aerei cargo? Gli asset militari spostati con grande movimento di mezzi da Mosca a Roma non sono già a disposizione in gran numero in Italia? Quarta domanda. La sera di sabato 21 marzo l’agenzia russa Tass raccontò della telefonata fra il presidente russo Vladimir Putin e il premier italiano Giuseppe Conte. Il russo secondo il testo della Tass confermò la propria disponibilità ad aiutare l’Italia. Il comunicato specifica che la telefonata fu chiesta “dalla parte italiana”: volevano che si capisse che c’era stato un invito ufficiale da parte dell’Italia. Ma il giorno dopo nel primo pomeriggio all’aeroporto Chkàlovsky si vedono i camion salire a bordo degli aerei e hanno già gli adesivi con il logo della missione e lo slogan “Dalla Russia con amore” tradotto in tre lingue. E’ come se la missione fosse stata preparata dai russi con molto più anticipo di quel che sappiamo in via ufficiale ed è come se la notizia della richiesta al telefono di Conte fosse soltanto una formalità necessaria – del resto nove aerei militari russi si preparavano ad atterrare in Italia, ci voleva un assenso netto. Da chi è partita la proposta di mandare una missione militare russa con scopi umanitari in Italia? Da Mosca oppure dall’Italia? La pandemia ha travolto la vecchia idea di normalità, ma un convoglio militare russo che atterra nel Lazio per dirigersi nel nord dell’Italia è un fatto spettacolare e anomalo – e non si è visto in nessuno degli altri paesi europei colpiti dal virus. Così spettacolare da rischiare di diventare un’operazione di propaganda politica, perdipiù a spese nostre, in particolare mentre il paese ha un rapporto difficile con l’Europa e l’idea stessa di Unione europea è messa in crisi dalle conseguenze pesantissime delle misure adottate per frenare il virus. Per questo occorre capire bene i contorni dell’operazione – grazie alle risposte che eventualmente arriveranno, in nome della trasparenza.

Daniele Raineri – Il Foglio – 18 aprile 2020

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Scontro sul Mes nella maggioranza Pil, il calo del 9%

Sul Mes lo scontro nel governo è ormai visibile, sul resto le tensioni tra M5S e Pd stanno per deflagrare, perché — come ha confidato giorni fa Zingaretti — «la situazione è più disperata di quel che si vede». Sull’uso dello strumento finanziario europeo il segretario del Pd rende pubblica la posizione del suo partito anticipata la scorsa settimana da Franceschini a Conte, tra le urla di un vertice che è parso la premessa della crisi. È una linea rappresentata oggi da un vasto schieramento che accomuna Bersani e gli industriali, che unisce Prodi e Berlusconi, convinto a sganciarsi dagli alleati del centrodestra siccome «sarebbe oggi un clamoroso errore rinunciare al Mes senza condizionalità». Il capodelegazione del Pd l’aveva già spiegato a un premier recalcitrante che «non potremo fare a meno di un prestito a tasso zero garantito dalla Bce», ché poi è la tesi sostenuta fin dall’inizio da Renzi, secondo cui «l’italia dovrà usare ogni risorsa offerta dall’europa per non finire sbranata sui mercati dagli squali». Conte venerdì aveva resistito per tentare di non perdere i grillini al suo gabinetto, e ieri Di Maio ha usato le sue stesse parole per dire no al Mes e inchiodare il premier alle sue contraddizioni. Lo showdown nella maggioranza è già iniziato, per ufficializzarlo si attende «l’esito degli incontri» a Bruxelles, come ha sottolineato Zingaretti. Ma le emergenze nazionali provocate dall’emergenza Covid–19 non si limitano ai problemi economici. E nel governo c’è la consapevolezza che il Paese non è pronto per la «fase due». Fonti qualificate raccontano che la task force guidata da Colao, appena insediata, è già finita «nelle sabbie mobili», se è vero che alle prime riunioni hanno partecipato anche «i capi gabinetto dei ministeri» come fossero vigilantes: «E se quelli del comitato non stanno attenti — ha commentato un autorevole ministro — gli staccano anche la linea del telefono». segreti». C’è poi l’anpal, che dovrebbe garantire le politiche attive, «ma che finora non ha fatto nulla», al punto che la pd Gribaudo in Parlamento ha chiesto formalmente la testa del presidente. E ancora non è arrivata «la bufera», che nelle previsioni incrocerà la fine del lockdown e le ripresa delle attività produttive, con le tensioni crescenti tra istituzioni nazionali e locali che si accavalleranno alle esigenze diverse di imprese e sindacati, mentre gli istituti internazionali pronosticano per il 2020 un crollo del Pil italiano a cavallo della doppia cifra. Perciò ministri democratici e grillini sono consapevoli che «l’attuale governo non potrà reggere l’onda d’urto», anche perché «pure dal Colle si avvertono segnali di scollamento». È chiaro che il nodo europeo sarà dirimente, ma il grumo di problemi irrisolti ha portato nei gruppi parlamentari del Pd la fibrillazione a un punto che Conte viene ormai vissuto come «il moderno rappresentante del cadornismo», il generale della disfatta di Caporetto: «Tipico tratto di una classe dirigente non all’altezza del momento storico, che accentra i poteri tranne poi scaricare le responsabilità». In questo contesto è surreale la baruffa che si è scatenata ieri in Vigilanza Rai sul ruolo dell’emittente pubblica. Ed è tale la distanza tra Pd e 5S che nelle chat dem circola un tweet del renziano Faraone, secondo cui «il tg Uno è diventato il Giggiuno», con chiaro riferimento alle presenze televisive di Di Maio. L’affaire-mes potrebbe diventare il detonatore della crisi latente, anche perché «se il Mes verrà attivato — come ha scritto un dirigente grillino ai colleghi del Movimento — non sarà in mio nome. Ma in nome del governo Draghi».

Francesco Verderami – Corriere della Sera – 15 aprile 2020

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L’uomo del Navigator è naufragato

Se n’è ghiuto, come dicono a Pomigliano d’arco, se n’è andato, insalutato ospite. Domenico «Mimmo» Parisi, l’uomo venuto dal Mississippi per regalarci i navigator e messo da Luigi Di Maio al vertice dell’Anpal, Agenzia nazionale politiche attive lavoro, è tornato negli Stati Uniti senza regalarci il miracolo promesso: con una semplice app avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dell’occupazione in Italia. La app del Mississippi era profilata in modo tale da fornire questi dati: dov’è il posto di lavoro, quali le condizioni contrattuali, quanto il monte ore di lavoro e quanto lo stipendio. Facile no? Facilissima se usata dai navigator, quei «facilitatori» assunti da Di Maio con il compito di assistere i beneficiari del reddito di cittadinanza nella ricerca di un posto di lavoro. Risultato? Un bluff, scampoli di specialismi destinati al fallimento. Adesso a Parisi contestano persino le spese: 71 mila euro per i voli con gli Stati Uniti, 50 mila per il noleggio auto con conducente, 30 mila euro per l’affitto di una casa. «Tutto rigorosamente non rendicontato», secondo le opposizioni, che chiedono le sue dimissioni dall’Anpal. Speriamo che la tragedia del coronavirus finisca in fretta, ma speriamo anche che ci riporti con i piedi per terra, che il nostro destino non sia più nelle mani di un passante sconosciuto o di una sbornia populista.

Aldo Grasso – Corriere della Sera – 12 aprile 2020

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