Il loquace Sangiuliano

Scrive Massimo Gramellini sul Corriere della Sera nel suo Caffè: "La differenza tra Sangiuliano e Socrate è che uno diceva «so una cosa sola, di non sapere nulla» mentre l’altro è talmente convinto di sapere tutto che spinge il suo sfoggio di erudizione fino a un punto in cui cominci a sospettare che davvero non sappia niente. La sua ultima lectio magistralis riguarda Colombo (l’ammiraglio, credo, non il tenente) che voleva raggiungere le Indie circumnavigando la Terra. Nessuno avrebbe fiatato, se il ministro non avesse sentito l’esigenza di aggiungere che Colombo si era ispirato alle teorie di Galileo, nato 72 anni dopo lo sbarco delle caravelle. Peccato, perché Sangiuliano parte sempre bene. Ricordate? «Quando uno pensa a Parigi, pensa all’arco di Trionfo». Chiunque non sia comunista e in malafede riconoscerà che la frase era pertinente. Se fosse finita lì. Purtroppo, non finì lì: «E quando uno pensa a Londra, pensa a Times Square». Stessa solfa al premio Strega: «Le storie dei libri finalisti fanno riflettere». Un po’ vago, ma perfettamente intonato al contesto. Ancora una volta sarebbe bastato fermarsi. E invece lo sventurato aggiunse: «Proverò a leggerli».
Da dove nasce questo bisogno di infilare sempre qualche sdrucciolevole postilla? Forse da un complesso di inferiorità che lo porta a strafare. Sangiuliano non si rivolge a noi comuni mortali, ma agli intellettuali di sinistra da cui vorrebbe tanto essere apprezzato. Però quelli sono ancora più furbi di lui. Parlano complicato: così, quando non sanno qualcosa, nessuno se ne accorge".

Una piccola riflessione si può tentare di fare. Questa classe politica che si è insediata a Palazzo Chigi dall'autunno del 2022 sta dimostrando la sua inadeguatezza. Si ricordano le uscite di Lollobrigida, Garnero-Santanchè e La Russa, le promesse (poi disattese) della stessa premier Meloni sulle accise da togliere (e ancora non le ha tolte!). Bisogna ricordare le parole del grande Giorgio Gaber nella sua Destra-Sinistra per darci una svegliata e suggerirci considerazioni sulla pochezza della nostra classe politica oggi. Se i cittadini non vanno più a votare la motivazione va intravista in questa suggestiva affabulazione del cantautore milanese:

Le parole, definiscono il mondo, se non ci fossero le parole, non avremmo la possibilità di
parlare, di niente. Ma il mondo gira, e le parole stanno ferme, le parole si logorano invecchiano, perdono di senso, e tutti noi continuiamo ad usarle, senza accorgerci di parlare, di niente.

Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra

''Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra
Fare il bagno nella vasca è di destra
Far la doccia invece è di sinistra
Un pacchetto di Marlboro è di destra
Di contrabbando è di sinistra
Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra
Una bella minestrina è di destra
Il minestrone è sempre di sinistra.

I blue-jeans che sono un segno di sinistra
Con la giacca vanno verso destra
Il concerto nello stadio è di sinistra
I prezzi sono un po’ di destra
Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra
I collant son quasi sempre di sinistra
Il reggicalze è più che mai di destra
La pisciata in compagnia è di sinistra
Il cesso è sempre in fondo a destra.

Io direi che il culatello è di destra
La mortadella è di sinistra
Se la cioccolata svizzera è di destra
La Nutella è ancora di sinistra
Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra".

Parole scritte nel 1994 e straordinariamente attuali oggi. Occorrerebbe avere un obiettivo che dovrebbe essere l’interesse della maggior parte delle persone che siano orientate a votare al centro, a destra o a sinistra, senza demonizzare chi la pensa in modo diverso. Cosa che non si è più capace di fare. Bisogna riconoscere che Giorgio Gaber (la cui moglie Ombretta Colli, Forza Italia, è stata negli anni Novanta presidente della provincia di Milano), l’ha pensata giusta nel momento di crollo di una classe politica, quella della cosiddetta Prima Repubblica, che, a spanne, si è rivelata molto migliore da quella che da oltre trent’anni l’ha sostituita. Il
tanto vituperato CAF, i nani e le ballerine di Bettino Craxi, tutto sommato, erano preferibili alla classe politica attuale. Ci è intellettualmente onesto non può che riconoscerlo. A ridateci il Mattarellum, insomma. E vediamo di riformare il Rosatellum tenendo conto delle necessità di tutti gli elettori e non degli interessi di bottega degli attuali partiti che, a parte qualche lodevole eccezione, non fanno congressi, non discutono, impongono il punto di vista di un capo. E questo sa un pizzico di vecchissimo autoritarismo. Marco Ilapi - 25 giugno 2024  

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Quando abbiamo iniziato a odiare i vecchi? Un racconto di Dino Buzzati, cronista metafisico, e certi indizi di mezzo secolo fa

  • Pubblicato in Cultura

Una notte buia di Milano. Ma non deserta, come queste piene di paura che abbiamo imparato a vivere. Una notte di maggio di viali di periferia e spiazzi di lunapark spenti, che il grande cronista di Milano conosceva bene. “Roberto Saggini, amministratore di una piccola cartiera, quarantasei anni, capelli grigi, bell’uomo, fermò alle due di notte la sua automobile a pochi passi da un bar tabaccheria, chissà come ancora aperto. ‘Un minuto e torno’ disse alla ragazza seduta al suo fianco. Era una bella ragazza, alla luce dei lampioni al neon il rosso delle labbra spiccava come un esaltato fiore”. Un inizio hard boiled, o da pagine di nera cittadina. Invece è l’inizio di un filo di domande più inquiete, dolorose. Di quelle che un grande scrittore come Dino Buzzati, abituato a farsi domande serie, sebbene facesse il giornalista, sapeva anticipare di anni. Anzi decenni. E’ l’inizio di Cacciatoridivecchi, un breve racconto dei tanti che Buzzati pubblicò sul Corriere della Sera. Sta uscendo dal tabaccaio, “il sinistro richiamo echeggiò”. “Il sibilo lacerante, lungo, a singhiozzi, fanfara di guerra per le giovani canaglie: nelle ore più strane della notte esso scuoteva dal sonno interi rioni e la gente con un brivido si rintanava ancor di più nel letto, raccomandando a Dio lo sciagurato di cui si stava iniziando il linciaggio”. “Dàgli! Dàgli al vecchio”. Non una notte metafisica, come nei quadri o nei fumetti che Buzzati disegnava con storie noir o misteriose. Ma, metafisico com’era, in questo racconto va al cuore di un problema, molto prima che ci si arrivasse noi mezzo secolo dopo: a quella alzata di spalle, rintanati nel nostro letto etico, di cui tutti si stanno accorgendo, con indifferenza o raccapriccio: sono vecchi, possono anzi devono morire. Quando abbiamo iniziato a odiare i vecchi? Buzzati non immaginava nessun virus, ma aveva intuito qualcosa. Ci sono due numeri di questo racconto che sono le sue spie più significative: 1962 e 46. 1962 è l’anno in cui Cacciatori di vecchi, poi ripubblicato in Il Colombre e altri cinquanta racconti, uscì sul Corriere. Il Sessantotto e la sua guerra generazionale erano dì là da venire. Ma a Milano, in una notte di maggio di qualche anno prima, nel 1957, il Palazzo del ghiaccio fu “devastato dal nuovo divo del rock ’n’ roll”, o meglio dai suoi giovani fan. Il debutto della band guidata da uno sconosciuto scalmanato, Adriano Celentano, accompagnato da altri tre sconosciuti: Enzo Jannacci, Luigi Tenco e Giorgio Gaber. Buzzati aveva negli occhi un mondo dominato da una nuova autoreferenzialità, altra parola per egoismo, da un culto dell’immediato e della soddisfazione per cui “i vecchi” non erano più niente di utile. Erano solo vecchi. Per dargli la caccia, ci sarebbe voluto un po’ di tempo ancora. L’altro numero, sbalorditivo, è 46. Il nostro “bell’uomo” con giovane ragazza sarebbe oggi nel fiore dei suoi anni migliori e soddisfatti. Appena uscito, ma con calma, dalla fase della “adultescenza”. Buzzati non pensava a nessun virus, a nessuna ecatombe di fantascienza. Ma, metafisico com’era, in molti racconti si pone il problema della fine, di una morte incombente e abbandonata. Parla anche di ospedali e della loro angoscia. Come nel celebre Sette piani. Un malato, che la posizione sociale ci consente di classificare vecchio, discende i gironi dell’ospedale sgranando un rosario di delusioni, come oggi potrebbe capitare a un paziente inglese costretto a conteggiare i punti a sfavore della sua salute di vecchio: dopo otto punti, niente più cure. Buzzati racconta un’insofferenza egoistica ancora incipiente, vuota di senso e pronta a tagliare con ogni passato. Fra i teppisti a caccia, l’uomo riconosce a un tratto persino suo figlio. Nella lotta anche il figlio riconosce il padre. Ma non c’è nessuna agnizione, nessuna salvezza. Ci sarà soltanto, alla fine, la scoperta crudele di quanto male quella carica di odio per i vecchi, cioè per se stessi solo qualche anno più avanti, può lasciare sui volti di chi pensava di star meglio senza quegli impicci.

Maurizio Crippa – Il Foglio – 17 aprile 2020

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Cos'è la destra? Cos'è la sinistra? Boh!...

Grande è la confusione sotto il cielo, ma ciò nonostante la situazione non è eccellente. Gli strumenti tradizionali della politica non sono più a disposizione dei cittadini, le alleanze future tra i partiti sono al momento un rebus avvolto in un enigma, e quindi gli elettori dovranno trovare dei nuovi e speriamo efficaci criteri per decidere chi votare la prossima settimana. «Una bella minestrina è di destra, il minestrone è sempre di sinistra», cantava Gaber. Oggi il menù elettorale si è decisamente arricchito. Purché non siano minestre riscaldate.L'editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera.

Lo sfascio dei partiti

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