Con Draghi la costruzione europea deve darsi un’anima

Scrive Antonio Gramsci nei suoi Quaderni, pag. 957: “il fatto che il ‘progresso’ si verifica sempre come reazione delle classi dominanti al sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari con ‘restaurazioni’ che accolgono una qualche parte delle esigenze popolari, quindi ‘restaurazioni progressive’ o ‘rivoluzioni-restaurazioni’ o anche ‘rivoluzioni passive’”. Le riflessioni del prof. Giulio Sapelli su l'Occidentale.

E' l'ora di SuperMario

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Le piazze, Corbyn e il vuoto

Un mare di Sardine per accerchiare il Capitone, come a sinistra chiamano il nemico numero uno, Salvini. La metafora ittica ha preso il posto dell’antica e bucolica botanica fatta di ulivi, querce e margherite. Ma l’ambizione è sempre quella dei movimenti di sinistra: dimostrare nelle piazze la propria capacità di resistenza alla destra, nonostante rovesci elettorali, divisioni politiche, incertezze programmatiche. Ogni generazione dà il suo tributo di giovani alla causa, perché, per quanto se ne dica, destra e sinistra non sono affatto morte, vivono ancora nel cuore delle persone, non sono più ideologie ma stati d’animo, modi di intendere la vita, talvolta addirittura differenza antropologica. Eccoli dunque i ragazzi del 2020, che prendono il testimone dai ragazzi del 2002, i mitici girotondini, e sono anche più simpatici, autoironici, e meno incazzosi di quelli che stavano con Nanni Moretti (che però riappaiono anche qui, attempati ma sempre combattivi, come Daria Colombo a Milano e Paolo Flores d’Arcais a Roma, perché in piazza non ci sono solo giovani sardine ma anche stagionate sarde reduci di mille battaglie).

Il messaggio che vogliono lanciare è chiaro: c’è un popolo che si mobilita spontaneamente e che non si sente rappresentato dalla leadership politica della sinistra, capace di riprendere bandiere abbandonate come l’antifascismo, ora e sempre resistenza, Bella ciao come inno ufficiale e l’anpi che risponde «presente».

E il messaggio è arrivato: in 113 città hanno tenuto riuscitissime manifestazioni, e piazza San Giovanni ieri l’hanno riempita, una roba che ormai riesce solo alla Cgil e alla destra di Salvini+Meloni. È in ogni caso un bene: più gente fa politica e meglio sta la democrazia. L’effetto maggiore l’hanno forse prodotto a Bologna, dove hanno scosso un popolo di sinistra che sembrava depresso e rassegnato alla sconfitta nelle prossime elezioni regionali, e che ora pensa che forse si può ancora fermare Salvini sul Panaro: «Odio gli indifferenti», diceva Antonio Gramsci, opportunamente citato ieri in piazza. Ma è proprio questa funzione gerovital che indubbiamente esercitano su una sinistra anziana e debilitata a nascondere dentro di sé l’effetto collaterale, la controindicazione che finisce spesso per ottenere il risultato opposto, e a farla invecchiare ancor di più. Perché il cuore del loro messaggio è più radicalizzazione, più ideali, più intransigenza. È questo che chiedono ai partiti, ai quali contestano di non essere abbastanza «tosti» nel contrastare l’avversario, che vincerebbe dunque non per la forza delle sue idee, ma per la debolezza di quelle altrui. Insomma: più sinistra per battere la destra.

È una specie di imbuto logico in cui molto spesso finiscono i partiti progressisti: di fronte alle difficoltà sono portati a credere che l’errore non sia nelle loro idee, ma nella poca enfasi con cui le sostengono. Il riflesso condizionato che porta a dire: se Salvini chiude i porti noi dobbiamo dire che li apriremo tutti; se le cose non vanno in Europa noi dobbiamo dire che è perché ci vuole più Europa. Così non rispondendo alle preoccupazioni di chi è andato a destra, e che si dovrebbe recuperare, ma solo rincuorando quelli che restano, e sempre resteranno, a sinistra. Nel tentativo di riscoprire una mitica anima del passato, si rischia perciò spesso di perdere ulteriormente contatto con l’elettorato di oggi, e di fare la fine di Jeremy Corbyn e del suo programma, così vintage, così anni 70, che gli elettori l’hanno trattato esattamente come trattarono quello: bocciandolo.

È la sindrome che porta la Spd a cambiare continuamente leader tentando di spiegarsi perché arretra continuamente, e gli ultimi li ha scelti così a sinistra che di più non si può, senza però effetti rigeneranti. Oppure è la tentazione dei democratici americani di battere la destra radicale di Trump con un radicalismo liberal uguale e contrario, nonostante la ripetuta lezione della storia ci dica che quando il populismo di destra incontra il populismo di sinistra, vince il populismo di destra. Santori e le sardine risponderebbero a questo punto che non sono e non saranno mai un partito, dunque non devono preoccuparsi di fare programmi di governo. Tentando di riscoprire una mitica anima del passato, si rischia di finire come il Labour

Però sono i loro stessi seguaci e ispiratori che gli chiedono adesso, dopo la piazza, una piattaforma politica per rifondare la sinistra. Il filosofo Flores d’arcais ne ha proposta ieri una facile facile: «Realizzare la Costituzione».

L’altro punto debole delle sardine (o forte, perché è la ragione stessa del loro successo) sta nel fatto che sono un movimento di opposizione all’opposizione. I girotondi, diciotto anni fa, si mobilitarono contro il governo Berlusconi e in particolare contro una legge, la Cirami, considerata una norma ad personam e un’offesa allo Stato di diritto. I giovani di oggi invece non si mobilitano contro il governo, che anzi li incoraggia con lo sguardo compiaciuto del premier Conte, il quale li ha addirittura invitati a Palazzo Chigi (Sala Verde?). Si mobilitano contro il capo dell’opposizione per prevenire che diventi il capo del governo. E questa non è una posizione facile da tenere a lungo per chi vuole essere un movimento di protesta.

Fare la lezione ai giovani è sempre un esercizio irritante, oltre che vano, e temiamo di esserci cascati anche noi con questo commento. Ma il fatto è che scrivevamo le stesse cose anche nel 2002, quando si pensò di mettere fuori gioco Berlusconi con la piazza e Berlusconi invece uscì di scena solo nel 2011, nove anni dopo, e neanche quando cadde la sinistra ne raccolse i frutti, perché fu bruciata dall’esplosione grillina alle elezioni del 2013. La politica democratica è certo partecipazione, condivisione, comunicazione, mobilitazione, tutte ricchezze che i movimenti portano con sé. Ma alla fine è soprattutto consenso elettorale, e quella è un’altra faccenda. Fu proprio per segnalare ciò che un vecchio e saggio riformista come Pietro Nenni inventò lo slogan più conosciuto e meno meditato a sinistra: «Piazze piene, urne vuote».

Antonio Polito – Corriere della Sera – 15 dicembre 2019

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