Primarie, la retromarcia di Matteo

Dopo aver esaltato ad ogni piè sospinto le primarie, ritenute un patrimonio per il partito democratico, Matteo Renzi sembra non amarle più. Una contraddizione in termini che contribuirà a sfasciare ancora di più quel che resta del suo partito. Che già è sconvolto dalle sue spericolate manovre. Il premier si è consegnato mani e piedi alla finanza che conta (ricordate il rapporto privilegiato con il finanziere Davide Serra?), alla Confindustria, all’euroburocrazia di Bruxelles, per non parlare dei suoi rapporti con Angela Merkel, di cui subisce il fascino e dalla quale assorbe tutto. I suggerimenti (per non dire i diktat) della coppia Merkel-Schauble sono vangelo per il nostro premier. Sono state proprio le primarie fiorentine a lanciarlo nella ribalta della politica che conta. Prima era un signor nessuno. Tra l’altro parla di lavoro, ma lui non conoscere la fatica del lavoro. Non sa di cosa parla. Come Matteo Salvini e Francesco Rutelli. Per tacere di altri politici, come Massimo D'Alema.Berlusconi, almeno, poteva affermare di essere stato un eccellente imprenditore. Giovanissimo presidente della provincia di Firenze, Renzi lanciare la sfida per il posto di primo cittadino della città di Dante e di Machiavelli. Stravince. Non  contento, vuole rottamare i protagonisti della sinistra italiana, da D’Alema a Bersani. E la storia riconosce che il progetto va in porto. Il nostro nel febbraio 2009, vince le primarie per il candidato sindaco di Firenze. 5 anni dopo, nel frattempo diventato prima sindaco, poi segretario dei democratici e infine premier, il suo Pd conquista alle Europee il 40,8% dei voti. Un record storico, precedentemente appannaggio solo della vecchia Dc. Ma lui, tutto sommato, è un ex Dc. Ha imparato bene come muoversi per raggranellare consensi. Con le primarie ha conquistato il suo partito, pretendendo che fossero primarie aperte. Adesso, visto che l’esperienza ligure (con Raffaella Paita, sconfitta e la regione consegnata a Forza Italia), quella veneta (con Alessandra Moretti, sconfitta da Zaia), Renzi non vuole rischiare più primarie aperte e vuole indicare lui chi piazzare al Campidoglio, a Palazzo Marino (Milano), a Napoli e a Cagliari. Il voltafaccia è mostruoso. La minoranza del Pd si oppone, ma alla fine sarà il segretario del partito a decidere. L’inganno è palese. Matteo ha preteso, a suo tempo, primarie aperte. Adesso è lui che deve concederle. Anzi, bisognerebbe che le primarie venissero regolamentate per legge e tutti i partiti dovrebbero adottarle per la selezione della classe politica. Nessun passo indietro è ammesso.

Marco Ilapi – 10 ottobre 2015

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