Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan esultano. Hanno presentato una legge di Stabilità e Sviluppo che dovrebbe portare fuori l’Italia dall’abisso di una crisi economica che attanaglia il Paese da oltre sette anni. Secondo loro dovremmo riuscire in un’impresa solo qualche tempo fa impossibile. Crescere più della Germania, della Francia e della Gran Bretagna. Sogno o son desto? Gli italiani sono degli imbecilli? Le bevono sempre, e sistematicamente, tutte? Così ai tempi di Berlusconi (i ristoranti sono pieni, non è possibile trovare un posto in un aereo per andare in vacanza, gli italiani sono tutti benestanti…), così nel tempo del rottamatore Matteo Renzi. Il governo ha imbonito una parte del’Italia regalando 80 euro ai dipendenti con meno di 25mila euro di reddito annuo e prendendosi uno straordinario 40,8% di voti alle europee del 2014, dimenticandosi dei pensionati con la minima e dei lavoratori autonomi che faticavano (e continuano a faticare) ad arrivare a fine mese. Quanti commercianti e liberi professionisti si sono trovati nella situazione di non sapere come far fronte a pagamenti vari (Inps, tasse, ecc.) senza che il governo, per loro, muovesse foglia? A parte queste considerazioni, se il duo Renzi-Padoan avessero voluto fare provvedimenti davvero epocali, potevano percorrere un’altra strada. Copiare i discendenti di Albione. Studiare una finanziaria più intelligente e di sviluppo e chiedere al parlamento di approvarla o di bocciarla, senza discuterla. Nell’un caso il governo sarebbe andato avanti, non trovando ostacoli di sorta, nel secondo caso avrebbe dovuto rassegnare immediatamente le dimissioni e si andrebbe al voto anticipato. Non si sarebbe perso tempo in aride discussioni (che non sono mai di merito dei provvedimenti bensì di bottega, perché ogni parlamentare cerca di portare a casa finanziamenti per il suo campanile). Prendere o lasciare, insomma. Adesso, invece, dobbiamo aspettare che l’Europa si pronunci e trascorreremo settimane di astruse e inconsistenti polemiche sulle risorse tagliate o sulle risorse scaraventate a pioggia a destra o a manca, privilegiando gruppi di potere (i grandi industriali e anche quelli medi, ma non quel 95% del tessuto imprenditoriale nazionale che costituisce l’ossatura della nostra economia). Significativo l’appoggio incondizionato di Squinzi a nome della sua Confindustria. Si tratta di una legge che farà uscire il Paese dalle secche della crisi? No. Ci vuole ben altro. La spending review è rimasta, per motivi elettorali, nel cassetto di Palazzo Chigi Eppure di sprechi in Italia ne sono stati rilevati per decine di miliardi di euro. L’evasione fiscale è pari a otre 100 miliardi l’anno. Lo Stato ha crediti da riscuotere per oltre 500 miliardi di euro. Non si è dimostrato capace di arrivare al punto né con Berlusconi-Tremonti, né con l’abusivo (in quanto piovuto dal cielo, perdon, dal Quirinale, Mario Monti, né con il povero Enrico Letta, né con il gradasso Renzi. Che ha rottamato tutti quelli che hanno cercato di contrastare il suo progetto. Matteo piace agli industriali. Non c’é niente di male. Ce l’ha con i sindacati. I quali hanno commesso una miriade di errori che tutti siamo stati chiamati a pagare. Ce l’ha con la minoranza (che prima era maggioranza) del suo partito. Accoglie a braccia aperte i voti del club Verdini. Un bel pasticcio. Un altro provvedimento che manca è la riforma dell’art. 67 della Costituzione. Centinaia di parlamentari hanno cambiato casacca. Chi anche due o tre. Non si fa una sana battaglia per impedire questo scempio della democrazia. Lo scilipotismo ormai ha fatto scuola. In parlamento devono andare uomini e donne qualificati eletti dai cittadini. Il rischio è che alle prossime elezioni vada a votare meno del 37% degli aventi diritto al voto, con la conseguenza che il governo del Paese venga consegnato ad una esigua minoranza. Questa non è più una grande democrazia. C’è una disaffezione che cresce e bisogna invertire la rotta. Renzi non lo sta facendo.
Marco Ilapi – 18 ottobre 2015