Quel che nessuno osa dire di Renzi

Matteo Renzi, il toscanaccio di Rignano sull’Arno, è riuscito in un’impresa sicuramente titanica e senza alcun precedente. Non ha mai lavorato in vita sua. Ha fatto attività politica di piccolo cabotaggio (presidente della provincia di Firenze, sindaco della stessa città, poltrona conquistata senza che a confrontarsi con lui ci fosse un vero competitore, quel Giovanni Galli, berlusconiano di Forza Italia, che nel curriculum aveva quello di essere stato generoso portiere del Milan e della Nazionale), esperienza nello scoutismo. Stop. E’ diventato capo del governo. Può essere un’idea per tanti giovani in cerca di lavoro. Fanno un po’ di gavetta in qualche schieramento politico. Emergono. Propongono la rottamazione della vecchia dirigenza del partito. Appoggiano il leader di turno. Gli confermano la massima fiducia. Quando meno il leader se lo aspetta, lo pugnalano alle spalle ed il gioco è fatto. Si ritrovano un Napolitano sulla loro strada e vengono nominati (senza passaggio elettorale) premier. E’ pur vero che Renzi ha rottamato gli epigoni della vecchia classe politica. Ma del suo partito. D’Alema, Bersani, Enrico Letta, Cuperlo Civati, Fassina.. Snaturandolo, naturalmente. Recuperando un chiacchierato Vincenzo De Luca. Rubando un destrorso come Giuseppe Sala (ex dirigente di Letizia Brichetto Moratti forzitaliota al comune di Milano) trasformandolo in sinistrorso. Riuscirà meravigliosamente nell’impresa affatto ardua di mandare al macero la buona politica e di sconquassare quel che resta di positivo nel suo partito: la voglia ideale di battersi nell’agone politico per migliorare la situazione esistenziale degli italiani. Che le urne siano vuote, anzi, svuotate, al premier non importa. Il suo interesse è rivolto alla conquista delle poltrone. Da assegnare ad amici e conoscenti.  Lui sta realizzando il progetto di Silvio Berlusconi. Chissà che nel suo primo incontro ad Arcore quand’era ancora sindaco di Firenze, non fossero già state poste le premesse per la sua scalata al potere. Il Patto del Nazareno di fatto tradisce i suoi trascorsi. Che abbia raggirato il leader di Forza Italia è sotto gli occhi di tutti. Come anche il fatto che abbia abilmente raggirato i vari rottamati del “suo” Pd. Che sta diventando altra cosa. Il PdN o il PdR sono un abominio. Dovrebbero gridare allo scandalo tutti gli opinionisti. Che invece sono silenti. Hanno accettato il colpo di Stato di Renzi, la pugnalata alle spalle dell’ottimo Enrico Letta, con l’avallo di Giorgio Napolitano. Che evidentemente si era stancato dell’immane responsabilità di guidare dal Colle le sorti di una repubblica disastrata. Probabile anche lo zampino di Mario Draghi e della Confindustria. Che ha dettato al giovin signore di Firenze l’agenda: abolire l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il Jobs Act che non prevede assunzioni a tempo indeterminato bensì licenziamenti a gogò, quindi meno tutele per il mondo del lavoro. Cosa gradita a tanti imprenditori senza scrupoli. Renzi sta sconquassando la migliore Costituzione del mondo. Nessuno ne sottolinea gli scempi. Avrebbe dovuto affrontare il nodo dell’istituto regionale, abolire i privilegi delle regioni a statuto speciale. Un non senso, oggi, le regioni andrebbero accorpate. Che senso hanno regioni come la Valle d’Aosta, il Molise, la Basilicata, l’Umbria che insieme non hanno gli abitanti di una città come Milano? Ai contribuenti italiani costano e parecchio. In Valle d’Aosta c’è un consigliere regionale ogni 3 mila abitanti. Fate voi i calcoli su quanti dovrebbe averne la Lombardia con i suoi 10 milioni di abitanti. Ha trasformato il Senato in un dopolavoro dove saranno nominati senatori personaggi chiacchierati e con l’immunità parlamentare! Il buon Renzi consapevole degli sprechi della p.a. ma non ha fatto niente per metterci la parola fine. Le tasse aumentano e lui sostiene che diminuiscono. Mente sapendo di mentire. Avrebbe dovuto pretendere un taglio severo degli stipendi dei deputati, dei senatori, dei magistrati, dei dipendenti della Banca d’Italia (il governatore Vincenzo  Visco uno stipendio di 495 mila euro l’anno, Jens Weidmann, capo di Buba, ha uno stipendio di 250 mila euro, per non parlare del presidente degli Stati Uniti, che sia accontenta di 250 mila dollari l’anno). Silvio Berlusconi è riuscito a distruggere il Centrodestra, Matteo Renzi, cammin facendo, riuscirà a distruggere il Centro sinistra. In Europa lo lasciano strillare, tanto sanno che a dettare le regole restano Germania, Gran Bretagna e Francia. Il premier italiano conta quando il due di briscola.

Marco Ilapi,  2 marzo 2016

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Il muro di Matteo è a Bruxelles

Renzi, il rottamatore: finirà che qualcuno rottamerà anche lui. D’altronde la pugnalata alle spalle del povero Enrico Letta l’ha inferta lui in modo inaspettato per non dire proditorio, con l’acquiescenza del vecchio presidente della Repubblica, il quale non avrebbe dovuto consentire un cambio della guardia a Palazzo Chigi in modo così violento. Perché è accaduto tutto questo? Qualcuno ha sbagliato e dovrebbe onestamente riconoscerlo. In primis Napolitano, che già nel 2010 avrebbe dovuto sciogliere le Camere e interpellare il corpo elettorale. D’altronde, in Spagna lo hanno fatto e non è successo niente di traumatico. Anzi, la Spagna, dal passaggio da Zapatero a Rajoy ci ha pure guadagnato. In Grecia sono andati ben due volte alle urne ed il Paese ellenico è ancora lì, agganciato alla moneta unica, quando tutti (o quasi) in Europa si preconizzava una fuoriuscita di Atene dall’euro. Addirittura fra qualche settimana i partiti greci saranno nuovamente chiamati ad esprimersi sia sulla nomina del presidente della Repubblica sia, molto probabilmente, sulla scelta della coalizione governativa che dovrà confrontarsi con Troika e affini. I mercati finanziari sono già in ebollizione. In Europa si trema per il probabile successo della lista di estrema sinistra Tsipras. In Italia si tira a campare, seguendo i dettami andreottiani. Con il Paese in caduta libera. Con una classe politica che non riesce a trovare la quadra per favorire l’uscita da una pericolosa stagnazione (per essere benevoli). Il premier sta a Palazzo Chigi da nove mesi e non ha ancora partorito una riforma accettabile. Si è insediato alla guida del governo, scalzando il povero in maniera ignobile Enrico Letta, promettendo mirabilie, 80 euro a tutti i lavoratori (trascurando chi ne avrebbe avuto maggior bisogno, ossia i disoccupati, gli esodati ed i pensionati), ma ancora oggi risultati pari a zero. Hanno ragione i critici ad evidenziare il gap tra le mille promesse fatte e quel che è riuscito a portare a casa. Adesso si briga per l’Italicum, per le nuove provincie che sarebbero state cancellate, anzi no, per uno strano Senato proposto e che però non piace a nessuno. I responsabili degli insuccessi di Renzi sembrano appollaiati tra le diverse anime del Pd (gruppo Fassina, gruppo Civati, gruppo Bersani, gruppo Bindi, gruppo D’Alema, etc.). A mio avviso il maggior responsabile del rallentamento della nostra economia è, invece, proprio l’ex sindaco di Firenze. Che non accetta il dialogo, parla di gufi e di vecchie pratiche partitiche ormai stantìe. Lui è l’innovatore e metterà le cose a posto. Per ora non ci sta riuscendo. Gli indicatori economici sono tutti avversi, Standard & Poor’s ci ha nuovamente declassati, il nostro debito è spazzatura o quasi. La spesa pubblica continua a crescere, di spending review neanche a farne cenno, le tasse salgono. Non c’è da esserne entusiasti. In questo drammatico scenario Renzi che fa? Insulta i leader sindacali, mette a tacere quelli che non la pensano come lui, amoreggia con Berlusconi, strapazza il Movimento 5 Stelle. Intanto Roma brucia. Ce la farà il nostro baldo eroe a superare indenne i tanti, troppi, ostacoli, che si frappongono tra i suoi desiderata e le realizzazioni concretizzatesi? Se continua di questo passo, la risposta è no. Se riconosce che ha preso diverse cappellate, probabilmente riuscirà  a sopravvivere (politicamente). Sembra che, però, non sia capace di autocritica. Non solo lui, anche Debora Serracchiani non scherza. La smetta di vedere nemici dove invece potrebbe avere amici e di vedere amici dove invece conta un numero pazzesco di nemici. A mio avviso Matteo è un novello dictator che, prima o dopo andrà a sbattere. Troverà, sulla sua strada, qualcuno che gli dirà: “Matteo, stai sereno!”. Lo meriterebbe. E’ troppo sbruffone. La politica è anche confronto, dialogo, contestazione, quindi sintesi. Renzi non sembra un epigono di Giorgio La Pira, cui vorrebbe ispirarsi. E il patto del Nazareno è un ostacolo sul suo cammino. Lui non lo sa ma i nodi vengono sempre al pettine. Durante il semestre europeo a guida italiana le aspettative erano tante, risultati fallimentari. La Mogherini al Pesc, un altro flop. La politica estera è fatta dagli Stati membri dell’Unione. La battaglia con Juncker è già stata persa prima di combattere. Al posto di Renzi non saremmo orgogliosi. Almeno avesse seguito Hollande che ha sbattuto in faccia a Frau Merkel che il tetto del 3% non lo rispetterà né per quest’anno né per il prossimo. Ci vuole carattere per combattere certe battaglie ed il nostro premier non da la sensazione di sapersi opporre allo strapotere della Germania. Per fortuna abbiamo Mario Draghi che qualcosa sta facendo, anche a costo di procurare forti dispiaceri a Merkel e Weidmann, quest’ultimi presidente Buba.

Marco Ilapi

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I rischi del premier, scherza con il fuoco di Ue e Pd

Il premier avanza nei confronti dell'Unione Europea la pretesa di una maggiore flessibilità. Anche la Francia è sulle stesse posizioni. Siccome sono Paesi economicamente assai deboli per Jens Weidmann, governatore della Bundesbank è assolutamente inaccettabile e va respinta. Questo è il pensiero di Buba e del suo presidente che emerge dall'intervista che stiamo esaminando. Che cosa ne pensa Draghi? Non ritiene scorretto che il governatore d'una Banca centrale nazionale esprima pubblicamente il proprio pensiero e i suoi dissensi dalla Bce di cui fa parte? No, non lo ritiene scorretto e non ci vede nulla di nuovo. Che la Bundesbank sia contraria su alcuni punti decisivi della sua politica e in particolare alla possibilità del "quantitative easing" non è una sorpresa. D'altra parte il "qe" non è ancora stato deciso e neppure le forme della sua eventuale applicazione. Si deciderà entro il prossimo gennaio se sarà adottato e con quali regole; tra di esse una delle più importanti riguarda le modalità esecutive: se la scelta dei Paesi ai quali sarà applicato il "qe" spetterà alla Bce oppure se sarà esteso a tutta l'Eurozona in proporzione al Pil di ciascuno dei diciotto Paesi che la 

Renzi ha ormai le mani legate

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