Brexit come Titanic

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Nella sua lunga storia, l'Europa, se non altro come espressione geografica, ha sicuramente assistito ad eventi ben più sanguinosi della paranoica e sempre più aberrante ostinazione in difesa del Brexit. Il fatto tuttavia che quest'ultimo sia fisicamente incruento non ne diminuisce la catastrofica portata socio-politica prima che economica né la stupefacente irresponsabilità di tutti coloro che non hanno il coraggio, l'accortezza o l'onestà di ammettere che si era trattato di una trovata sostanzialmente demagogica, proposta all'opinione pubblica senza aver preventivamente esplorato le reali implicazioni pratiche dell'uscita. Solo adesso molti si accorgono che, dalle patenti ai passaporti, al traffico aereo, alla circolazione delle merci, ai conti bancari, etc, gli effetti sono tali da modificare e complicare brutalmente il modo di vita non solo della Gran Bretagna ma anche del resto dell'Europa. Prevedere, dovrebbe essere uno dei criteri principi da parte degli uomini politici, a meno che non siano dei disinvolti improvvisatori o dei miopi incalliti o semplicemente dei ciarlatani. Purtroppo, il principio in questione non pare essere moneta corrente. Sia per il goffo referendum britannico che per le disastrose aperture tedesche alle disordinate ondate migratorie, solo adesso alcuni, non tutti, iniziano a percepirne i micidiali indesiderati effetti e le perverse ramificazioni, che peraltro non richiedevano dei geni per essere anticipate...

Vale qui la pena di richiamare quanto ha affermato di recente il noto biologo Richard Dawkins, per il quale gli incitamenti senza scrupoli di un David Cameron ai votanti – "Voi siete gli esperti" - incorporavano una clamorosa falsità, e cioè che tutte le opinioni sono uguali e hanno lo stesso valore. Come Dawkins correttamente osserva, se necessitiamo un chirurgo, cerchiamo di avere il migliore, e lo stesso vale per un anestesista, un idraulico, un meccanico, etc. In base alla stessa banale logica, una corretta valutazione delle implicazioni di un'uscita dalla UE avrebbe presupposto competenze e conoscenze di cui l'uomo comune (l'elettore tipo) è ovviamente sprovvisto o di cui era comunque infinitamente più sprovvisto due anni fa, quando ancora non erano emerse tutte le noiose ma realistiche implicazioni pratiche del Brexit. Ma gli si chiese di votare, sfruttando i fraudolenti allori della cosiddetta "democrazia", che risulta essere ai fatti una delle armi potenzialmente più devastanti inventate dall'umanità. Per chi non ci credesse, l'attuale spettacolo delle democratiche masse americane acclamanti i narcisistici e sfrontati sproloqui di Donald Trump è una deprimente e inquietante conferma.

Se all'origine di questa patetica farsa vi sono la mancanza di scrupoli e le ambizioni dei demagoghi di turno, alla sua continuità contribuiscono altri aspetti caratteriali, l'ostinazione in primis, alla quale si possono tranquillamente aggiungere la stupidità, il cinismo e sonnecchianti presunzioni e infantilismi. Le recenti proposte della Signora May a Salisburgo, il cosiddetto Piano Chequers, riconfermano quello che già da tempo appare chiaro: il governo britannico vorrebbe uscire ma senza perdere i vantaggi da membro. Insomma, capra e cavoli, ragion per cui una vignetta satirica ha mostrato Tusk offrire una torta senza ciliegie. Quando la Signora May, dopo essersi vista rigettare il suo piano, ha chiesto "il rispetto" da parte della Ue, in realtà, pare di assistere alle rimostranze di chi vuole entrare al cinema senza pagare, e si offende perché non lo fanno entrare. Il fatto che la stessa non si sia ancora dimessa costituisce un'inconfutabile ed ennesimo esempio del fatto che troppo spesso alle cariche e al potere la stragrande maggioranza degli uomini politici rinuncia solo quando si sente vicina alla finestra (defenestrazione di Praga...).

La spettacolare e surreale pervicacia di chi ancora coltiva la farsa del Brexit e si rifiuta di accettare il temibile confronto di un secondo referendum – adesso, sì, i votanti avrebbero maggiori nozioni del cosa vorrebbe dire un'uscita – non esprime ovviamente la totalità dell'opinione pubblica britannica. Conforta vedere come una pluralità di voci concordi nel denunciare l'assurdità e pericolosità del Brexit. Alistair Campbell, l'ex direttore delle comunicazioni di Tony Blair, lo ha definito "a catastrophically stupid decision" (una decisione catastroficamente stupida), mentre un personaggio dello spessore di Lord Heseltine ha dichiarato che "The British people have been sold a deceitful pup" (il popolo inglese è stato ignobilmente truffato), affermando che solo un secondo referendum o delle elezioni generali assicurerebbero a questo punto che la volontà popolare sia rispettata.

Di "stupidità" del Brexit ha ancora parlato Peterson, Presidente dell'autorevole Posen Institute, mentre lo stesso sindaco di Londra, Sadik Khan, invoca un secondo referendum. Se circolano vignette con l'allusiva scritta "BREXIT MEANS TITANIC" (Brexit significa Titanic), anche esponenti di importanti organizzazioni e di enti pubblici esprimono preoccupazioni analoghe, confutando le disinvolte (ed irresponsabili) dichiarazioni della Signora May, in base alle quali in fondo un no-deal non sarebbe poi tutto il disastro che si dice. Così, Il presidente dell'Unione degli Agricoltori ha definito "catastrofica" un'eventuale uscita disordinata (il no-deal), seguito dall'ex capo del servizio civile, Lord Kerslake, il quale ha anche lui dichiarato che un mancato accordo con la UE significherebbe "un totale e completo disastro per la Gran Bretagna".

Del resto, nonostante la grancassa pubblicitaria di sbocchi commerciali alternativi al di fuori della UE, i timori del Brexit stanno spingendo molte multinazionali – vedi, per esempio, Panasonic - a spostare le loro sedi generali europee fuori dalla Gran Bretagna. In un editoriale del prestigioso quotidiano The Guardian, a cui non può certo essere mossa l'accusa di essere anti-britannico o di promuovere facilonerie di bassa lega o di tipo scandalistico tipo The Sun, leggiamo quella che forse è la più spietata e realistica fotografia dell'attuale establishment britannico. Scrive infatti Jonathan Lis che "Il Governo non ha mai capito (sic) il Brexit e perciò ha creato un pasticcio. Esso si attende che la UE tratti la Gran Bretagna come un paese terzo e nello stesso tempo come un paese membro che merita la protezione della UE. Ciò non accade. Pertanto, in una battaglia di linee rosse la Gran Bretagna è destinata a perdere."

E' il concetto petulante e pretenzioso del capra e cavoli.

L'imperscrutabile eterogenesi dei fini, che a volte si presenta anche come nemesi, fa tuttavia pendere sulla Gran Bretagna una spada di Damocle in fondo pericolosamente in sintonia proprio con le smanie separatiste del Brexit. Solo gli illusi (o gli stupidi, di cui abbonda il mondo) possono davvero credere che nel corso del tempo i semi emotivi di un'eventuale uscita e separazione dall'Europa non agiranno anche sullo stesso tessuto della fabbrica politica britannica, costituita, come noto, da regioni con secolari rivendicazioni indipendentistiche, vedi Irlanda del Nord e Scozia.

Oltre a varie tardive ma salutari dimissioni, vi è da augurarsi che a Londra prevalga improvvisamente il buon senso. In un momento storico dove si assiste a formidabili mutamenti geo-politici e dove le manovre di alcuni "Grandi" come gli USA sono capricciosamente erratiche (e anche in questo caso disinvoltamente irresponsabili), il bisogno di una Grande Europa è ancora più imperativo. E i confini occidentali di tale Europa sono sulle coste dell'Atlantico, e non nello Stretto della Manica....

 Antonello Catani

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Brexit, la favola di un secondo referendum

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L’opinione pubblica britannica continua ad essere divisa su Brexit, cresce l’interesse per un nuovo referendum, la soft Brexit perde consensi. Durante il dibattito referendario i “brexiter” avevano giurato, sperticandosi, che l’uscita avrebbe salvato dal collasso la sanità, messo un freno alla libera circolazione, sancito l’immediato abbandono della giurisdizione della Corte di giustizia europea e garantito di riprendere il totale controllo della pesca nel mare del Nord. ll commento di Alfredo De Girolamo ed Enrico Catassi sul Messaggero Veneto.

Il nodo Brexit che non si riesce a sciogliere

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