Bambole, peluche e spirito da pioniere

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Le donne hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo di alcuni dei giocattoli più noti e amati: dalle bambole classiche e dagli animali di peluche ai kit da costruzione e ai giochi da tavolo. La mostra in corso dall’otto marzo e che sarà visibile fino 27 ottobre, al Museo del Giocattolo di Basilea, presenta le donne pioniere che hanno avuto o hanno tutt’ora successo nel settore dei giocattoli e, al tempo stesso, rivela la loro lotta per l’uguaglianza dei diritti e l’attenzione alle riforme sociali.

Elizabeth Magie Phillips, nata a Macomb in Usa nel 1866, fu una femminista ante litteram e si occupò in senso critico del capitalismo. L’invenzione del suo gioco The Landlor’s Game che con il nome successivo di Monopoli avrebbe goduto di fama mondiale, metteva in evidenza le conseguenze del divario salariale e del capitalismo monopolistico. Nella versione successiva all’acquisto del brevetto, da parte del produttore di giocattoli Parker Brothers, venne falsato tuttavia il concetto visionario di denuncia delle ingiustizie sociali.

Alma Siedhoff Buscher da giovane seppe farsi strada nel Bauhaus: come tutte le donne alla scuola d’arte  venne assegnata al laboratorio di tessitura. Lei però, attratta dai lavori con il legno, riuscì ad essere spostata in quello di falegnameria. Per la Musterhaus am Horn progettò secondo i principi riformatori della pedagogia, un mondo per bambini che fosse fabbricabile in serie: mobili modulari che crescono insieme al bambino e possono essere trasformati in vari modi, ad esempio da fasciatoio a scrivania. Lavagne colorate e lavabili completano la cameretta. Alma ruppe con le convenzioni sociali che destinavano i mobili per adulti dismessi alle camerette dei bambini.

Caroline Märklin, nata nel 1826 a Ludwigsburg in Germania, fu la cofondatrice della omonima manifattura di trenini nota in tutto il mondo ed ebbe un ruolo decisivo nello sviluppo dell’impresa.

Fra le italiane,  Elena Scavini nata a Torino nel 1886, aveva studiato fotografia a Düsseldorf. Quando suo figlio morì nel 1916 d’influenza spagnola, iniziò nel 1919 a fabbricare bambole di feltro per elaborare la sua perdita. Fondò la ditta Ars Lenci – chiamata così dal suo nomignolo “Lenci”. I volti birichini delle sue bambole erano dipinti a mano. Quando negli anni Trenta l’azienda che aveva 600 collaboratrici e collaboratori ebbe una crisi finanziaria e venne venduta, Elena Scavini rimase la direttrice artistica fino al 1937. In seguito i nuovi proprietari nascosero il suo ruolo di creatrice, anche se le bambole furono realizzate secondo le sue direttive, fino alla liquidazione dell’impresa nel 2002.

Creatrici di bambole furono Käthe Kruse e Sasha Morgenthaler. Furono in primis due madri che ebbero l’idea di disegnare delle bambole per i propri figli poiché quelle che si acquistavano erano dure e si rompevano facilmente. Non erano quindi adatte alle coccole. Esse suscitarono interesse e furono così prodotte in serie. Lo stile delle bambole di Sasha Morgenthaler che aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti di Ginevra e la scuola privata di pittura di Simon Hollòsly a Monaco di Baviera, era particolare e possedeva un’asimmetria appena percettibile che conferiva loro un fascino proprio. I volti dipinti a mano, mai sorridenti, erano una loro caratteristica.

Cas Holman, nata nel 1975 in California,  promuove la creatività attraverso il gioco libero non strutturato. Senza idee predeterminate i suoi set di costruzioni permettono un’esperienza ludica al di là del vero e del falso. Holman crea spazi per il gioco nei quali i bambini possono inventare le loro storie  e dove si rafforza l’interazione sociale.

La ceca Libuše Niklová si distinse per l’invenzione di giocattoli pensati per i più piccoli, dai colori intensi e dalle forme semplici che possiedono profumo e suoni caratteristici. I suoi oggetti sono esposti anche al Museum of Modern Art di New York e fanno parte delle collezioni di tutto il mondo.

L’imprenditrice Renate Müller è nota per i suoi giocattoli terapeutici come ad esempio gli animali indistruttibili che incoraggiano i bambini con mobilità ridotta  a mettere alla prova la loro forza e ad alzarsi. Ha ideato  molti parchi giochi e realizzato con un gruppo di lavoro Kind-Umwelt (Bambino –Ambiente) molti progetti comuni.

Apollonia Margarete Steiff per costruire il suo impero industriale del giocattolo dovette superare le resistenze della famiglia e una menomazione fisica. Dopo aver contratto la poliomelite fu costretta sulla sedia a rotelle e solo a fatica muoveva la mano destra. Aprì comunque con la sorella una sartoria per signore. Cinque puntaspilli nel 1879 daranno inizio a un impero di animali di stoffa. Quindici anni dopo la sua ditta raggiunse un giro d’affari di 90.000 marchi diventando un’impresa internazionale.

Due anni prima della sua morte, avvenuta nel 1909,  vennero prodotti quasi un milione di orsacchiotti peluche. Da Margarete Steiff le lavoratrici avevano orari di lavoro piuttosto regolari  e una certa sicurezza di guadagno. Regnava un’atmosfera cordiale e durante l’attività si cantava. Anche le prestazioni sociali erano esemplari per l’epoca: le donne ricevevano buoni pasti da utilizzare nelle locande vicine. Tuttavia avevano bisogno del permesso del padre o del marito per lavorare: una legge rimasta in vigore fino agli anni Settanta.

Patrizia Lazzarin, 19 marzo 2024

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Bruno Munari, l’inventore fra arte e design

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Bruno Munari, artista poliedrico e creativo visionario che ha saputo annullare i confini tra arte e design, sarà dal 16 marzo il protagonista alla Fondazione Magnani-Rocca, della più grande mostra italiana che pone sotto la luce del riflettore,  una  delle più iconiche figure del design e della comunicazione visiva del XX secolo.

Nel panorama artistico italiano degli anni Cinquanta, gli artisti avevano tentato di liberare l’arte da ogni riferimento naturalistico o funzione sociale per fondare un linguaggio nuovo, autonomo e più vicino alle esperienze estetiche internazionali.

In questo clima di rinnovamento nasce il Movimento per l’Arte Concreta MAC, fondato a Milano nel 1948 da Bruno Munari, Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati.  I fondatori del Mac, al di là del comune credo concretista che traeva ispirazione dal purismo di Mondrian e di Van Doesburg, erano differenti nel modo di operare. Munari si contraddistinse da subito per il grande rigore formale e per l’inesauribile curiosità che lo avrebbe di lì a poco condotto all’arte programmata.

In seguito il MAC si unì  al Group Espace, promotore di una fusione tra architettura, scultura e decorazione, finalizzata ad una più attiva partecipazione artistica nel contesto sociale.  Pierre Restany che fu una   delle ultime figure di critico militante e un po’ bohemien, sostenitore appassionato di movimenti di neoavanguardia, definì l’inventore Munari, il Leonardo e il Peter Pan del design italiano.

La scimmietta Zizì  rappresenta uno dei primi successi dell’artista  Munari come designer. Essa, “partorita” nel 1953, è un giocattolo costruito avvolgendo attorno a un filo di ferro, un materiale innovativo dell’inizio degli anni Cinquanta: il poliuretano. Il risultato  rappresenta anche l’attuazione della poetica  e del metodo didattico dell’artista, convinto che l’apprendimento dovesse avvenire attraverso il gioco.

Nel 1958 inventa le Forchette Parlanti, posate in acciaio inox a cui vengono piegate  rebbi e manici. Così facendo, dà vita a oggetti che perdono la loro funzione originale per lasciare spazio alla fantasia e alla sperimentazione. Sono una perfetta  sintesi tra design e arte, espressione della ricerca  di Munari in ogni sua creazione.

 “Munari – spiega Marco Meneguzzo insigne studioso munariano e curatore della mostra – è una figura molto attuale nella società liquida odierna, nella quale non ci sono limiti fra territori espressivi. È un esempio di flessibilità, di capacità di adattamento dell’uomo all’ambiente. Il suo metodo consiste nello scoprire il limite delle cose che ci circondano e di volerlo ogni volta superare”.

Nella mostra sono racchiusi settant’anni di idee e di lavori. Egli  aveva iniziato la propria attività durante il cosiddetto Secondo Futurismo, attorno al 1927. Spazierà poi  in tutti campi della creatività: dall’arte al design, dalla grafica alla pedagogia. Grafica, oggetti, opere d’arte, TUTTO risponde a un metodo progettuale che si definisce negli anni,  dai grandi corsi nelle università americane e con il progetto più ambizioso, che è quello dei laboratori per stimolare la creatività infantile, che dal 1977 sono tuttora all’avanguardia nella didattica dell’età prescolare e della prima età scolare.

Ripercorrendo l’arte di Munari,  a partire dalla fine degli anni Quaranta, riscopriamo il suo pensiero. Egli scriveva negli anni Ottanta, in occasione di una sua mostra: “Tutta l'arte è concreta, anzi si potrebbe dire che o è arte concreta o non è arte … Quando un normale pittore fa un ritratto ad una persona, è evidente che l'opera dell'artista è un’astrazione, anche se il ritratto è realizzato nel modo più verista possibile. Infatti il dipinto ci mostra solo una parte della realtà vera, di quella persona mancano una infinità di proprietà che sono il volume, il peso, il calore, l'odore e via dicendo. Senza contare che un ritratto olio su tela, dà solo un lato della persona … la Gioconda non ha le gambe, la figura che rappresenta la Primavera di Botticelli non ha la parte dietro.

Quindi quelle forme di arte chiamate verismo o arte figurativa sono infatti astrattismo come quelle pitture che prendono qualcosa dalla natura e ce lo mostrano col disegno, con i colori, con le forme. Ma allora se il verismo e l'astrattismo sono la stessa cosa, che cos'è l'arte concreta?

Prendiamo come esempio il teorema di Pitagora. Questa figura di due quadrati e un triangolo, prima era nella mente di Pitagora e nessuno la vedeva e la poteva conoscere. Disegnandolo su di una superficie piana, questo pensiero prende corpo, il suo corpo, diventa concreto, è lui, non «rappresenta» altro che sé stesso.

Questo vuol dire poter vedere un pensiero. Ora questo pensiero può essere scientifico, come quello di Pitagora o artistico come quello di Mondrian, di Arp, di Bill, di..., può essere a due dimensioni, a tre, a quattro, con colore o senza, con movimento per mostrare come una forma può trasformarsi in un'altra.

Arte concreta è quindi quella che fa vedere la natura interiore dell'uomo o della donna, il pensiero umano, la sensibilità, l'estetica, il senso dell'equilibrio e tutto ciò che fa parte della natura interiore ...

La rassegna BRUNO MUNARI. Tutto rimarrà aperta fino al  30 giugno. Il catalogo, a cura di Marco Meneguzzo e Stefano Roffi, viene pubblicato da Dario Cimorelli Editore. 

Patrizia Lazzarin, 13 marzo 2024

 

 

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L'eredità di Francesca Alinovi

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Il 12 giugno 1983 Francesca Alinovi, promettente critica d’arte e giovane insegnante del Dams, viene trovata annegata nel suo sangue nel suo  appartamento.

Dal 13 aprile al 13 luglio 2024 il  MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna ospiterà FRONTIERA 40 Italian Style Writing 1984-2024, una rassegna che nasce dalla lunga ricerca condotta dalla curatrice Fabiola Naldi intorno al percorso intellettuale di Francesca Alinovi . Francesca è stata una  ricercatrice, critica militante e attenta studiosa dei fenomeni creativi più sperimentali emersi negli anni Settanta e Ottanta. La sua  breve e originale parabola ha lasciato una traccia nella critica d’arte della seconda metà del Novecento.

In particolare, la prossima esposizione si origina dalla volontà di ricordare il quarantesimo anniversario di Arte di frontiera. New York Graffiti, mostra ideata da un progetto di Francesca Alinovi, che si inaugurò nel 1984 alla Galleria comunale d’Arte Moderna di Bologna. Lo fa interrogandosi  sull’eredità storica e critica che quella iniziativa, seminale nel contaminare sistema dell’arte ufficiale e realtà urbana del Writing, ha avuto fino ai nostri giorni.

La mostra realizzata nel 1984  faceva conoscere  al pubblico italiano le ultime tendenze dell'arte americana. Erano esposte opere dei protagonisti della Old School of New York, quali Kenny Scharf, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat.

 In quell’occasione un giovane travestito e con i lineamenti di Francesca Alinovi, curatrice della mostra e uccisa pochi mesi prima, provocò sorpresa e sconcerto tra il numeroso pubblico presente all'inaugurazione.

FRONTIERA 40 Italian Style Writing 1984-2024 si focalizza sul lavoro di 178 autori che, partendo dall’arte di frontiera, quella che secondo Alinovi si poneva “entro uno spazio intermedio tra cultura e natura, massa ed élite, bianco e nero, aggressività e ironia, immondizie e raffinatezze squisite”, si spingono verso nuove possibilità di espressione che contemplino lo style writing come un orizzonte della pittura ambientale, suggestione per altro elaborata dalla stessa Alinovi.

In mostra saranno presentati dei bozzetti, testimonianze del processo creativo di diverse generazioni di writers italiani, dispositivi espressivi unici, prioritari e generativi dello stile di ciascun autore. Nella disciplina del Writing i disegni preparatori, o sketches, costituiscono le testimonianze dell’evoluzione e della sofisticazione del segno e rappresentano degli strumenti d’indagine dotati di un valore concettuale, oltre che dei documenti di un percorso in fieri.

Per consentire a tutti gli autori coinvolti di mantenere una propria autonomia rappresentativa all’interno del progetto espositivo, la curatrice Fabiola Naldi ha svolto un’indagine storica, ma anche site specific, guardando al territorio italiano come a un grande bacino creativo.

Le opere su carta saranno inserite in dispositivi “mobili”, nove teche, allestiti in diversi ambienti del MAMbo.

La mostra si avvarrà di mappe, flyer e documentazioni web utili ad approfondire il progetto come anche la necessità di “raccontare”, sempre a partire dal 1984 e dalla mostra Arte di frontiera, come il fenomeno si sia evoluto e si sia trasformato.

Patrizia Lazzarin, 12 marzo 2024

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