Una scommessa incauta

Una scommessa incauta

La disastrosa e pietosa perfomance di Joe Biden nel recente dibattito organizzato

da CNN e le reazioni in proposito si prestano a varie osservazioni.

Le difese di vari esponenti democratici o della stessa Kamala Harris, che affermano

che il Presidente è in grado di reggere il timone, lasciano il tempo che trovano.

L’ipocrisia è evidente e anche esilarante.

Ben più significative sono tuttavia le reazioni di mass media notoriamente allineati

con l’Amministrazione e che invece adesso sembrano scoprire il declino fisico di Joe

Biden e lo invitano a dimettersi. Posizioni analoghe riflettono inoltre mass media

europei. Simili tardive preoccupazioni sono una priva eloquente di una più massiccia e

sfrontata ipocrisia. Non vi era infatti bisogno del recente dibattito per arrivare alla

conclusione che il personaggio è in una fase avanzata di declino mentale e fisico.

Innumerevoli episodi negli ultimi due anni tradivano in modo inequivocabile l’esistenza

di un progressivo declino cognitivo e comportamentale che si sta solo accentuando di

mese in mese.

Gli scandalizzati e preoccupati di oggi sono dunque in malafede e assomigliano

alle bandieruole che obbediscono alla direzione del vento. Da un certo punto di vista, la

tardiva e ipocrita ammissione di molti mass media e opinion leaders è ancora più

miseranda dello spettacolo di un 81 enne dal passo stentato ed incapace di articolare

un discorso ma che però pretende di ricandidarsi come Presidente degli USA. La cecità

o l’omertà del Partito democratico in proposito sono scandalose.

Il comportamento di Joe Biden in un convegno nel North Carolina poco tempo

dopo il dibattito, durante il quale egli ha reiterato le sue capacità per un secondo

mandato presidenziale, aggrava il quadro piuttosto che migliorarlo. Il balzo fra il suo

stato quasi catatonico durante il dibattito e quello per così dire ringhioso e vociferante

durante il convengo nel North Carolina è infatti così evidente e marcato da far pensare

all’azione di qualche farmaco eccitante.

L’insieme di questi elementi rimanda irresistibilmente a uno scenario inquietante e

legittima domande che vanno al di là degli aspetti elettorali.

In base a quali criteri, infatti, il cerchio ristretto dei collaboratori e sostenitori di

spicco di Joe Biden ha autorizzato, incoraggiato o magari progettato il dibattito con

Donald Trump?

E’ veramente possibile che individui come Chuck Schumer (capogruppo

democratico al Senato), Hakeem Jeffries (capogruppo democratico di minoranza nella

Camera dei rappresentanti), Jake Sullivan (Consigliere per la Sicurezza Nazionale), Jeff

Zients (Capo dello staff della Casa Bianca), la stessa Vice-Presidente Kamala Harris e i

vari altri membri dell’Esecutivo della Casa Binaca, è veramente possibile che tutti

 

costoro fossero ignari delle reali condizioni fisiche e mentali del Presidente e che quindi

abbiano approvato il dibattito?

L’evidente declino mentale e fisico di Joe Biden in innumerevoli occasioni rende

poco realistica e poco credibile tale ipotesi. Ma se è così, CHI realmente governa e

prende le decisioni a Washington? E fino a che punto ciò è risaputo e fino a che livelli?

Domande difficili ma inevitabili.

Una possibile interpretazione è che il dibattito sia stata una disperata scommessa

volta a bloccare il crescente ed esponenziale successo di Donald Trump nei pronostici

elettorali nonostante le sue innumerevoli disavventure giudiziarie. Se di scommessa si è

trattato, l’inerente mancanza di scrupoli tradisce tuttavia anche un’incomprensibile

mancanza di senso della realtà o forse i timori di un intero apparato, la cui stessa

continuità è minacciata.

Non bisogna infatti dimenticare che per anni l’intero establishment democratico ha

legittimato sé stesso tentando di affossare in tutti i modi la figura politica di Donald

Trump, ricorrendo anche alle menzogne e ai sotterranei interventi di varie agenzie

federali come CIA e FBI. L’accusa di collusione con la Russia, per esempio, che gli

costò un impeachment, si è infatti dimostrata un’operazione gestita a metà fra le due

suddette agenzie, entrambe politicizzate, come lo stesso Ministero della giustizia. Il

famoso dossier che incrimina Hunter Biden è infatti esistente, la Russia non centra nulla

e le accuse di corruzione nei confronti della famiglia Biden sono state confortate da una

lunga serie di documentazioni anche bancarie. La famiglia ha ricevuto nel corso degli

anni decine di milioni di dollari da vari Stati, senza apparenti o ragionevoli motivi che

non fossero semplicemente l’aspettativa di favori politici. Le procedure per

l’impeachment di Joe Biden a questo proposito non sono infatti cessate.

L’intero establishment democratico e i mass media allineati hanno quindi martellato

per anni sulle presunte colpevolezze di Donald Trump (vedi l’assalto al Campidoglio) e

sull’onestà di Joe Biden e sulle sue capacità. Non solo, ma hanno anche avallato le

disastrose misure di quest’ultimo in tema di immigrazione, di aiuto all’Ucraina e di

gestione economica.

Insomma, tutto un apparato è in gioco, visto che si sa che, se eletto, non solo

Donald Trump adotterebbe misure totalmente opposte ma anche una miriade di

individui sarebbero costretti a cercare un’altra occupazione, mentre altri subirebbero, in

un modo o nell’altro, delle punizioni. Personaggi come Merrik Garland, l’attuale Ministro

della giustizia, o il Segretario agli interni Alejandro Mayorkas, per esempio, verrebbero

immediatamente licenziati e presumibilmente incriminati per atti commessi durante la

loro gestione. Non a caso, è già in corso un impeachmente nei confronti di Mayorkas,

servizievole complice della politica dei confini aperti di Biden, mentre esponenti

repubblicani non escludono un mandato di arresto per Garland, che si rifiuta di rilasciare

gli audio delle interviste con Joe Biden relative alla sua illegale tenuta di documenti

riservati. Tutto suggerisce che la vera ragione del rifiuto di Garland sia appunto il fatto

 

che gli audio tradirebbero ciò che è apparso chiarissimo durante il dibattito: un individuo

con problemi di comunicazione verbale e poco lucido.

Tenendo a mente tutti i suddetti elementi, diventa ancora più incomprensibile il

come gli stretti consiglieri e alleati di Biden si siano avventurati in un dibattito cos=

platealmente irto di rischi e disastri.

Era una prova in vista della National convention democratica di agosto per la

nomina ufficiale del candidato presidenziale? Ma se era una prova, in realtà non

esistono o non sono maturati altri contendenti né Joe Biden ha fatto capire che intende

dimettersi o mettersi da parte. In un certo senso, i Democratici si sono accalappiati da

soli e sono costretti a giocare con una pedina sempre più vacillante nel senso letterale

del termine. Salvo l’esistenza di ulteriori fattori nascosti e indecifrabili, la scommessa

dell’establishment democratico ha insomma tutta l’aria di essere una scelta forzata ma

anche un macroscopico errore.

Ciò non deve tuttavia stupire e sarebbe in fondo allineato alla relativa miopia e

dilettantismo in tema di politica estera. Tutte le mosse e le strategie portate avanti fino

ad oggi, dall’Ucraina al Medio Oriente, all’Iran e alla Cina si sono dimostrate fallimentari,

un clamorosoo errore di valutazione. Se a ciò si aggiunge l’inarrestabile allargamento e

rafforzamento del BRICS e quindi il tramonto dell’egemonia del dollaro, appaiono

ancora più chiare le debolezze e le incapacità dell’attuale Amministrazione.

Anche se Donald Trump o magari un altro diverso da Trump dovesse vincere le

elezioni a novembre, la cura dell’attuale profonda crisi istituzionale, ideologica,

economica e strategica degli USA richiederà un vero e proprio miracolo.

Antonello Catani, 30 giugno 2024

 

Newsletter

. . . .