Roma contro Bruxelles, ormai è sfida aperta

L’Italia attuale appare costretta a navigare a vista, alle prese con una difficile ridefinizione degli interessi nazionali, nel mentre si è incrinato quello stesso rassicurante perimetro della sovranità nazionale entro il quale proprio la Banca d’Italia e la nostra Diplomazia hanno tradizionalmente sviluppato la propria identità e del quale sono state addirittura tra i massimi presidi. Oggi l’una e l’altra si trovano prive della possibilità d’interloquire con vere culture politiche di riferimento (tutte ormai ridotte a informi gelatine di idee sparse), con veri partiti. Viceversa la crescente, impetuosa personalizzazione del sistema politico non solo italiano le pone sempre più direttamente a contatto con la solitaria figura del leader, del capo del governo (i ministri essendo ormai figure minori: nel caso degli Esteri quasi un comprimario). Il leader: con le sue mutevoli esigenze, la necessità di mantenersi sulla cresta dell’onda e magari in sintonia con i sondaggi, la sua voglia di accentrare nelle proprie mani le decisioni, con il suo naturale desiderio di successi visibili e immediati. Specialmente se questo leader si chiama Matteo Renzi. L'editoriale di Ernesto Galii Della Loggia sul Corriere della Sera.

Il premier cerca di cambiare le carte in tavola a Bruxelles

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Renzi è emarginato in Europa, un problema per l'Italia

«A Renzi l’Europa interessa poco, ai Consigli europei è palesemente annoiato, non gli piacciono i rituali, i meccanismi, il modo di lavorare. Attacca questo e quello, ma poi si spazientisce con i dettagli, che sono tutto, e si estranea. Il premier pensa di poter esportare in Europa i due capisaldi della narrazione che lo vede vincente in Italia: la rottamazione e le riforme con cui sta cambiando il Paese. Ma il problema è che nell’Unione ci sono 28 Stati sottoposti a stress politici anche superiori a quelli dell’Italia. Cosa vuole che gliene importi agli spagnoli della riforma del Senato, quando loro rischiano la secessione della Catalogna? Dire che l’Italia è più forte perché ha fatto le riforme non impressiona nessuno. Pensi a Grecia, Portogallo, Irlanda. O per un’altra ragione alla Francia, alle prese con il terrorismo e il Front National». L'articolo di Paolo Valentino sul Corriere della Sera.

Spiegate le fragilità dell'Italia In Ue

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Riforme (?!), la prova di forza di Renzi

Matteo Renzi le sta studiando tutte. Sta distruggendo il partito democratico (il suo partito) e nessuno sembra capacitarsene. Ormai ha dato ampie prove di un atteggiamento molto disinvolto. Al limite dell’indecenza. Ha sostenuto innumerevoli volte che avrebbe dato nuova linfa alla politica attenta ai bisogni dei cittadini. Ha deciso la rottamazione della vecchia e incartapecorita dirigenza dei democratici. Fin qui niente di nuovo sotto il sole. Però, però … l’ha sostituita con i suoi baldi amici fiorentini che hanno mostrato abbondantemente tutti i loro limiti. A parte la Maria Elena Boschi, i suoi collaboratori a Palazzo Chigi appaiono quali controfigure del premier alquanto sbiadite. E se provano a sostenere qualche concetto che il ragazzotto di Rignano sull’Arno detesta, apriti cielo! Viene messo alla porta. Vengono accettati i transfughi, come nel caso degli ex di Scelta Civica (Stefania Giannini, Andrea Romano, Carlo Calenda, Pietro Ichino, Linda Lanzilllotta, Gianluca Susta,  Alessandro Maran, Ilaria Borletti Buitoni e Irene Tinagli.  Scelta Civica, il movimento inventato da Mario Monti per contrastare il fu Pdl di Berlusconi ed il Pd di Bersani nelle consultazioni elettorali del 2013, si è praticamente dissolta e nessuno ha avuto da ridire per questa trasmigrazione in massa nelle file del partito renziano. Il partito della nazione è ormai realtà. I tanti Scilipoti e Razzi hanno avuto (in)degni emuli. La stampa, in generale, salvo rare eccezioni, non ha avvertito alcun sussulto. Nessun mal di pancia. Il PdN, un partito senza identità. Non è di destra, non è di centro, non è di sinistra ma, nello stesso tempo, è di destra, di centro, un po’ meno (molto meno) di sinistra. Come la vecchia, gloriosa, democrazia cristiana. Solo che a guidare la Dc erano personalità di spessore come Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giulio Andreotti. I quali sapevano scegliere i propri collaboratori. Mai e poi mai si sarebbero sognati di imbarcare nell’esecutivo personaggi mediocri come Marianna Madia (che, giova ricordare che quando Walter Veltroni la mise capolista alle elezioni politiche disse di sé stessa “di portare in dote alla Camera la propria ignoranza” (!). E infatti la Dc ha fatto uscire l’Italia dalle macerie del secondo dopoguerra ed  ha governato il Paese per oltre 40 anni. Renzi non riuscirà nell’impresa di stravolgere la Costituzione. Lo avrebbe potuto fare se avesse optato per una Assemblea Costituente eletta con suffragio proporzionale, così come è stato fatto nel dopoguerra. Ma allora c’erano personalità come Alcide De Gasperi, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini. Non burattini come i la maggior parte dei componenti della Camera e del Senato odierni. Che votano, non discutono, obbediscono bovinamente agli ordini di scuderia. In buona parte poi sono dei voltagabbana. Degli Scilipoti, dei Razzi, insomma. E questo parlamento può fare le riforme costituzionali? Se l’Italia è un Paese serio, boccerà il progetto renziano. E tutto tornerà al punto di partenza. Il referendum non l’ha concesso Renzi. E’ previsto dall’art 133 della Costituzione. Giova ricordarlo. Il Paese che il premier configura nella sua mente è un’Italia che non esiste. Avesse optato per il modello tedesco, forse avrebbe avuto migliori chances. Oppure quello francese. Invece non assomiglia né all’uno né all’altro. Vedremo nel prossimo autunno. Le riforme sono tutte molto pasticciate e dettate da Confindustria.

Marco Ilapi, 3 gennaio 2016

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