“Cessate il fuoco” nella giornata della memoria

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Un segno grafico che sembra graffiare la superficie tratteggia corpi scarni che hanno ormai sepolto  l’equazione semplice: la bellezza sta alla vita. Sono esseri umani che mostrano tatuati sulla loro pelle i segni della sofferenza e non osano guardarci. Forse si vergognano. Hanno smarrito la loro umanità e hanno chiuso volenti o nolenti gli  occhi con cui poter guardare il mondo.

La mostra pittorica “CESSATE IL FUOCO” dell’artista Harold Rubin nato a Johannesburg in Sud Africa nel 1932, inaugurata ieri a  Palazzo Bianca, sede del bagno rituale ebraico, a Siracusa, ricorda quei milioni di individui e l’orrore del genocidio tedesco.

La vita e l’arte dell’artista figurativo e musicista jazz sudafricano sono state sempre contraddistinte dall’impegno politico e sociale.

I campi di concentramento sono stati i luoghi dell’annientamento dell’identità come ha raccontato e spiegato bene Primo Levi nei suoi libri, consegnando ai posteri la testimonianza di chi li  ha vissuti  e sperimentati sulla propria pelle. Egli  è riuscito tornare  per raccontarlo.  La giornata della Memoria ha il merito di non farci dimenticare.

 Harold Rubin, nelle sue immagini che ci consegnano ombre di una possibile umanità,  scopre i possibili abitanti dei lager. I telegiornali di questi giorni restituiscono brani di una storia, mostrano foto di luoghi come Auschwitz, la città polacca di Oświęcim, dove i soldati russi il 27 gennaio entrarono facendo conoscere al mondo intero un orrore non pensabile da una mente sana. Uomini cavie come hanno svelato al mondo gli esperimenti di Josef Mengele, l’efferato medico nazista di Auschwitz.

Nel tristemente noto blocco 10 Mengele condusse tutta una serie di spietati esperimenti sugli esseri umani, uno più spaventoso dell’altro. Il medico sperimentava su persone nane e soprattutto sui gemelli.

La rassegna che sarà visitabile fino al 27 febbraio testimonia attraverso l’arte la grande tragedia del popolo ebraico e invita attraverso il suo titolo a deporre le armi e ad impegnarci  perché  simili stermini non si ripetano.

 L’artista Rubin  nel corso della sua vita  ha spesso puntato il dito contro le ingiustizie sociali. Negli anni gli anni '50 e '60 una serie di disegni dedicati alla brutalità delle autorità dell'apartheid durante il massacro di Sharpeville nel 1960, sfidarono le leggi razziali del paese. Il suo nome è legato anche a “My Yesus”, una rappresentazione provocatoria della crocifissione di Gesù Cristo che venne censurata.

Nel 1963 si ristabilì  a Tel Aviv. In Israele, Rubin iniziò a creare arte visiva come protesta contro la guerra con il Libano scoppiata nel 1982.  Nascono su questo tema  le opere  come L'anatomia di una vedova di guerra.

Nel 1976 si sposò  con Miriam Kainy , una famosa drammaturga israeliana particolarmente nota per le sue opere teatrali che parlavano  della religione ebraica, di  relazioni arabe e di  temi femministi.

​                                                                          Patrizia Lazzarin

Orari di apertura dell’esposizione: lunedì - sabato dalle 10:00 alle 13:00

Per visite guidate, previa prenotazione, telefonare al n. di telefono 0931-21467  

                                       

 

 

 

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Sculpitrici di capriccioso e destrissimo ingegno

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Un dialogo inedito tra Properzia de’ Rossi , vissuta a Bologna tra il  1490 e il 1530, la prima donna scultrice nei libri di storia e,  Lynda Benglis   ritenuta una delle più importanti e irriverenti scultrici viventi. Properzia de’ Rossi è quasi un personaggio leggendario e la incontriamo fra le pagine delle Vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori da Cimabue insino ai tempi nostri di Giorgio Vasari, il primo storico dell’età moderna.

Il giudizio positivo di Vasari sulle donne artiste, lì dove apre il capitolo dedicato all’artista bolognese è anche l’occasione per lui di  affermare: “Né si sono vergognate, quasi per torci il vanto della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro.”

Appartenenti a epoche e culture lontane tra loro, le due artiste, Properzia e Lynda,  entrambe virtuose del medium scultoreo, sono accomunate dall'ambizione di affermare la propria individualità creativa in contesti non facili  o difficilmente accessibili alle donne.

Lynda Benglis e Properzia de’ Rossi: Sculpitrici di capriccioso e destrissimo ingegno, l’esposizione che viene presentata stasera al MAMbo, il  Museo d’Arte Moderna di Bologna e che  inaugura la programmazione espositiva della Project Room per l’anno 2024, rimarrà aperta fino al 26 maggio 2024.

In essa vedremo, all’interno della produzione artistica dell’artista bolognese, lo stemma nobiliare della famiglia Grassi con aquila bicipite, in filigrana d'argento con noccioli di frutta intagliati, proveniente dal Museo Civico Medievale di Bologna appositamente restaurato per questa occasione espositiva.  Properzia de’ Rossi che avrà l’onore di lavorare nel cantiere del Duomo di San Petronio, era famosa, in particolare, per la sua capacità di intagliare scene complesse su noccioli di ciliegia.

Vi sarà anche  una riproduzione in 3D della formella in marmo, realizzata  per la mostra, rappresentante l'episodio biblico di Giuseppe e la moglie di Putifarre, scolpita per il portale della Basilica di San Petronio e conservata all’interno del suo Museo diocesano. Quest'ultima è un duplicato di fedele accuratezza che rende fruibile presso il MAMbo una scultura impossibile da spostare dalla sua collocazione originale. Sia lo stemma nobiliare della famiglia Grassi che la formella in marmo realizzata per la Basilica di San Petronio sono descritte e attribuite da Vasari a Properzia de’ Rossi nelle Vite.

Voci cattive giravano sul conto della scultrice secondo il Vasari. Pare ad esempio che l’amico Aspertini, geloso della sua abilità la screditasse. Nella letteratura ottocentesca  si diffuse, al contrario, l’immagine dell’artista come eroina romantica che si uccide per amore di un ufficiale di Carlo V, già promesso ad un’altra.

Come Properzia de’ Rossi, Lynda Benglis, dopo  cinque secoli, opera una rivoluzione sfidando i limiti sociali e, insieme, quelli della materia attraverso il suo gesto artistico. Americana di origini greche, Benglis inizia la sua carriera negli anni Sessanta opponendosi con opere estrose e colorate alla geometria e al dogmatismo del movimento artistico del Minimalismo, i cui maggiori rappresentanti Donald Judd e Robert Morris, sono di sesso maschile. 

Dai versamenti di lattice pigmentato, dal quale prendono vita dipinti aderenti al pavimento, ai materiali sperimentali scelti che mutano la loro natura nel tempo, tutto si unisce ad alimentare il gesto con il quale Benglis plasma opere in fieri che sfidano l’immutevolezza e la staticità tipiche dei manufatti artistici scultorei.

Anche nel caso delle opere esposte al MAMbo, le brillanti sfumature cromatiche si staccano dalla traiettoria canonica dell’utilizzo del marmo bianco nell’arte contemporanea  ampliando così le possibilità di espressione della tecnica La sua sperimentazione con il colore nel contesto della scultura in marmo si sposa alla volontà di preservare elementi storici, basti pensare all’influenza dell’arte greca e del Barocco, con l’obiettivo di scardinare i confini temporali dell’arte.

Le opere di Benglis conservano una traccia antropomorfa, catturata attraverso un preciso gesto e momento definito dall’artista “the frozen gesture”, e producono una nuova chiave interpretativa rivoluzionaria dell’arte scultorea mettendo in scena un fitto dialogo tra passato e presente.

Patrizia Lazzarin, 25 gennaio 2024

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Ai nostri tempi (biblici)

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Il trascorrere del tempo è il grande demiurgo della vita. Esso, così indefinibile nella sua vera natura, possiede il potere della trasformazione. Noi prima bimbi, poi giovani, adulti, anziani: foglie tenere e infine accartocciate sulla terra. Il tempo ha caratterizzato luoghi, epoche, uomini e cose che hanno acquisito fisionomie diverse nel suo  scorrere di milioni e milioni di anni.

Gioele Dix, attore, regista e scrittore, ieri sera sul palco del Teatro Comunale Città di Vicenza, con ironia ha cercato di afferrarne il senso traghettandoci in uno spazio lontano, popolato dai patriarchi della Genesi.

Le loro lunghe vite come quella di Matusalemme campato 969 anni o Enoch, sesto discendente diretto da Adamo ed Eva, vissuto fino a 365 anni restituivano un tempo arcano che il libro della Genesi racconta. Come loro gli altri patriarchi mostravano esistenze che parevano non finire mai, poi cosa succede? Dio si è stancato di questi umani cosi longevi, si interroga Gioele Dix.

 Il nostro tempo, quello di oggi, è molto più breve. E la stessa percezione di esso si è modificata. Scorre veloce, ancora più rapido grazie alle scoperte scientifiche e tecnologiche che permettono collegamenti e comunicazioni impensabili solo un centinaio di anni fa, o forse anche meno. E il pensiero va a un Garibaldi che avrebbe cercato nella sua rubrica dello smartphone i nomi di Cavour, dei Mille ed altri ancora per valutare le prossime azioni.

Dix recupera in questa riflessione autori anche vicini a noi come Achille Campanile, uno dei testi con cui termina lo spettacolo. Scrittori  che intrecciano vita e morte e allo stesso modo ne domandano e ne suggeriscono  il senso. Davide Ottolenghi, in arte Gioele Dix, si  affaccia dentro il pozzo dei suoi ricordi: il padre, … la nonna che non rideva mai. Il padre che quando invecchia ha sempre tanto freddo. Ecco allora che egli ci rappresenta una scenetta in Paradiso dove discutono animatamente il suo genitore e san Pietro.

Il paradosso comico si crea quando il padre mai contento delle sistemazioni avute in Cielo e in Purgatorio, finirà per scegliere la stanza dove stanno le caldaie fumanti dell’Inferno. Lì potrà finalmente scaldarsi. E guai ad aprire la porta, se per caso San Pietro e il Diavolo andassero, incontratisi per caso ad un convegno, a vedere dove era finito quel “poveretto”.  

Quando se ne vanno, i tuoi genitori lasciano un buco incolmabile. Gli altri ti dicono “vedrai, ti parleranno, li ritroverai …”. Balle. Poi un giorno capisci che li hai dentro, e prima non li trovavi perché li cercavi fuori. Da lì non se ne andranno più. Resti figlio per sempre», è il suo pensiero e commento.

 Ora che è diventato maestro come lo chiamano per la sua età, o saggio si  potrebbe aggiungere, egli ama passare il suo tempo con la famiglia, con i suoi pargoli. Per fortuna che ci sono i bambini piccoli, altrimenti alla mia età cosa si fa? Si va in crociera? Non mi sono mai piaciute. La sua ironia è stata il filo conduttore per scavare dentro la vita alla ricerca di verità e per ritrovare assieme un’identità.

Egli ha scritto vari libri, di carattere non solo comico. In “Quando tutto questo sarà finito”, pubblicato da Mondadori nel 2014, ha raccontato le vicende della sua famiglia perseguitata dalle leggi razziali durante la seconda guerra mondiale. Nel 2018 ha pubblicato “Dix Libris”, la mia storia sentimentale della letteratura e nel novembre dello stesso anno la nuova edizione de “La Bibbia ha (quasi) sempre ragione”. Al termine dello spettacolo si è svolto un incontro dell’artista con il pubblico, condotto da Vanessa Gibin.

Patrizia Lazzarin, 24 gennaio 2024

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