C’era una volta …

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Abbiamo pianto e riso, ci siamo tanto stupiti e meravigliati da bambini ascoltando le favole e le fiabe degli antichi e dei più giovani narratori. Le potremmo paragonare a dei sogni dove la nostra fantasia come una cavallerizza può galoppare senza tirare le redini del suo cavallo. Favole e fiabe appartengono al nostro sentimento e il loro racconto risuona dentro di noi in modo così duraturo e intimo  da costituire un ricordo non più smarribile. I loro testi sono diventati  un riferimento narrativo per la letteratura di ogni tempo.

 C’era una volta, favole e fiabe nelle raccolte classensi, la rassegna visibile nella storica biblioteca nel centro di Ravenna, svela  dentro le teche che contengono i “preziosi volumi” e sui pannelli che riportano le immagini di tante “storie”, un mondo lontano ora per noi adulti, ma  che continua ad incantarci. 

Esiste una tradizione del genere favolistico sia in Oriente sia in Occidente. In mostra sono esposti alcuni dei testi di favole occidentali più famosi e che appartengono alla Biblioteca Classense. In Occidente le favole più note sono quelle greche di Esopo dove protagonisti sono gli animali e dove vince il più astuto.  Nei secoli successivi Fedro, Aviano e Babrio tradussero in versi le favole di Esopo aggiungendo dei commenti che ne illustravano più ampiamente il significato.

Un’altra raccolta di favole famose è quella di Jean de la Fontaine, pubblicata  tra il 1668 e il 1693. Esse prendono spunto da  quelle di Fedro ed Esopo, ma hanno un sapore diverso che deriva dal fatto di essere state pensate per il pubblico dell’epoca e in particolare per il re Luigi XIV, noto  anche con il soprannome di Re Sole. Nei testi dello scrittore francese, dove abbondano i contrasti e la satira, gli animali sono appellati con titoli nobiliari. Ci sono riferimenti al mondo mitologico, i personaggi possiedono una caratterizzazione psicologica e osserviamo un’eleganza di dettagli che diventa la cifra stilistica dell’ambiente di corte. Nell’ultimo libro il messaggio della supremazia della Ragione sugli istinti annuncia il Settecento dei lumi.

Nell’Ottocento  l’attenzione del pubblico si indirizzerà verso il genere della fiaba e del romanzo, testi più complessi e lunghi. Le fiabe tuttavia hanno la loro origine da racconti orali molto antichi. Sono narrazioni con ambientazioni fantastiche, dove incontriamo creature magiche e personaggi che possono subire cambiamenti radicali sia fisici e psicologici sia economici e sociali.

Nell’Europa medievale esse erano una delle poche o forse l’unica fonte di intrattenimento per le classi povere.

Le prime fiabe europee pubblicate sono Le piacevoli notti dell’italiano Giovanni Francesco Straparola nell’anno 1550. Nel 1697 in Francia vengono edite le fiabe di Charles Perrault, conosciute anche con il nome I racconti di Mamma Oca, raccolta di undici fiabe fra cui: Cappuccetto Rosso, Barbablù, La bella addormentata, Pollicino, Cenerentola e Il gatto con gli stivali.  Nello stesso periodo compare anche la raccolta di Marie Catherine D’Aulnoy dal titolo Fiabe. Entrambi gli scrittori francesi si rivolgevano al mondo dei nobili, mentre temi come la modestia e l’ingenuità femminile diventavano occasione di riflessione.

Durante il Romanticismo i fratelli Grimm restituiscono alla fiaba un carattere più autentico riallacciandosi alle sue radici pagane conservatesi nella memoria popolare. Successivamente Hans Christian Andersen recupera le fiabe della tradizione nordica e ne crea di nuove come la Sirenetta. In Italia  nell’Ottocento  e all’inizio Novecento troviamo  Carlo Collodi, lo scrittore del celebre Pinocchio, Emma Perodi, Luigi Capuana e Guido Gozzano.Italo  Calvino nel Novecento compone Fiabe italiane con l’intento di riscoprire la verità celata all’interno della  tradizione popolare.

La mostra, un viaggio nei secoli attraverso la fantasia, rimarrà aperta fino al 2 marzo. L’ingresso è gratuito.

Patrizia Lazzarin, 1 febbraio 2024

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La lunga marcia dell’antifemminismo in Italia

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Quanto si diramano nel profondo le radici  della misoginia? Attraversando un secolo la scrittrice Mirella Serri ne fa emergere le caratteristiche, i luoghi e le persone che l’hanno sostenuta issandola come una  bandiera e le tante donne  che sono state costrette a viverla sulla loro pelle ogni giorno. Il suo libro: Uomini contro. La marcia dell’antifemminismo in Italia riassume nel titolo concetti chiave. Contro chi? Le destinatarie di questa politica discriminatoria sono state le donne italiane. La seconda parte del titolo: La marcia dell’antifemminismo in Italia ne chiarisce  ancora meglio il significato.

 Parole che pesano come pietre e fanno sentire il rumore di quei passi di “finti guerrieri” che con la loro paura hanno costruito un’arma per intimorire la nuova intraprendenza e consapevolezza  femminile che vedeva la luce nei primi decenni del Novecento. Da Mussolini e i fascisti  a  Stalin, dai comunisti  ai  neofascisti del dopoguerra fino al caso del massacro del Circeo che ha scosso le cronaca del tempo e inquieta profondamente ancora  oggi, la Storia svela occasioni di violenza psicologica, fisica o entrambe verso la donna. Mussolini nella sua concezione di macho e ostentata  virilità aveva promosso  le case chiuse mentre relegava le donne all’interno delle case  a far figli. I bordelli diventavano le  palestre da consigliare e frequentare perché  gli uomini conservassero la loro gagliardia. Patria, famiglia e bordello era lo slogan più o meno dichiarato.

 Gli uomini erano considerati   guerrieri e le donne venivano invece  allontanate  dalla vita pubblica attiva. Bisognerà aspettare che il progetto di legge presentato dalla senatrice socialista Lina Merlin venga approvato nel 1958  perché le case chiuse cessino legalmente di esistere. La concezione misogina  non sparirà infatti dopo il secondo conflitto mondiale che aveva visto la partecipazione femminile sia nella lotta armata sia nell’attività di sostegno e di coordinamento. Al  contrario nel clima di guerra fredda degli anni ’50 si cercherà di ostacolare la loro crescita politica ed economica.

 L’ascesa di Nilde Iotti nel partito comunista, figura  che proveniva dal mondo cattolico, la sua relazione con il segretario generale Palmiro Togliatti che nel panorama europeo per prestigio era secondo solo a Stalin, il  ruolo di Nilde anche nella Costituente e la sua difficile battaglia per i diritti delle donne che a un certo punto è costretta ad abbandonare per ragioni da lei indipendenti, rivelano il clima  “bastardo” di quel tempo “maschile”.

Il libro ritorna su tante storie  forse non ben note o sconosciute soprattutto alle ultime generazioni e ci racconta un  tempo scandito per tappe che misurano il progresso delle donne verso l’acquisizione di  maggiori diritti.  Nella Storia narrata da Serri   non passa inosservato e mostra stonature l’atteggiamento in molti casi delle stesse donne volte ad impedire la conquiste femminili.  In politica spesso poi esse  sono state  strumentalizzate o  è stato fatto loro lo sgambetto anche dai compagni di strada. Berlusconi temeva le femministe. Verso la fine  del libro l’autrice dedica spazio a spiegare  quella che lei definisce la mercificazione berlusconiana della donna e ne illustra l’immagine che ne veniva offerta  negli spettacoli delle televisioni del Biscione. I discorsi che circolavano in quegli ambienti  paiono far intendere che sesso e politica si legavano  per fare carriera.  

Certamente non si può rimanere indifferenti anche al controllo esercitato da alcuni esponenti del partito comunista sulla vita  di Nilde Iotti e la sua  difficoltà a far capire ai compagni che il progresso delle donne  avrebbe anche  significato aumentare l’elettorato favorevole. Parentesi oscure si aprono poi nel libro  per farci intendere, come recita il titolo di un’acquaforte  del pittore Goya che il sonno della ragione genera mostri. La  figura di Julius Evola,  guru  della filosofia del Male   che disprezzava fortemente le donne e gli ebrei, si erge inquietante negli anni del dopoguerra. Egli volle e seppe insegnare la violenza e la discriminazione ai giovani  degli ambienti neofascisti pronti ad ascoltare  chi incitava alla vita da combattenti, anche se poi le azioni che riuscivano a compiere si potevano definire solo delitti. Delitti contro le cose, furti e rapine, ma soprattutto verso le donne ridotte a schiave del piacere, stracci da gettare dopo averle usate o tentato di farlo come nel caso del Circeo.

 Calarci nel libro della scrittrice significa entrare  nella Storia dell’ultimo secolo e vederne tutte le potenti contraddizioni, conoscere le battaglie per i diritti combattute dalle italiane, dal semplice diritto di non poter essere licenziate, quando si sposavano, fino al desiderio poco compreso di Carla Lonzi che si era battuta per far capire  la specificità del mondo femminile. Il genere femminile  doveva diventare libero di esprimersi senza  doversi omologare a quello maschile. Pensiamo alle stesse scrittrici di allora che volevano essere chiamate scrittore e non scrittrice … È una Storia quella di Serri  e sono tante le vicende che meritano di esser lette e fatte conoscere.

Patrizia Lazzarin, 3 febbraio 2024

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"Cessate il fuoco" nella giornata della memoria

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Un segno grafico che sembra graffiare la superficie tratteggia corpi scarni che hanno ormai sepolto  l’equazione semplice: la bellezza sta alla vita. Sono esseri umani che mostrano tatuati sulla loro pelle i segni della sofferenza e non osano guardarci. Forse si vergognano. Hanno smarrito la loro umanità e hanno chiuso volenti o nolenti gli  occhi con cui poter guardare il mondo.

La mostra pittorica “CESSATE IL FUOCO” dell’artista Harold Rubin nato a Johannesburg in Sud Africa nel 1932, inaugurata ieri a  Palazzo Bianca, sede del bagno rituale ebraico, a Siracusa, ricorda quei milioni di individui e l’orrore del genocidio tedesco.

La vita e l’arte dell’artista figurativo e musicista jazz sudafricano sono state sempre contraddistinte dall’impegno politico e sociale.

I campi di concentramento sono stati i luoghi dell’annientamento dell’identità come ha raccontato e spiegato bene Primo Levi nei suoi libri, consegnando ai posteri la testimonianza di chi li  ha vissuti  e sperimentati sulla propria pelle. Egli  è riuscito tornare  per raccontarlo.  La giornata della Memoria ha il merito di non farci dimenticare.

 Harold Rubin, nelle sue immagini che ci consegnano ombre di una possibile umanità,  scopre i possibili abitanti dei lager. I telegiornali di questi giorni restituiscono brani di una storia, mostrano foto di luoghi come Auschwitz, la città polacca di Oświęcim, dove i soldati russi il 27 gennaio entrarono facendo conoscere al mondo intero un orrore non pensabile da una mente sana. Uomini cavie come hanno svelato al mondo gli esperimenti di Josef Mengele, l’efferato medico nazista di Auschwitz.

Nel tristemente noto blocco 10 Mengele condusse tutta una serie di spietati esperimenti sugli esseri umani, uno più spaventoso dell’altro. Il medico sperimentava su persone nane e soprattutto sui gemelli.

La rassegna che sarà visitabile fino al 27 febbraio testimonia attraverso l’arte la grande tragedia del popolo ebraico e invita attraverso il suo titolo a deporre le armi e ad impegnarci  perché  simili stermini non si ripetano.

 L’artista Rubin  nel corso della sua vita  ha spesso puntato il dito contro le ingiustizie sociali. Negli anni ’50 e ’60 una serie di disegni dedicati alla brutalità delle autorità dell’apartheid durante il massacro di Sharpeville nel 1960, sfidarono le leggi razziali del paese. Il suo nome è legato anche a “My Yesus”, una rappresentazione provocatoria della crocifissione di Gesù Cristo che venne censurata.

Nel 1963 si stabilì  a Tel Aviv. In Israele, Rubin iniziò a creare arte visiva come protesta contro la guerra con il Libano scoppiata nel 1982.  Nascono su questo tema  le opere  come L’anatomia di una vedova di guerra.

Nel 1976 si sposò  con Miriam Kainy , una famosa drammaturga israeliana particolarmente nota per le sue opere teatrali che parlavano  della religione ebraica, di  relazioni arabe e di  temi femministi.

​Patrizia Lazzarin, 27 gennaio 2024

Orari di apertura dell’esposizione: lunedì – sabato dalle 10:00 alle 13:00

Per visite guidate, previa prenotazione, telefonare al n. di telefono 0931-21467    o scrivere a:  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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