I Servizi americani: "La Cina ha mentito sulla pandemia"

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Oltre ai morti, il dramma umano, e l'emergenza sanitaria, c'è anche la geopolitica. Perché la Cina, e in misura diversa la Russia, stanno cercando di sfruttare le difficoltà degli Stati Uniti nella gestione della pandemia di coronavirus per avanzare i propri interessi globali. La Casa Bianca, nel suo ultimo documento di strategia nazionale, le aveva già identificate come le «potenze revisioniste» determinate a minare il ruolo di Washington nel mondo, e l'emergenza sanitaria è un'occasione che non potevano sprecare, anche per rivendicare la superiorità dei loro sistemi autoritari rispetto a quelli democratici.
Mosca ha ripreso la campagna di disinformazione, e mentre Putin si assicura di restare al potere a vita, offensive come l'Ucraina proseguono. Poi ci sono operazioni al confine tra la competizione per il "soft power" e quella strategica, come il personale inviato proprio in Italia. Sul piano globale, però, gli Usa considerano la Repubblica Popolare come il vero rivale, e lo scontro è acuito dal fatto che il virus è esploso sul suo territorio.
La prima offensiva di Pechino è stata mediatica, per recuperare al danno di immagine di Wuhan, che rischia di compromettere la nuova Via della Seta, diventata la via del contagio. Il ministero degli Esteri è arrivato ad insinuare che il virus era stato portato dai militari americani, e Trump ha risposto chiamandolo per giorni il «Virus Cinese». Il segretario di Stato Pompeo ha impedito ai colleghi del G7 di produrre un documento unitario, perché pretendeva che definisse la malattia come il «Virus di Wuhan».
La seconda offensiva è stata quella del "soft power", quando Pechino ha iniziato a portare aiuti nel mondo, sfruttando l'esperienza maturata nel contenimento dell'epidemia. E questo mentre l'intelligence Usa ha scritto un rapporto in cui l'accusa di aver falsificato i dati del virus per nasconderlo.
La terza, più silenziosa ma più importante nel lungo termine, è quella militare. Negli ultimi giorni i militari cinesi hanno condotto una serie di esercitazioni, soprattutto nelle zone più contese del Mar Cinese meridionale, approfittando anche delle difficoltà dei paesi vicini in quarantena come Filippine e Malesia. Il 10 marzo hanno simulato uno scontro con nemici invasori. A fine mese il People's Liberation Army ha rivelato che «diversi caccia J-15 si sono sollevati dal ponte della portaerei Liaonong nello stretto di Bohai, dimostrando il successo delle nostre tecniche di addestramento».
Gli Usa, che nel 2019 avevano condotto 8 missioni per la «libertà di navigazione», hanno risposto con un'esercitazione condotta dal cacciatorpediniere Barry, ma tra la portaerei Roosevelt costretta ad attraccare a Guam con 400 marinai contagiati, e la Fema che ha chiesto 100.000 bodybag per le potenziali vittime civili americane del coronavirus, il Pentagono ha già parecchie distrazioni.
Il New York Times ha scritto che nell'amministrazione c'è un braccio di ferro tra le colombe Kushner, Mnuchin e Kudlow, che invitano a collaborare con la Cina anche per salvare l'accordo commerciale, e i falchi Pompeo e Navarro che restano per lo scontro. Trump ha oscillato tra un fronte e l'altro, e dopo l'ultima telefonata con Xi ha optato per la cooperazione.
Ma intanto Pechino guadagna terreno, e la sfida tornerà dopo la crisi, ammesso che allora non sarà già persa.

Paolo Mastrolilli – La Stampa – 3 aprile 2020

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Trump: sarà un successo restare sotto i 100 mila morti

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Domenica Trump aveva pro messo di aiutare l'Italia, e ieri ha parlato al telefono col premier Conte. I due leader hanno ribadito l'impegno a lavorare insieme per sconfiggere il coronavirus.
«Ieri sera abbiamo avuto una riunione in cui si è parlato dell'Italia. Intendiamo aiutarla, anche sul piano finanziario». A rivelarlo era stato il presidente Trump, durante la conferenza stampa di domenica pomeriggio alla Casa Bianca, dove aveva annunciato che le linee guida per il blocco delle attività negli Usa sono state estese fino al 30 aprile, dopo che i consiglieri scientifici lo hanno avvertito del rischio che l'epidemia di coronavirus arrivi ad uccidere fino a duecentomila americani. Trump non era sceso nei dettagli dell'assistenza che intende offrire al nostro Paese, ma rispondeva a una domanda che gli chiedeva direttamente cosa intende fare per l'Italia, anche per bilanciare l'impressione che finora gli aiuti a Roma siano arrivati solo da Cina, Russia e Cuba. Questo tema era stato discusso anche nella telefonata di venerdì scorso tra i ministri della Difesa, Esper e Guerini, che avevano confermato l'amicizia tra i due paesi e discusso la possibile assistenza del Pentagono. Fonti autorevoli spiegano che l'aspetto finanziario dell'intervento non è chiaro, ma sul piano delle forniture sanitarie si sta lavorando in maniera intensa con Washington. Nei giorni scorsi il presidente ha ordinato alla General Motors di produrre ventilatori, e ha detto che le macchine indispensabili per salvare le vite dei malati verranno mandate agli alleati che ne hanno più bisogno, come l'Italia. Questo è il primo atto concreto che potrebbe avvenire, insieme ad altri materiali come le maschere. Ieri infatti Trump ha detto di aver promesso a Conte l'invio di forniture mediche per circa cento milioni di dollari.
La conferenza stampa di domenica, oltre al tema Italia, ha segnato un netto cambio di tono da parte di Trump, perché l'epidemia potrebbe arrivare ad uccidere 200.000 persone negli Usa e nessuna città o stato verrà risparmiata. A dirlo sono stati i due principali consiglieri scientifici della Casa Bianca, Anthony Fauci e Deborah Birx. I contagi in America sono saliti a quasi 150.000 e i morti sono oltre 2.800. L'epicentro resta New York, dove ieri è arrivata la nave ospedale della Navy Comfort, con mille letti e sale operatorie. E' ancorata al Pier 90 e ospiterà i pazienti non colpiti dal coronavirus, per liberare posti nei nosocomi ai malati che rischiano la vita per il Covid 19. Un ospedale da campo è stato costruito anche nell'East Meadow di Central Park da Samaritan's Purse, per accogliere i pazienti del Mount Sinai.
Fauci ha chiarito che la sua previsione di 200.000 morti negli Usa si basa sui modelli, e dipenderà dalle scelte delle autorità e la risposta dei cittadini. Se il social distancing verrà rispettato, e i governanti aumenteranno i test, la tracciatura dei contagi e i letti d'ospedale per i malati, il totale potrebbe essere molto più basso. Quello che non cambierà, secondo la responsabile della Casa Bianca per la risposta al coronavirus Birx, è che tutte le città e gli stati verrano colpiti, e quindi devono prepararsi a reagire. Davanti a questi avvertimenti, Trump ha rinunciato all'idea di riaprire il paese a Pasqua, estendendo il blocco delle attività alla fine d'aprile. Il presidente, che per circa due mesi aveva sottovalutato l'epidemia, ha detto che «se riusciremo a contenere le vittime sotto la soglia di centomila avremo fatto un buon lavoro». Qualche speranza in più è venuta dalla Johnson & Johnson, che ha annunciato l'inizio dei test del suo vaccino sugli esseri umani a settembre, e dalla Fda, che ha autorizzato l'uso di idrossiclorochina e clorochina come cure sperimentali.

Paolo Mastrolilli – La Stampa – 31 marzo 2020

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Gli Usa impauriti si affidano a Tony Fauci

Se gli Stati Uniti riusciranno a contenere la pandemia del coronavirus, lo dovranno all'ex garzone di una farmacia di Brooklyn, nato da padre siciliano e madre napoletana, e istruito dai gesuiti. Perché Anthony Fauci, Tony per gli amici, è l'unico che ha la competenza, l'autorità e il coraggio di dire la verità al presidente Trump, cercando di spostarlo dai suoi istinti e dai suoi interessi personali verso le scelte scientificamente sensate per salvare il Paese.
Al punto che ieri, dopo aver contraddetto pubblicamente il capo della Casa Bianca in varie occasioni, si è spinto a suggerire il «lockdown» degli Stati Uniti: «È possibile che sia necessario chiudere tutto, per un paio di settimane. Ne ho parlato durante la riunione della task force guidata dal vice presidente Pence per la gestione dell'emergenza».
Tony è nato nel 1940 a Brooklyn, da una famiglia che incarna la storia dell'immigrazione italiana negli Usa. Il nonno paterno Antonino lavorava alle terme di Sciacca, mentre quello materno, Giovanni Abys, era un artista napoletano che dipingeva paesaggi. Entrambi erano arrivati passando da Ellis Island, e si erano stabiliti nella Little Italy di Manhattan. Poi si erano trasferiti nel zona di Bensonhurst a Brooklyn, dove i loro figli Stephen ed Eugenia si erano conosciuti alla scuola superiore e poi sposati, mettendo al mondo Denise e Anthony. Stephen era studioso ed era riuscito ad entrare alla Columbia University, diventando farmacista. Così aveva aperto il suo negozio all'angolo tra la 13ª Avenue e l'83ª strada. Casa e bottega, perché al piano terra c'era la farmacia, e sopra l'appartamento dove vivevano. Il padre si occupava delle medicine, la madre e la sorella della cassa, e Tony andava in bici a fare le consegne. Nel frattempo era diventato il primo della classe alla Our Lady of Guadalupe Catholic Academy, la scuola del quartiere che purtroppo a chiuso l'anno scorso per mancanza di studenti. Così si era aperto le porte della Regis High School, prestigioso liceo dei gesuiti nell'Upper East Side di Manhattan, e poi del College of the Holy Cross, università sempre gesuita che avviava allo studio della medicina, perfezionata poi a Cornell. Tony era il capitano della squadra di basket, e d'estate faceva il muratore. Ancora oggi dice che la sua ispirazione viene dal motto dei gesuiti, «to be men for others».
Durante la guerra in Vietnam aveva servito con i «Yellow Berets» dei National Institutes of Health, e il nel 1984 era diventato direttore dei National Institute of Allergy and Infectious Diseases. L'anno prima aveva conosciuto l'infermiera  mentre entrambi accudivano un paziente, e nel 1985 l'aveva sposata, facendo tre figlie.
Fauci è stato uno dei pionieri nello studio dell'Aids, diventando il leader del President's Emergency Plan For AIDS Relief. La sua carriera gli ha dato un'autorevolezza che nemmeno Trump osa sfidare. Perciò quando il presidente ha detto in conferenza stampa che gli americani contagiati dal coronavirus sarebbero presto scesi a zero, Tony lo ha corretto senza paura: «Le cose andranno molto peggio, prima di migliorare». Quando Trump ha detto che il vaccino sarebbe arrivato presto, Fauci ha spiegato che «ci vorranno tra 12 e 18 mesi prima di averlo». Dietro le quinte, è lui che ha spinto per l'emergenza nazionale, avvertendo che il modello più terrificante dei CDC, che prevede fino a 1,7 milioni di morti negli Usa, non è impossibile. Ieri ha rivolto un pensiero a noi: «Ho tanti amici in Italia, mi dispiace molto ciò che sta passando». Ma proprio per evitare che gli Usa seguano la stessa sorte, e abbassare la curva dei contagi, ha suggerito il lockdown. Donald non vuole, perché contraddice la sottovalutazione dell'epidemia andata avanti per due mesi, nel timore che comprometta la sua rielezione a novembre. Ma Tony da Brooklyn se ne frega: lo caccino pure per aver detto la verità, se hanno il coraggio. 

Paolo Mastrolilli –La Stampa – 16 marzo 2020

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