M5S all'incasso, rilancia il progetto eversivo

Luigi Di Maio passa subito all’incasso dopo la vittoria sua e di Rousseau sul referendum costituzionale: ha appena tagliato il numero dei parlamentari, punizione capitale della politica e dei suoi interpreti, ma adesso promette che arriveranno anche «strumenti» per non fare cambiare casacca ai deputati e ai senatori. «Non dico che dobbiamo cambiare la Costituzione sul vincolo di mandato», dice magnanimo Di Maio, ma il senso è che vadano comunque adottati «strumenti» che impediscano ai parlamentari di cambiare idea. Cioè vuole imporre il vincolo di obbedire al partito. Il commento di Christian Rocca su Linkiesta.

Non siamo su Scherzi a parte, il M5S propone la mordacchia ai parlamentari

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Si scaldano i motori della politica, si avvicina il referendum

La via maestra di una posizione riformista sulla questione del numero dei parlamentari è quella del monocameralismo, una Camera che vota la fiducia ed esercita il ruolo politico fondamentale. Invece il taglio dei parlamentari oggetto del referendum del 20 settembre, addirittura scisso dalla riforma elettorale è una controriforma, ispirata a una pura e semplice logica antiparlamentare. Il che sta nella subcultura dei 5S e nel caso di un eventuale successo del Si la vittoria se l’ascriverebbe solamente Luigi Di Maio. Mentre Nicola Zingaretti farebbe la figura del convitato di pietra. Il Pd non avrebbe solo e soltanto un ruolo ancillare, ma sarebbe scornato soprattutto per non aver portato a casa la legge elettorale di conio proporzionale con sbarramento. (...) Battersi per il No è impegno sacrosanto, visto che il taglio fa parte del populismo becero dei 5S intenzionati ad umiliare la democrazia rappresentativa e punire i parlamentari confondendo la qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso del Parlamento.Il commento di Fabrizio Cicchitto e Biagio Marzo su Il Riformista.

Referendum, se vince il sì, la democrazia perde

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L'Italia non ha una sua politica estera

  • Pubblicato in Esteri

«La strategia di questo governo sugli immigrati dalla Libia? È semplicissima: non c’è. L’unico punto fermo è l’appoggio alla guardia costiera di Tripoli, che ha appena sparato alla schiena a tre migranti in fuga. Per il resto nulla. Naturalmente se avessimo un ministro degli Esteri, sarebbe meglio. Ma sulla Libia l’Italia non ce l’ha». C’è piena sintonia tra i dirigenti del Viminale che lavorarono al dossier libico durante il governo Gentiloni e i dirigenti del Pd che li affiancarono.Il commento di Carlo Panella su Linkiesta.

Il fallimento della nostra politica estera

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