Quando la fotografia colma i vuoti storici

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  Nel tentativo di riempire i vuoti storici relativi al racconto ufficiale del periodo coloniale keniota, con la mostra State of Emergency–Harakati za Mau Mau kwa Haki, Usawa na Ardhi Yetu, a cura di Salvatore Vitale, EXPOSED Torino Foto Festival presenta dal 10 aprile al 2 giugno negli spazi di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, un progetto documentaristico di finzione, realizzato dal fotografo Max Pinckers in collaborazione con i veterani Mau Mau e i kenioti sopravvissuti alle atrocità della guerra.

Si tratta della prima mostra dedicata al progetto, che con la sua straordinaria importanza storica anticipa la ricchezza del programma del festival che dal 2 maggio al 2 giugno porta in città alcuni tra i più interessanti esempi della ricerca fotografica internazionale.

 State of Emergency–Harakati za Mau Mau kwa Haki, Usawa na ArdhiYetu è un progetto documentaristico tutt’ora in corso, che attraverso rievocazioni dal vivo o “dimostrazioni”, crea una nuova visualizzazione della lotta per l’indipendenza dal dominio coloniale britannico che si svolse negli anni Cinquanta e che, mostrando oggi le esperienze del passato, vuole parlare a un pubblico futuro.

Il progetto intreccia archivi frammentari, fotografie di resti architettonici e simbolici del passato, siti di fosse comuni, dimostrazioni e testimonianze di chi ha vissuto ed è sopravvissuto alla guerra.

Con gli archivi coloniali deliberatamente distrutti, nascosti o manipolati, questo progetto crea “documenti immaginati” per fare luce sugli angoli ciechi della storia, colmando lacune storiche.

Nel 2014, Max Pinckers è stato invitato all’Archive of Modern Conflict di Londra, dove si è imbattuto in una collezione di materiale di propaganda britannico degli anni Cinquanta relativo all’emergenza Mau Mau in Kenya, che è diventato punto di partenza di una lunga ricerca su uno degli episodi più violenti della storia coloniale britannica. Il Kenya è stato colonia britannica dal 1885 al 1963. In reazione al dominio coloniale, i Mau Mau sono emersi come movimento per la libertà nel periodo precedente l’indipendenza.

La propaganda britannica ritraeva il movimento come una banda di selvaggi criminali, mentre meno nota è la brutale risposta dell’Impero alla rivolta. Dal 1952 al 1960, l’amministrazione coloniale costruì una rete di oltre cento campi di detenzione, luoghi di tortura e villaggi di reinsediamento, e i Kikuyu – il più grande gruppo etnico coinvolto nella ribellione furono sistematicamente derubati delle loro terre, deportati in campi di lavoro e torturati.

Più di mille persone furono impiccate su forche mobili trasportate di città in città. Alla vigilia dell’indipendenza, nel 1963, il governo coloniale distrusse la maggior parte della documentazione relativa alla rivolta in un processo noto come Operazione Legacy.

Successivamente il governo keniota, dopo l’indipendenza, rese illegale parlare o scrivere di Mau Mau fino al 2003. Solo nel 2013 il governo britannico ha espresso formalmente il proprio rammarico per gli abusi subiti per mano dell’Impero e un piccolo gruppo di ricorrenti ha ottenuto un risarcimento di circa 20 milioni di sterline in un processo che ha portato alla luce gli Archivi Migrati, una raccolta segreta di migliaia di documenti relativi a tutte le 37 ex colonie, un tempo ritenuti troppo sensibili per essere resi pubblici.

Questa rivelazione ha fornito molti documenti inediti che descrivono in dettaglio le torture sistematiche dei detenuti durante l’emergenza e la conoscenza di questi abusi da parte dei funzionari del governo britannico a Londra e a Nairobi. Il fatto che una così importante documentazione a prova della violenza coloniale sia stata distrutta ha creato lacune nella storia e impedito i conseguenti processi di riconciliazione.

Le riproduzioni di questo archivio coloniale costituiscono il cuore di State of Emergency–Harakatiza Mau Mau kwa Haki, Usawa na Ardhi Yetu. State of Emergency  e costituiscono un tentativo di collaborazione, ricostruzione e nuova immaginazione di possibili futuri di riparazione e riconciliazione.

Con la partecipazione di National Museums of Kenya, Kenya National Archives and Documentation, Nyeri Museum, Karatina University, i membri della Mau Mau War Veterans Association of Kenya, Kenya Human Rights Commission, The National Archives (UK), Bristol Archives and Museums and the Archive of Modern Conflicte the Flemish Government, il progetto fornisce una risposta collettiva volta a curare, senza cancellare, le ferite ancora aperte della violenza coloniale, proponendo uno strumento riparatore che, attraverso il mezzo fotografico, racconta ai potenti la verità di chi l’ha vissuta.

La mostra è accompagnata e integrata da una pubblicazione realizzata grazie alla collaborazione tra Max Pinckers e l’Associazione dei veterani Mau Mau di Murang’a, Nanyuki e Mukurwe-ini, avviata sotto la guida del defunto Presidente Nazionale Elijah Kinyua (alias Generale Bahati), con la guida e sostegno dei Musei Nazionali del Kenya e dell’Università Karatina.

Alla mostra si può accedere anche con l’EXPOSED PASS acquistabile al prezzo di €25 a questo link:https://www.exposed.photography/tickets»

 EXPOSED Torino Foto Festival è il nuovo Festival Internazionale di Fotografia che dal 2 maggio al 2 giugno 2024 si svolge nel capoluogo piemontese. Rifacendosi a uno degli argomenti centrali nella tradizione fotografica italiana, la prima edizione del Festival sotto la direzione artistica di Menno Liauw e Salvatore Vitale è dedicata al tema New Landscapes– Nuovi Paesaggi, e propone una riflessione sull’evoluzione odierna del medium fotografico e delle principali sfide e innovazioni del mondo dell’immagine, attraverso un cartellone di mostre temporanee, incontri, talk ed eventi nelle sedi delle principali istituzioni culturali torinesi.

Il Festival è promosso da Città di Torino, Regione Piemonte, Camera di commercio di Torino, Intesa SanPaolo, Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, su delega della Fondazione CRT ed è  organizzato da Fondazione per la Cultura Torino.

Patrizia Lazzarin, 10 aprile 2024

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Cale Longa, nella Venezia Giulia di Giulia Lama

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Nel caldo umido della notte i canali traboccano di gondole infiocchettate e peote accompagnate dall’eco  delle loro canzoni …  Quando si incrociano,  le mani e le guance incipriate salutano con smorfie languide. Il plenilunio di agosto non poteva essere migliore. Sono bastate poche righe, nel primo capitolo del libro Calle Longa 1736, Ritratto di Giulia Lama, pittora veneziana, opera della scrittrice Patrizia Castagnoli, per ritrovarci nell’atmosfera  di una Venezia della prima metà del Settecento.

Le canzoni che ci par quasi di sentire provenire dalle  imbarcazioni che  riuniscono sulla superficie lagunare,  il popolo e i nobili, i cui cognomi si  tramandano nella Storia, ci riportano alla vita e al sentire dell’epoca di cui assaporiamo ancora  il gusto della naturalezza e del “capriccio”. Si scoprono “altarini” dietro la festa, emozioni d’amore cercate e, non celate abbastanza per passare inosservate.

I dialoghi in lingua veneziana fanno rivivere la commedia umana. E in questo chiacchierare  comprendiamo la vita della città, nel suo scorrere lento e a volte vivace come l’acqua fra le terre e i canali. Voci che paiono emergere talvolta scoppiettanti come i mortaretti che illuminano da sempre  Venezia nelle grandi feste.

Fra le calli e i palazzi  scopriremo  Giulia Lama,  fra le “note”  di una città e  gli umori di un popolo che hanno poggiato lo spartito dove la pittrice ha usato  il suo pennello per  tratteggiare, con convinzione,  il suo  “discorso sull’arte”.  Giulia Lama fu un’artista ricca di talento, figlia di un pittore e amica di Giambattista Piazzetta, uno dei maggiori esponenti della corrente patetico chiaroscurale caratterizzata da forti contrasti di luce e da un’intensa drammaticità delle figure.

Giulia, fatto inconsueto per un’artista donna del suo tempo, disegnò i suoi nudi da modelli reali poiché non è immaginabile che essi siano copie da album di altri colleghi, proprio per la loro capacità di espressione, forza e realismo. A differenza della maggior parte delle pittrici operanti a Venezia essa si dedico alla realizzazione di grandi pale d’altare. Nei quadri di  carattere storico e sacro, dove si dispiegano azioni e movimenti, un artista deve misurarsi e avere conoscenza necessariamente  dell’anatomia umana per dipingere figure plausibili.

Inizia con lei una rivoluzione culturale che le costerà molto. Nel  romanzo  di Patrizia Castagnoli comprendiamo quali potevano essere le fatiche e i dolori che Giulia ha dovuto soffrire nella sua Venezia, dove seppur relativamente libere, le donne rimanevano all’ombra di padri e mariti. Le pagine del  suo  diario che si distinguono, anche nel carattere grafico scelto, dal resto della narrazione, contengono quelli che potrebbero essere i  suoi pensieri. La sua vita si legge quindi lungo il duplice percorso del racconto intimo e di quello vivace  e a volte un po’ malinconico della quotidianità.

Scopriamo fra le righe del libro non solo le donne che usavano pennelli e  colori, come  Rosalba Carriera e Elisabetta Lazzarini, fra quelle più note, ma anche le letterate come Luisa Bergalli, le  musiciste e le cantanti.  Nel romanzo  si rivela il maturare della consapevolezza,  fra i suoi abitanti, che Venezia sta cominciando a declinare come un sole serale, ma  al tempo stesso,  non possiamo non ammirare quelle che sono le buone abitudini  dei veneziani, come l’andare a teatro. Si delinea un ritratto di un luogo e di un tempo.

Giulia Lama durante la sua vita ha scritto anche poesie ed  era ricamatrice, professione che le permetteva di guadagnare dei buoni soldini. Il lavoro di ricamo garantiva a molte donne nella città lagunare di far fronte al proprio mantenimento o a quella della famiglia, soprattutto se veniva a mancare il marito.

 L’oblio tuttavia ha spesso steso sulla storia delle artiste una coltre di polvere e Giulia Lama ha patito sicuramente di questo male.

Ora  il merito di Castagnoli è anche quello di scrivere  su una pittrice che negli ultimi anni fortunatamente si sta riscoprendo, contribuendo anch’essa alla costruzione di un pantheon femminile accanto ad uno maschile, dove ritrovare il valore e i meriti del passato.

Di Giulia Lama sappiamo che non si mosse da Venezia. Nelle chiese veneziane ci sono  alcune delle sue pale d’altare, come I quattro Evangelisti nella chiesa di San Marziale, l’Assunzione della Vergine nella Chiesa di Santa Maria Assunta a Malamocco, Cristo Crocifisso e gli Apostoli nella Chiesa di San Vidal e la Vergine con il Bambino, San Pietro, S. Magno Vescovo e la personificazione di Venezia nella Chiesa di Santa Maria Formosa, non molto  distante da Calle Longa, dove ella abitava.   Ancora in altri musei veneziani, italiani o stranieri troviamo  opere fra quelle note dell’artista.

Fra quelle citate, alcune sono in restauro nell’ambito del progetto Women Artists of Venice e si attende di rivederle presto nella loro originaria bellezza.

Castagnoli ha pubblicato oltre a questo libro con l’Editrice Luciana Tufani, anche Oltre. Sulle tracce di Ernesta Oltremonti, pittrice e, con Il Ponte Vecchio, un altro testo di tema storico- artistico: La schiena di Venere, racconti su pittrici e pittori del passato. Ha anche redatto il catalogo della mostra Gabriella e le altre, su alcune pittrici dimenticate del primo ‘900  e ha contribuito alla redazione del catalogo Il Gusto della Visione, artiste contemporanee alla EXPO 2016.

Patrizia Lazzarin, 8 aprile 2024

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Racconti disumani

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Uomini come animali o viceversa? Quante analogie si possono evidenziare! Come potersi  arrabattare in un mondo apparentemente civile che spara agli animali inermi per  inventare uno spettacolo circense? Nella piece andata ieri sera in scena,  al Teatro Mario Monaco di  Treviso, rivivono due racconti di Franz Kafka: Una relazione per un’Accademia pubblicato nel 1917  e La Tana,  edito postumo e per la prima volta dopo il 1931.

Racconti disumani è il suo titolo. L’attore  Giorgio Pasotti e il regista  Alessandro Gassmann hanno costruito uno specchio dove guardare per intuire il sentimento e il pensiero  di una società che ora avrebbe più di cent’anni. Il suo carattere rimane tuttavia  attuale  ancora oggi, come dimostra la lettura del libro I miei stupendi intenti di Bernardo Zannoni,   scrittore vincitore del Premio Campiello 2022. Nella sua opera egli fotografa un’animalità molto simile nel suo agire  al comportamento umano.  

Cosa muove gli  esseri umani nel loro vivere di ogni giorno? Lo spirito di libertà, la ricchezza, l’ambizione, la paura, il desiderio di solitudine, il silenzio creativo … ? Certamente per la povera scimmia, strappata a un fresco bagno nelle acque della sua foresta dai colpi d’arma da fuoco di un gruppo di cacciatori, la libertà dentro una stretta gabbia sulla prua di un bastimento non aveva senso. Quello che contava era una via d’uscita.

E a pensarci bene  tante volte le persone  cercano solamente una via d’uscita per risolvere i loro problemi, senza neppure potersi permettere di pensare ad un’incantevole  libertà. Libertà da cosa, si chiedeva poi   la scimmia, ora passata o se vogliamo “travasata” nel regno umano,  dopo esperienze che non si erano certamente mostrate  rispettose della sua “individualità”.

 Scappare da una gabbia stretta per finire riacciuffata sulla nave in una gabbia ancora più invivibile, oppure essere soffocati da uno dei boa catturati dai cacciatori o infine annaspare e poi annegare, gettandosi  speranzosi in mare? Quello che serviva era una via d’uscita … L’idea si palesava chiara e salvifica e si scontrava con le emozioni.

Tutto questo lo raccontava agli scienziati immaginati  davanti a lui e il suo monologo si rivolgeva in sala direttamente a noi, intrigandoci maledettamente. Chi sono stati i suoi maestri in questa “evoluzione”? Un marinaio ubriacone con cui era riuscito a comunicare “combattendo” per una bottiglia di cognac, ormai vuota e dal sapore repellente?  Un’identica fiasca piena egli invece riuscirà  a scolarsi durante uno spettacolo circense organizzato per suscitare lo stupore  e probabilmente l’ilarità del pubblico.

Animali circensi e anche umani pagliacci potrebbero parodiare la tristezza come sottofondo di un vivere.  Ragione e sentimento come si combinano allora nell’uomo scimmia diventato sicuro e famoso? Vive insieme agli uomini durante le giornate guardato da tutti come  una star. Rimane  solo, al contrario, a sera tardi con una scimmia che gli hanno portato e che assomiglia nel suo modo di essere a quello che era stato lui nei primi tempi, dopo essere stato strappato alla sua foresta.

Un’altalena di sentimenti e ragioni   oscillano   fra  due mondi e  l’assurdo sembra preferire il regno umano. L’uomo scimmia  riesce a stare accanto solo a fine giornata a chi proviene come lui da un mondo altro e “lontano” ... Cosa possiamo intendere?

 La solitudine, nel secondo racconto La tana, diventa allora forse un’opportunità offerta non solo al protagonista roditore architetto, ma anche a quella scimmia “diventata” uomo.  Entrambi fanno intenerire  nell’interpretazione di  Giorgio Pasotti. La solitudine che può diventare paura … Ma non è stato sempre così. Nella Tana l’uomo roditore sembra credere di aver forse vissuto un tempo in cui era più libero …, forse anche poteva allora sperare nella felicità.

Lo spettacolo andrà nuovamente in scena, stasera alle ore 20.30  e domani alle ore 16.00 al Teatro Mario del Monaco di Treviso

Patrizia Lazzarin, 6 aprile 2024

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