I cittadini, i partiti e il loro sostentamento

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Così la nostra carta costituzionale. I movimenti politici sorti negli ultimi anni, da Forza Italia a Fratelli d’Italia, dai  5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non danno l’impressione di avere una struttura democratica. Chi decide è il capo del partito. La base deve inchinarsi alla volontà del leader di turno. Ecco cosa stabilisce l’art. 27 dello statuto di Forza Italia: “Il presidente (Silvio Berlusconi, n.d.r.) nomina per ogni regione il coordinatore regionale”. Cosa ci sia di democratico in una disposizione del genere è arduo coglierlo. Nello statuto del movimento dei penta stellati è specificato che “gli eletti eserciteranno le loro funzioni senza vicnolo di mandato”. A questo precetto costituzionale si sa che sia Beppe Grillo che Casaleggio non credano troppo. Chi ha predisposto l’atto (il notaio, evidentemente, n.d.r.) ha dovuto inserirlo. Che poi responsabili dell’organizzazione siano Beppe Grillo, suo nipote Enrico ed il commercialista  Enrico Maria Nadasi. Si rifletta sulle numerose espulsioni decise dalla rete, un manipolo di poche decine di migliaia di persone, presumibilmente intrise di un insano fanatismo quasi pararegligioso, e si intuisce facilmente quale sia il grado di democraticità del M5S. Il Mir, moderati in rivoluzione, fondato da Samorì, ha uno statuto degno di una società commerciale. Forse che intendano mettere le mani sui soldi pubblici? E’ verosimile, stante che tuttora sussiste una legge dello Stato sul finanziamento dei partiti. Che i politici ben si guardano dal volerla abrogare. Anche se questo lo richiedono milioni di cittadini e, addirittura, in realtà il finanziamento dei partiti si stato già abolito per effetto di un referendum. Ma si sa, i nostri parlamentari si sentono più furbi dei loro elettori. Infatti un referendum abrogativo promosso dai radicali di Marco Pannella dell'aprile 1993 vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel clima di sfiducia che succede allo scandalo di Tangentopoli. Oggi è anche peggio. Qualche mese dopo, a dicembre il parlamento approva una legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata. Insomma, il popolo risulta cornuto e mazziato. Tra l’altro bisogna anche tener conto che se i partiti hanno incassato quasi 3 miliardi di euro negli ultimi decenni, solo una parte (meno di un quarto) di queste somme sono state regolarmente rendicontate. Sono cioè rimborsi elettorali veri e propri. Quasi 2 miliardi sono somme introitate dai voraci partiti. Sarebbe opportuno disciplinare un po’ meglio quest’aspetto del finanziamento pubblico. Bene fa Beppe Grillo a rinunciarvi. Lo stesso devono fare tutti gli altri partiti.

Marco Ilapi

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Renzi può portare investimenti dalla Cina

 Sono molti gli episodi di insediamenti italiani in Cina e cinesi in Italia. Il costo del lavoro è importante, ma non è la sola variabile che conta. La Cina, dove una classe media in continua crescita, apprezza un Made in Italy che, malgrado la crisi, non ha perso colpi. Ma, al di là degli aspetti mercantili, c'è una storia millenaria da riannodare lungo le tradizioni e le culture di una nuova "via della seta". La Cina è lontana ma è anche vicina, decine (se non qualche centinaio) di milioni di cinesi amano il Belpaese e i nostri manufatti. Così Fabrizio Galimberti su Il Sole 24 Ore.

L'Italia può riprendere un cammino di crescita

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L’Europa deve cambiare se non vuole disintegrarsi

Quello che sta accadendo nella parte orientale del Vecchio Continente, in Ucraina, dovrebbe servire da monito per l’Europa. Non è che si possa prevedere un attacco militare di Putin in Finlandia, Polonia o nella repubbliche baltiche, però non si bisogna assolutamente sottovalutare le mosse che da qualche anno sta mettendo a segno il nuovo Zar moscovita. Tutto ha avuto inizio con la guerra in Cecenia, poi è venuto l’attacco alla Georgia, oggi quello con l’Ucraina con l’annessione della penisola di Crimea, realizzata in modo illegale. Il referendum, infatti, non è stato riconosciuto dall’Occidente.  Ricordarsi che Vladimir era il direttore del Kgb dovrebbe servire per comprendere con quale personaggio si ha a che fare. Putin mira a diventare Zar di tutte le Russie. E casella dopo casella, il suo progetto sta andando avanti. L’Occidente può ancora tranquillamente bloccarlo, ma dev’essere unito e non disunito. Deve, insomma, parlare con una voce sola. Certo che confrontarsi con Putin non può essere un Van Rompuy o un Barroso qualunque. Se l’Europa non ha ancora voce in capitolo sullo scacchiere internazionale le responsabilità sono tutte degli stati europei che non hanno capito che il processo di confederazione deve fare ulteriori passi in avanti. Con politiche economiche, fiscali e sociale univoche. Serve un presidente dell’Europa eletto dai cittadini che in Europa stabilmente risiedono e lavorano, un governo dell’Europa, una politica dell’Europa. Cosa che attualmente non è. E non potrà essere se non fra qualche anno. Gli interessi nazionali vanno messi in un angolo e si deve incominciare a parlare di interessi della nazione europea. Per iniziare si deve dire al caro Putin che il suo gas ed il suo petrolio lo venda pure alla Cina. Se le regole del gioco non cambiano, Vladimir non deve neanche più contare sulla condiscendenza dell’Europa. L’Unione Europea, dal canto suo, deve piantarla di gingillarsi con le leggi ed i regolamenti che hanno condotto il Continente a questa drammatica situazione. Ad esempio, il principio dell’unanimità nelle decisione deve lasciare il posto a quello delle maggioranze variabili. Ci si rende conto che uno staterello come Malta o Lussemburgo possono bloccare qualsiasi provvedimento? Per determinati provvedimenti legislativi si può ammettere la maggioranza assoluta dei 2/3 dei votanti (politica estera, politica economica, politica fiscale, ecc.); per altri può accettarsi la maggioranza semplice dei votanti. Da evitare per il futuro il principio dell’unanimità. Che se possibile in una comunità di Stati di 6 membri, quali erano gli Stati cofondatori, è praticamente impossibile in una comunità di Stati di ben 28 membri. Ma quando mai? Il nostro premier Matteo Renzi deve insistere su queste richiesta. Perché sono assolutamente ragionevoli e che garantirebbero all’Europa di camminare speditamente. Così ci si può confrontare con la Russia, con la Cina, con il Giappone e con gli stessi Stati Uniti. Se l’Europa fosse una realtà compiuta, forse non ci sarebbe stato l’attacco di Putin prima alla Cecenia, poi alla Georgia,  alla Crimea e alle regioni orientali dell’Ucraina. E’ una guerra quella che è in atto, davanti ad una comunità internazionale del tutto impotente. Vladimir, questi particolari, li ha perfettamente ben presenti. E’ l’Europa che deve reagire senza tentennamenti. Gli europei devono rammentare che Putin controlla con mano ferrea il suo immenso territorio che va dai confini polacchi fino a Vladivostock. Chi non è con lui, viene eliminato. Qualcuno anche fisicamente. Come è accaduto all’oligarca Mikhail Khodorkovsky, in galera per 8 anni.  Come è accaduto alla giornalista Anna Politkovskaja,  assassinata, senza che il vero colpevole sia stato acciuffato. Vladimir vuole ricostituire l’impero sovietico. A beneficio di sé stesso e dei suoi molti oligarchi amici fin da tempi del Kgb. L'Europa deve cercare di fare un bel po' di auto analisi e di considerare che disunita com'è non può andare da nessuna parte. Dopo un processo di vera federazione di Stati può avere davvero più voce in capitolo. Altrimenti rischia veramente di disintegrarsi. E di non contare più nulla. Il pericolo va preso in seria considerazione.

Marco Ilapi

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