Cosa ci chiede la Libia

Per mantenere la pace servono molte cose, soprattutto una: la pace. Discettare di missione di pace Onu a forte partecipazione italiana in Libia è quindi periodo ipotetico del terzo tipo. Ovvero dell’irrealtà. La realtà è perfettamente opposta. Infatti: non c’è Libia; non c’è pace; l’Onu è sbiadita franchigia impiegata dalle potenze quando non volendosi esporre si accordano su come servirsene; e il presidente del Consiglio correttamente ci informa che «non manderemo uno solo dei nostri ragazzi se non in condizioni di sicurezza e con un percorso politico molto chiaro». Dunque a lume di logica non manderemo nessuno.

Ma la storia non è logica. Il rischio che a forza di parlarne si finisca per fare ciò che si dichiara di non volere è apprezzabile. Anzi, l’abbiamo già fatto. Mentre escludiamo di inviare militari in teatro, trascuriamo che li abbiamo già mandati. Oltre trecento uomini, tra cui soldati di élite paracadutisti della Folgore - impegnati nella protezione di se stessi. Qualsiasi ragionamento sull’impiego della forza parte dalle condizioni di teatro, avendo determinato lo scopo geopolitico dell’intervento, quindi le risorse materiali e immateriali necessarie a raggiungerlo. La guerra serve per fare la pace. Altrimenti è follia criminale. In Italia tutto ciò non è ovvio. Consideriamo guerra e politica attività opposte. Peccato si sia quasi soli a pensarlo, salvo Costarica, Andorra, Liechtenstein e analoghi micro-Stati. Di più: quando facciamo la guerra evitiamo di dirlo a noi stessi, in ossequio a una selettiva interpretazione del dettato costituzionale. In queste condizioni, andare a sbattere contro dati di realtà che abbiamo inteso rimuovere, spesso in ottima fede, è inevitabile. Ciò rende particolarmente apprezzabile il caveat di Conte. Sempre che ne seguano comportamenti conseguenti. Tra cui la consapevolezza che al tavolo della pace, dove non siedono solo galantuomini, hai titolo per pesare solo se puoi poggiarvi una pistola (talvolta non metaforicamente). Regola estranea alla nostra tradizione diplomatica, per cui l’essenziale è esserci. Tutto il resto viene dopo, se viene. Risultato: rendiamo più visibile la nostra scarsa influenza. Però offriamo un attimo di buonumore a chi ci siede accanto. Nel caso in questione, le rimozioni gravi sono due. La prima riguarda la Libia. Sarà che l’abbiamo inventata noi – in specie Italo Balbo, poi abbattuto dal fuoco amico (?) nel cielo di Tobruk – sicché ci riesce amaro ammetterne la scomparsa. Eppure sulla quarta sponda non c’è Stato. Né vale la classica tripartizione in Cirenaica, Fezzan, Tripolitania, tracciata con geometrie coloniali. Di quello spazio grande sei volte l’Italia con un decimo della nostra popolazione restano coriandoli. Terre e risorse contese fra centinaia di milizie, più o meno afferenti a sponsor di peso – Russia, Turchia, Francia, petromonarchie arabe rivali eccetera. Noi abbiamo sposato la causa del più debole – il signor al-Serraj, capo di se stesso.

Operazione umanitaria? Cambiare idea per provare a stare anche con Haftar non giova alla nostra credibilità.

In politica, tanto più in guerra, è meglio non finire fra due sedie. Fra due fuochi. L’altra negazione della realtà riguarda il fatto che questa guerra - come quasi tutte quelle in corso, forse più di tutte – non risponde ai canoni dell’accademia.

Non c’è fronte. Né linee di separazione. I focolai bellici dilagano, si spengono per riaccendersi con andamento carsico, nel caos che solo i combattimenti fra irregolari e/o regolari mascherati sanno generare.

Le guerre d’oggi iniziano, difficilmente finiscono. La buona notizia è che per ciò stesso tendono a non assumere dimensioni incontrollabili. La cattiva è che non riesci a spegnerne i fuochi, ben curati dai piromani, ovvero dai molti che di guerra vivono e di pace morirebbero. La certezza è che se finisci nel fuoco incrociato, animato dal tentativo di sedarlo, sei bersaglio di tutti. “Amici” compresi.

Non resta che sperare di vedere presto installarsi sulla quarta sponda un robusto contingente italiano inquadrato in concorde e autorevole missione internazionale. Vorrà dire che il postulato di Conte – “condizioni di sicurezza” e “percorso politico molto chiaro” - sarà stato realizzato. Pace fatta, Libia rifatta, Onu rinata. Magari già domenica a Berlino.

Lucio Caracciolo – 15 gennaio 2020 – la Repubblica

Leggi tutto...

Italia nel pantano libico, non sa scegliere

  • Pubblicato in Esteri

Il Presidente degli Stati Uniti si è pubblicamente avvicinato ad Haftar; quello della Turchia ha addirittura inviato un sostegno militare a Sarraj. Al che Conte e Di Maio — colti alla sprovvista e con l’evidente scopo di non essere del tutto estromessi dai giochi — si sono presentati sulla scena internazionale improvvisandosi come pacieri. E’ credibile l’Italia in questi panni? Editoriale di Paolo Mieli sul Correre della Sera.

Libia, i nostri politici non sanno che pesci prendere

Leggi tutto...

Italia incerta sul dossier libico (ne paga le conseguenze)

  • Pubblicato in Esteri

Propensa da sempre a oscillare tra velleitarismi autolesionisti e dolorose battute d’arresto come quella infertaci ieri dal non più «nostro» Fayez al-Sarraj, la politica estera italiana è chiamata a fare sulla Libia quel che raramente le è riuscito dopo la fine della Guerra fredda, che con la sua disciplina di blocco proteggeva gli esitanti. Il commento di Franco Venturini sul Corriere della Sera.

Il rebus del Belpaese, la Libia (che se la dividono turchi e russi)

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .