Donne brillanti, artiste e i loro compagni di viaggio

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Con la rassegna Donne brillanti, artiste e i loro compagni di viaggio, il Kunstmuseum (Museo d’Arte) di Basilea e il Bucerius Kunst Forum, Centro espositivo internazionale di  Amburgo, proseguono il progetto di ricerca finalizzato a rendere visibili le donne nel mondo dell’arte. Vengono presentate cento opere  di 19 artiste attive nei  secoli XVI-XVIII, la cui espressione artistica viene valutata sulla base di una nuova prospettiva. Per la prima volta viene messa a fuoco, in particolare, l'influenza dell'ambiente familiare sulla loro carriera.

Il frontespizio del catalogo dell’esposizione che, rimarrà visibile al pubblico fino al 30 giugno, rappresenta Clio, così come fu dipinta da Angelika Kauffmann nel 1770-75. Come musa ispiratrice della storiografia, sostiene programmaticamente i risultati di tutte le artiste  le cui opere vediamo in mostra.

Non era raro che le donne che in seguito diventarono professioniste, nascessero  in una famiglia di artisti e ricevessero la loro formazione dal padre, dal fratello e da altri membri della famiglia o dal successivo marito. Il confronto con  le loro opere è utile perché rende chiaro anche con  quali norme sociali le donne hanno dovuto fare i conti e, quanto alla fine sia stato difficile per loro come artiste diventare visibili.

Si illuminano nella rassegna i diversi ambiti  sociali in cui le pittrici  hanno operato, nel tempo e nei differenti luoghi. La loro carriera dopo la formazione  varia molto sulla base dei contesti in cui si mossero. Alcune di esse hanno vissuto all’ombra del padre o del fratello, nei cui laboratori dipingevano. Le loro creazioni sono spesso oggi difficili da identificare a causa delle pratiche lavorative dell’epoca e il loro stile si avvicina spesso alle opere dei maestri.

Altre artiste invece sono riuscite ad affermarsi e a lavorare in modo indipendente. Molto più rari sono i casi in cui le donne sono nate in ambienti in cui i loro parenti non esercitavano  una professione artistica  e hanno comunque imparato a dipingere. Qualora poi  il matrimonio fosse imminente, occorreva superare un altro ostacolo. Di regola significava rinunciare alla propria professione e sottomettersi al marito. In alcuni casi  la donna riusciva a continuare a dipingere  nel suo atelier, ma spesso l'attenzione era ora rivolta ai figli e alla famiglia.

Tuttavia incontriamo delle eccezioni. In alcuni casi la donna aveva più successo come pittrice del marito e il modello consueto  veniva ribaltato, come nel caso di Lavinia Fontana.

Altre pittrici invece, non si sposarono affatto e  rimasero nubili fino alla fine della loro vita. Fra queste molte  ebbero successo nella loro professione. Erano ricercate presso le corti europee, tenevano seminari e insegnavano. Emblematico, a questo proposito, può essere il caso dell’artista cremonese Sofonisba Anguissola che fu pittrice  alla corte spagnola, chiamata dal re Filippo II e che  si sposò a quasi quarant’anni, dopo la morte della regina di cui era anche insegnante. Nell’esposizione  possiamo ammirare il bellissimo ritratto, opera del 1551, della sorella Elena Anguissola, pittrice anch’essa, poi diventata monaca domenicana.  

In  questo ambito ricordiamo poi la pittrice bolognese Elisabetta Sirani, morta giovanissima,  di cui in mostra possiamo vedere in particolare un dipinto del 1663 che raffigura Maddalena.  Esso rivela  la capacità dell’artista di realizzare un quadro   dove emerge il fascino  e la sensualità  della figura femminile.

Giovanna Garzoni, di cui rimangono le pregevoli e incantevoli nature morte entrò  a far parte dell’Accademia di San Luca di Roma, fatto allora eccezionale per una donna. Eccetto un brevissimo matrimonio che venne subito annullato, scelse di vivere senza legami. Ella esegui opere per committenti importanti fra i quali vi furono re e regine.

Le biografie delle artiste  e il loro ambiente socio-culturale insegnano a diffidare dalle affermazioni generali. Non esistevano leggi e regolamenti uniformi in un’Europa che comprendeva numerosi territori con proprie norme e consuetudini.

Anche se i regolamenti comunali spesso impedivano alle donne di intraprendere la carriera di pittrice, (la loro inclusione in corporazioni  o accademie di pittori era vietata soprattutto nelle aree di lingua tedesca),   vi  furono delle eccezioni.

È così che Yudith Leister ha potuto diventare membro della corporazione dei pittori di Haarlem. Nel campo della stampa e dei dipinti su carta o pergamena la naturalista Maria Sibylla Merian, le cui origini artistiche si trovano a Francoforte sul Meno e Norimberga, fu una delle figure più importanti.

Notevole è la tendenza, evidente a partire dal XVI secolo, ad espellere le donne dalle corporazioni. Fino al tardo Medioevo appariva un quadro completamente diverso. Era abbastanza comune per le donne organizzarsi nelle proprie gilde e diventare maestre di gilda. Ad esempio a Colonia, esse  dominavano anche il commercio come fabbricanti di filati, filatrici d'oro o di seta.

Gli scritti di Erasmo da Rotterdam, come L'Abate e la donna colta, possono essere intesi come una risposta alle idee allora mutevoli sui ruoli sociali delle donne che erano viste sempre più o, esclusivamente come coloro che dovevano prendersi cura della casa e dei figli e talvolta aiutare l'uomo nei suoi affari.

Erasmo (1469 - 1536), come Tommaso Moro (1477/78 - 1535), sostennero con veemenza la parità di diritti per le donne. Lo stesso vale per Agrippa von Nettesheim che seppe rappresentare il culmine di questo movimento con la sua opera De Nobilitate et praecellentia foeminei sexus (Sulla nobiltà e la priorità del sesso femminile), scritta nel 1509 e stampata nel 1529.

Quanto diversa potesse essere la considerazione del valore delle donne, soprattutto delle artiste, lo si vede anche dalle biografie degli artisti “premoderni”. Un pioniere fu Giorgio Vasari con le  sue Vite dal 1550 al 1568. Egli menziona un piccolo numero di artiste italiane, mentre Karel van Mander si limita a due pittrici nel suo libro  del 1604.

Carlo Cesare Malvasia, tuttavia, lodò le donne come nessun altro nella sua opera biografica Felsina Pittrice del 1678. Considerava le donne artiste come una componente chiave dell'identità culturale di Bologna.

Nelle corti le porte si aprivano più spesso alle pittrici. Tuttavia, solitamente erano necessarie la protezione e la richiesta del padre. Lì il loro talento era  apprezzato e avevano l'opportunità di metterlo alla prova, ma  anche i dipinti di artiste che non appartenevano alla corte, ma continuavano a vivere nelle città, erano oggetto di enorme richiesta.

Nessun genere fu escluso: eseguirono ritratti, nature morte floreali e persino dipinti storici. I Reggenti li acquistarono come preziose rarità, a prezzi altissimi. Lo scultore italiano Francesco da Sangallo (1494-1576) riferì che  già nel 1546 che le donne nelle Fiandre, in Francia e in Italia potevano ottenere buoni prezzi per i loro dipinti.

Anche Angelika Kauffmann era senza dubbio una di quelle pittrici le cui opere venivano vendute a prezzi elevati, come si può vedere da un listino prezzi prima del 1788. Come membro fondatore della Royal Academy of Arts di Londra, è stata molto apprezzata in patria e all'estero.

Le fu affidato l'onorevole compito di decorare il soffitto della sala riunioni dell'Accademia a Somerset House con dipinti allegorici. Il disegno in mostra è una di queste quattro immagini. È interessante notare che ora  Kauffmann ritrae l'Arte del disegno come una donna. Questa personificazione era riservata al genere maschile. Questo avveniva  almeno a partire dalle Vite del Vasari del 1550 in cui si parla di "disegno del padre".

Patrizia Lazzarin, 18 marzo 2024

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Andy Warhol, icona pop

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La lingua scritta cinese possiede una tradizione millenaria che,  grazie  ai funzionari imperiali che la studiavano senza introdurre variazioni significative, è riuscita a travalicare i secoli, mantenendosi con i suoi caratteri “pittografici” uno strumento di comunicazione efficace, superando le differenze importanti di centinaia di dialetti  che caratterizzano e hanno rappresentato nel corso dei millenni la sua comunicazione orale. Essa è stata cosi capace di sfidare la variabile temporale restituendo il significato di un remoto passato, al tempo stesso radice del sapere dell’uomo cinese contemporaneo. L’icona di Mao Zedong, di Marilyn Monroe, di Mick Jagger e di tanti altri cantanti, attori e politici usciti dalla mente e dalle mani  di Andy Warhol, “comunicano” con  la forza dei loro colori all’interno dei saloni della mostra a lui dedicata  e che apre oggi al pubblico, presso il Centro Culturale San Gaetano. I loro volti sembrano così confermare l’importanza del valore aggiunto dato dalla  serialità delle parole e delle immagini che nel caso della Pop Art  non è stato un messaggio riservato ad un’elite culturale, ma è diventato patrimonio di tutti. L’operazione non era difficile perché una società industriale e consumistica produce, produce, … e molto diventa disponibile per tanti. Gli oggetti icone del nuovo status symbol animano i desideri, l’immaginario e la vita di ognuno. Pensiamo solo ad uno dei manifesti di uno  dei primi interpreti della Pop o  Popular Art: l’inglese Richard Hamilton e il suo lavoro “Che cosa rende le case di oggi così diverse, così attraenti?”  Esso è un collage dove vediamo comparire fra gli oggetti e le figure, il cibo preconfezionato, la lampada con il noto marchio Ford e fra le differenti espressioni della modernità campeggia anche un lecca lecca rosso con la scritta Pop. Andy Warhol ha saputo conservare nella sua arte, molto simile nei  tratti emblematici, quel mondo da lui abitato fatto di divi  e protagonisti  della musica, della politica, del cinema  … Quegli stessi che in parte, in una sezione della mostra, vediamo popolare la serie di foto vintage di Allan Tannenbaum. Esse, eseguite negli anni tra il 1977 e il 1981, ritraggono gli ospiti della discoteca più famosa d’America. Appassionato di disegno fin dall’infanzia, Warhol nato nel 1928, nel 1945 si iscrisse al Carnegie Institute of Technology dove ricevette l’influenza del Bauhaus tedesco che fra le sue figure di spicco comprendeva anche Moholy-Nagy, sostenitore della tesi che l’opera d’arte dovesse essere realizzata senza partecipazione emotiva  e con mezzi meccanici. Certamente la filosofia di uno degli indiscussi interpreti della Pop Art, come Andy Warhol, ha raccolto questo messaggio, ma oltre la serialità, la ripetizione di figure ed oggetti, noi percepiamo il significato che hanno ancora quelle immagini nella nostra contemporaneità. Basti per questo pensare all’amatissima ed osannata  Marilyn Monroe.  Nei anni 60’ l’artista iniziò a produrre e a creare i primi dipinti che si ispiravano a immagini pubblicitarie e nel 62’ cominciò ad utilizzare la tecnica di stampa serigrafica. Fondò poi Factory: un’officina di lavoro collettivo dove operarono lui e gli allievi. Ebbe  sempre  un rapporto  speciale con il mondo della musica e famoso è il suo incontro con Mick Jagger dei Rolling Stones che gli commissionò  nel 1969 la copertina del loro successivo album che vediamo anche in mostra, assieme ad una  chitarra Mick Jagger di collezione privata. Seguono nella rassegna: Ladies and Gentlemen. Sono alcuni, non pochi, dei 250 ritratti di drag queen e donne trans latine e  afroamericane di New York che, nei loro sguardi diretti e sicuri, rispecchiano anche la maggior apertura della società americana nei primi anni Settanta. Essi tracciano l’inizio della sua ritrattistica basata su scatti personali. Le idee per  nuovi soggetti spesso a Warhol provenivano da amici e conoscenti o leggendo e vedendo qualche rivista. Muriel Latow gli consigliò di dipingere ciò che la gente conosceva meglio, come ad esempio “una lattina di minestra Campbell”. Allora, come nel processo industriale egli diventa o meglio “pensa di essere una macchina”, diventa il creatore in arte dei processi che stanno all’origine della produzione degli oggetti raffigurati. Il risultato di questa invenzione “meccanica” sono 32 varietà di minestra Campbell, di cui possiamo vedere alcune specialità in esposizione. E poi le mucche. Cows  diventano, come lui dichiara, carta da parati, pura decorazione che riempie le sale della Leo Castelli Gallery, dove si tenne una sua mostra nel 1966. Ancora una provocazione sul significato dell’arte contemporanea, il cui ruolo sembra essersi concluso nel far da tappezzeria. La serie Flowers, ispirata ai fiori di ibisco, gli fece conoscere il successo. Qui la natura è protagonista. Abbandonati ora divi, oggetti di grande consumo e disastri, egli  mescola nelle scelte di stile, astrattismo ed impressionismo sperimentando insieme le nuove tecniche del colore Kodak. In un salone dell’esposizione potremmo ammirare anche un Warhol poco noto: quello degli esordi, ma in particolare alcune serigrafie dedicate, verso la fine della sua vita, a Hans Christian Andersen, l’autore delle famose fiabe per bambini. I  visitatori della rassegna, che rimarrà aperta fino al 29 gennaio 2023  e che ha la curatela di Simona Occioni e di Alessandra Mazzoleni, potranno scoprire più di 150 sue opere tra disegni, fotografie, incisioni, sculture e serigrafie. Il percorso espositivo è stato  ideato da Daniel Buso che è anche titolare assieme a Elena Zannoni della società Artika che ha organizzato la rassegna in collaborazione con la Fondazione Mazzoleni  e la città di Padova.        Patrizia Lazzarin

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