Io, astensionista, voto No, convinto dal fronte del Si

Ora che si è quasi esaurita l’orgia sulle elezioni americane e sul controverso personaggio Donald Trump, in Italia l’attenzione torna a concentrarsi sul Referendum costituzionale.
La Costituzione, qualsiasi Costituzione, non è un tabù. Risente del momento storico in cui è stata concepita. La nostra è stata varata alla fine della guerra, dopo la caduta del fascismo e ha fra i suoi intenti principali quello di impedire il riaffiorare di un ‘uomo forte’ ed è quindi fatta di una serie di pesi e contrappesi, di misure e contromisure, di istituzioni che dovrebbero controllare altre istituzioni, appesantendola fortemente in un’epoca-turbo in cui le decisioni devono essere prese il più rapidamente possibile.
Ma in realtà la nostra Costituzione, come ogni altra Costituzione, è solo una mera e simbolica dichiarazione di intenti e di princìpi, in cui c’è tutto e il suo contrario per cui la si può piegare in un senso o in un altro sostituendola con la cosiddetta ‘costituzione materiale’, come è avvenuto in Italia e come ammette anche quel grande studioso della liberal-democrazia che è Giovanni Sartori (Democrazia e definizioni). Tant’è che in alcuni Paesi, molto pragmatici, come la Gran Bretagna si è rinunciato ad avere una Costituzione sostituendola con la ‘common law’.
L’errore è alla base. Non si può porre una questione così complessa, che implica il cambiamento di decine di norme, sotto forma di referendum che vuole un netto Sì o un netto No a tutto il pacchetto. In aggiunta non si può fare una riforma di questo genere in quattro e quattr’otto perché al presidente del Consiglio gli è venuta la fregola del ‘cambiamento’. Ci vorrebbe come minimo un lunghissimo e ponderato esame parlamentare. L’Assemblea Costituente, in cui erano presenti i maggiori giuristi italiani, a cominciare da Meuccio Ruini che ne divenne presidente (“Commissione dei 75”), ci mise circa un anno e mezzo di lavori per preparare il testo che sarà alla base della Costituzione attualmente vigente promulgata il 1° gennaio del 1948.
Inoltre le nuove norme sono formulate in termini talmente involuti da non essere comprensibili non dico al comune cittadino ma anche agli esperti. Marco Travaglio ha cercato di tradurre in italiano queste norme, ma è stata una fatica improba come trasformare un testo sanscrito in un linguaggio attuale.
In realtà fatte tutte queste premesse, il Referendum costituzionale diventa una questione di lana caprina. E’ semplicemente un Sì o un No a Matteo Renzi e alla sua politica. E’ stato lo stesso Renzi, ubbriacato dal successo alle elezioni europee che con quelle italiane hanno poco a che vedere, a trasformare imprudentemente il Referendum costituzionale in un referendum su se stesso. Chi vuole che Renzi resti al suo posto voterà quindi Sì gli altri No. Anche se non è affatto certo che se vince il No Renzi se ne vada a casa come aveva inizialmente promesso (“mi ritirerò dalla vita politica”). Perché poi ha fatto marcia indietro dicendo che se il partito glielo chiede resta al suo posto. Adesso ha fatto finta di cambiare nuovamente idea (“non sono uno abituato a galleggiare”). Del resto che credibilità può avere un tipo che dice all’amico “stai sereno” e due giorni dopo gli sfila il posto? Se lo avesse fatto in un bar non avrebbe potuto più rientrarci. Da noi è diventato presidente del Consiglio. Questa è l’Italia, di Renzi e degli ultimi trent’anni.
In verità si sarebbero dovute invertire le due questioni. Prima varare una legge elettorale che modifichi la precedente (il cosiddetto ‘Italicum’) e poi, semmai, pensare alla questione costituzionale. Perché almeno sapremmo qual è la consistenza dei partiti che a questa Costituzione dovrebbero poi porre mano. Oggi invece sono in campo partiti che non esistono più, come Forza Italia col suo presidente ottuagenario e in pieno marasma senile o Ncd che ha percentuali da albumina o misteriose neoformazioni come Ala o l’Udc del sempreverde Pier Ferdinando Casini, mentre non sappiamo la reale consistenza delle due formazioni che si giocano la partita, i Cinque Stelle e il Pd. Elezioni subito, questa è la questione. Tutto il resto è fuffa.

Massimo Fini - il Fatto Quotidiano - 20 novembre 2016

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Mogherini, Lady Pesc a sua insaputa?

Federica Mogherini avrebbe dovuto essere presente a Minsk per rappresentare la posizione dei 28 Paesi facenti parte dell'Unione Europea quanto meno a fianco di Angela Merkel e François  Hollande. Invece niente. La Mogherini è scomparsa, non l'hanno interpellata e la Lady Pesc, alto rappresentante della politica estera europea, è rimasta a Bruxelles. Nessun editorialista ne parla ma uno degli insuccessi più clamorosi di Matteo Renzi è stato quello di avere preteso a nomina a ministro degli esteri dell'Unione Europea di Federica Mogherini. Oltre a quello di avere assegnato portafogli del suo esecutivo personalità di seconda e tripla fila come Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Federica Guidi. Ma tant'è. Il politologo Giovanni Sartori alcuni anni fa, scrivendo della qualità dei componenti del governo Berlusconi quater, aveva riferito di livello assai modesto dei membri di quell'esecutivo. Renzi si è solamente ripetuto. L'Europa non esiste e quel che sta accadendo in questi giorni, in queste ore lo dimostra. Federica Mogherini sembra impegnata in incontri diplomatici con scarsa rilevanza politica. Eppure, Matteo Renzi ne aveva propagandato la nomina a Bruxelles come un grande successo, facendoci pure dimenticare lo scotto pagato: l'assenza di esponenti italiani nelle caselle che davvero contano, quelle economiche, nel Consiglio e nella Commissione. Ovvio: bisognava far digerire il nome della Mogherini, ritenuta dai nostri partner inadeguata al ruolo per insufficienza di curriculum. Ci vollero mesi per convincerli. In cambio, l'Italia abdicò a poltrone più rilevanti e concrete, come quella di Commissario UE all'Agricoltura o, forse, alla possibilità che Enrico Letta, sostenuto da Londra, Parigi e Berlino, diventasse presidente del Consiglio Europeo. Il paradosso è che la Mogherini è contenta così e lo dichiara: "Il mio riferimento sono i ministri degli Esteri". Le seconde linee, non. i capi di Stato e di governo. In compenso,ha spiegato a la Repubblica che comunque segue "passo per passo in contatto costante con Berlino questo tentativo. Merkel e Hollande sono portatori di una proposta autenticamente europea". E sarebbe il colmo che non fosse così. Di fatto Angela Merkel e Francois Hollande hanno dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, che il ministro degli esteri europeo non esiste o, se esiste, non conta nulla. Come non ha particolarmente inciso nel prese cedente governo europeo l'ultima Lady Pesc, la Margareth Asthom, figura assolutamente anonima, a giudizio unanime di tutti, in Gran Bretagna (il Paese di elezione), prima di tutto, poi in tutta Europa. La Mogherini rischia di fare la stessa fine. Un successo per Renzi la sua nomina? No, certamente un intoppo non da poco. E se il premier continua ad operare scelte di questo spessore, al 2018 non vi arriverà indenne, ossia alla guida di un esecutivo di scarso peso ed efficacia. Prima lo capisce, prima saprà prendere ne necessarie contromisure. Il governo deve avere un orizzonte nitido. Cosa che non è. Il premier non può pensare di realizzare una politica economica che accontenti il centrosinistra ed il centrodestra contemporaneamente. O sceglie un percorso o ne sceglie un altro. La politica estera del suo governo è fragile, affidata ad un brav'uomo come Gentiloni che non sembra in grado di essere incisivo. Sarebbe stato preferibile una personalità come Massimo D'Alema, per fare il nome di un esponente del partito democratico. Renzi ha operato, nella scelta dei suo collaboratori a Palazzo Chigi, come aveva operato Silvio Berlusconi. Di cui dimostra ogni giorno di più di essere il continuatore. Ricordate quando aveva, nel suo secondo ministro degli governo, come ministro degli esteri il competente Renato Ruggiero? Ebbene, Berlusconi cacciò dalla Farnesina il suo "tecnico" perché voleva, Ruggiero, svolgere appieno il suo compito di ministro degli affari esteri, cosa incomprensibile per un uomo come Berlusconi. Che, infatti, avocò a sé l'alto incarico. Renzi, in condizioni politiche diverse, in un clima esasperato con l'insorgenza di conflitti sul suolo europeo, con dinamiche pericolosissime che si prospettano sul fronte meridionale del vecchio continente (leggasi Libia e flussi immigratori incontrollati dall'Africa e dalla Siria) e con la presenza dei fondamentalisti islamici dell'Isis, corre il rischio di baloccarsi con poteri che non riesce più a controllare. L'economia del Paese non decolla. Ha sprecato 10 miliardi di euro di un bilancio asfittico per raccogliere un pugno di mosche. Ha tentato di associare a sé Silvio Berlusconi grazie ad un discusso patto del Nazareno di cui tutti hanno parlato (a favore e contro) senza averlo mai letto. Ha piazzato al Quirinale un novello Scalfaro con il dissenso netto del pattista di Arcore. E le riforme ancora non ci sono. No scommetterei che Renzi sieda a Palazzo Chigi ininterrottamente fino al 2018. Troppi gli errori il premier che sta commettendo. E li rivendica come successi personali. Il che è ancora più grave. La carognata maggiormente inaccettabile è stata la pugnalata di Matteo Renzi alle spalle di un povero Enrico Letta nel gennaio del 2014. L'ex sindaco di Firenze, ritengo, si aspetti prima o poi un tradimento, in risposta al suo "Enrico,stai sereno!". Insomma, si può conclude con un "chi la fa l'aspetti". L'Italia aspetta segnali di crescita.

Marco llapi

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