Sapelli, no al Mes, sì al prestito irredimibile

L’Italia, come la Spagna e la Francia, non ha bisogno del Mes. Semmai di quei bond irredimibili rilanciati ieri dal presidente della Consob, Paolo Savona, nella sua relazione al mercato finanziario. E poi c’è sempre quel Recovery fund, una conquista dell’Europa ma ancora tutta da decifrare. Giulio Sapelli, economista e storico, passa in rassegna settimane di vita economica dentro e fuori l’Italia, ma con lo sguardo ben rivolto al futuro. Ma non si ferma qui, il discorso valica l’Oceano e arriva fino al Venezuela. Per poi tornare in Egitto.

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Fondi dall'Unione Europea, l'Italia non puo' fare da sola

Queste le parole del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: "Con la presidente von der Leyen stiamo cercando una strada per ottenere anticipi", ha detto il premier. Di che tipo? Immagino delle sovvenzioni del Recovery Fund. Pare quindi che il paese che nell'ultima asta di Btp decennali ha fatto gonfiare il petto ai nostri patrioti per la richiesta monstre degli investitori, e dopo l'altro trionfo del collocamento del Btp Italia, con un tasso reale onnicomprensivo di poco inferiore a 1,5%, abbia un disperato bisogno di soldi, e li voglia ieri. Purché gratis. (...) Ipotizzabile che, come nel caso del MES, anche qui i tassi siano da negativi a nulli. Ma allora, perché l’Italia non li ha ancora chiesti? Io un’idea ce l’avrei: perché saremmo ancora i primi a farlo, e varrebbe la famosa questione dello stigma, cioè il rischio che tale richiesta mandi ai mercati il messaggio che stiamo per finire male. Davvero? Boh, così ripetono ossessivamente per il MES ma col SURE la logica è identica, credetemi. E quindi, che vuole il governo italiano? Ve lo (ri)dico: vuole soldi gratis, cioè l’erogazione immediata della parte netta di nostra “spettanza” del Recovery Fund. E perché? Perché il governo italiano è terrorizzato all’idea di sommare debito a debito e vuole comprare tempo, sperando che passi ‘a nuttata. Il commento di Mario Seminerio su Phastidio.

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Cosa fare con i fondi europei

Quello che ha fatto finora non va nella direzione auspicata dalla Commissione europea. Il decreto “cura Italia”, sull’onda dell’emergenza, ha usato e integrato gli strumenti di assistenza che esistevano già prima. Tuttavia misure più semplici e universali potrebbero essere più efficaci, viste le difficoltà incontrate nell’erogare le varie casse integrazioni e i sostegni. (...) Digitale e ambiente sono categorie generiche, e dentro ci può stare di tutto. Ma stavolta i paletti della Commissione europea possono aiutare. Intanto perché favoriscono gli investimenti piuttosto che la spesa corrente (gli investimenti pubblici in Italia sono drammaticamente calati negli ultimi vent'anni). E poi perché indicano chiaramente la strada di una transizione verso un'economia più sostenibile. Questo vuol dire che non bisognerebbe dare aiuti pubblici a settori industriali inquinanti: meglio sostenere direttamente i lavoratori che perdono il posto e garantire la loro formazione per altre occupazioni. Vuol dire anche, però, che quei fondi sono utilizzabili per la riconversione industriale (si pensi all'Ilva). E per ripensare e ristrutturare i settori più colpiti dalla pandemia (il turismo in primo luogo), aumentandone l'efficienza e la competitività, ma anche la trasparenza e la legalità. Il commento di Roberta Carlini su Internazionale.

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