Palladio designer a Vicenza

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Un altro volto di Palladio, meno conosciuto di quello legato alle grandi dimore e ai palazzi veneti  diventati  patrimonio Unesco, viene messo in risalto nella nuova rassegna che si è aperta in questo fine settimana a Vicenza, al Palladium Museum, nell’antico palazzo Barbaran da Porto, opera dello stesso architetto veneto e, sede del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio.

 Non molti  sanno infatti che egli fu anche  progettista di “piccole cose” all’interno dei suoi edifici, come camini, lavamani, acquai, vere da pozzo e persino un armadio per la collezione di monete di Alvise Mocenigo. Un armadio che  doveva avere le forme dell’Arco di Costantino e di cui si sono perse le tracce … ha spiegato il direttore del Palladium Museum,  Guido Beltramini.

La mostra che sarà visibile fino al 5 maggio, salvo proroga, e che si apre in concomitanza con la Design Week di Milano, ha come fulcro le micro architetture palladiane e presenta, in scala, 46 camini, 2 lavamani e un acquaio insieme a disegni, video e schemi interattivi. Il luogo sicuramente dove si svolge assume un significato particolare perché a Vicenza è conservato uno dei rari fogli superstiti che rappresentano alcune micro architetture di Andrea Palladio. Sono proprio quei  disegni che raffigurano dei sarcofagi antichi la fonte di ispirazione per i lavamani del refettorio di San Giorgio Maggiore a Venezia.

L’esposizione Palladio designer ha anche valore didattico, se la si esamina da differenti profili. Essa è infatti realizzata dal CISA Andrea Palladio, in sinergia con l’Università di Bologna e raccoglie il lavoro di ricerca, condotto negli ultimi tre anni da 60 studenti del corso di Fotogrammetria per l’architettura, nel corso di laurea in Architettura – Ingegneria nell’Università di Bologna, in un laboratorio curato da Marco Gaiani e da Simone Garagnani. Marco Gaiani è, assieme a Guido Beltramini, curatore della rassegna.

Anche gli eventi collaterali previsti sono rivolti ad accrescere le conoscenze in materia. Nella giornata del 17 aprile gli studenti che hanno effettuato i rilievi dei camini nelle ville e nei palazzi palladiani terranno degli workshop per i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado per avvicinarli all’uso della tecnologia applicata ai beni culturali. Per il pubblico degli appassionati, non necessariamente del settore, in collaborazione con l’Università IUAV di Venezia e il suo corso di Design che ha sede a Vicenza ed è coordinato dalla professoressa Laura Badalucco, sono previste altre opportunità.

Nel corso tenuto da Gabriella Liva, relatrice dell’IUAV di Venezia che si svolgerà il 15 aprile alle ore 17.30, si parlerà di tecnologie digitali per il rilievo del patrimonio scultoreo. Venerdì 19 aprile, Marco Gaiani dell’Università di Bologna, spiegherà invece come si può incrementare la conoscenza dei capolavori pittorici con le nuove tecnologie informatiche. La presenza all’inaugurazione  di Palladio Designer di Massimo Iosa Ghini, uno dei più noti architetti e designer italiani contemporanei, ha voluto segnare il legame fra passato e futuro nell’architettura. “L’attenzione, la cura e il progetto di oggetti di utilità quotidiana, in grado spesso di migliorare la qualità della vita, non appartiene solo all’epoca della produzione industriale, ma ha radici profonde nella cultura del nostro paese.”

Gli incontri avranno luogo al Palladium Museum e sono aperti al pubblico fino ad esaurimento posti.

Patrizia Lazzarin, 14 aprile 2024

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XX Biennale Donna … yours in solidarity

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La BIENNALE DONNA che sarà visibile da oggi a Palazzo Bonacossi, nella città di Ferrara, già nel titolo contiene, in sintesi, i significati di cui si fa portavoce e qui, la parola fa a gara con l’immagine nell’esprimere i valori di cui si fa garante. Cominciamo dai numeri che spesso raccontano quanto si è conservato e cancellato nella Storia. La XX BIENNALE DONNA  si lega alle origini di quelle mostre di sole donne o mostre ghetto, come erano state definite e, che ponevano su un differente palcoscenico la creatività femminile nel suo desiderio di cambiamento. L’arte diventava in questa maniera un processo di liberazione e di emancipazione. Era e rimane un discorso politico nel senso originario, dove  l’etimologia ci riporta a Πολιτικός, politico,  πόλις, città,  fino alla radice πολ che si traduce in molti.

Un’arte femminile quindi desiderosa di narrare a molti, collegandosi anche ad un’impostazione tipicamente concettuale della stessa, ma soprattutto animata dall’intenzione di svelare altri mondi … che fanno parte dell’universo femminile. Mirella Bentivoglio che assieme a Romana Loda era stata negli anni Settanta, una delle più attive animatrici della scena artistica femminile in Italia, aveva scritto nel catalogo della VIII Biennale Donna Post Scriptum, riferendosi alle mostre di sole donne di quel periodo:

Hanno portato frutto … Hanno attivato scambi di informazioni. Forse l’espressione derisoria con cui questo tipo di esposizioni venne battezzato si codificherà in segno positivo come le definizioni di Impressionismo e Cubismo che, nate come ironizzazioni critiche, entrano a pieno titolo nel nobilitante vocabolario della storia dell’arte”.

Guardando ora ancora al titolo  della mostra Yours in Solidarity che campeggia sulle locandine, stendardi e cataloghi, si chiarisce l’ampio spazio destinato in essa al messaggio e più specificatamente alla comunicazione. Il titolo si riallaccia alla rivisitazione di un consistente epistolario proveniente da una rete internazionale di anarchici che terminavano le loro lettere con la frase Yours in solidarity. Attraverso il mezzo video alcuni attori fanno rivivere “lungo” un dialogo a più voci  quei vocaboli e frasi per suggerire  parole capaci di creare e attivare relazioni fra culture, contesti e generi diversi.

Fino  al 30 giugno 2024  Palazzo Bonacossi  potremmo visitare Yours in Solidarity  – Altre storie tra arte e parola, un’esposizione a cura di Sofia Gotti e Caterina Iaquinta. La mostra riunisce installazioni, sculture, performance e opere tessili frutto di esperienze partecipative di sei artiste internazionali: Binta Diaw, Amelia Etlinger, Bracha L. Ettinger, Sara Leghissa, Muna Mussie e Nicoline van Harskam.

Sofia Gotti, una delle curatrici, ha evidenziato, in riferimento a questa rassegna che ha un valore storico, la ricerca effettuata sugli archivi dell’UDI e sulla memoria. Qui  le parole di donna, di lotta femminista oggi, di storia di lotta condivisa aprono nuovi spazi di discussione.

All’anteprima stampa erano presenti l’assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, Marco Gulinelli, Mauro Felicori, Assessore alla Cultura e Paesaggio Regione Emilia Romagna e il critico d’arte  e sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi che hanno tessuto parole di elogio per la manifestazione.

Un particolare significato ha la presenza di una grande artista di Tel Aviv Bracha Lichtenberg Ettinger, come scrive V. Sgarbi, nel catalogo. Un’artista che è non solo pittrice, ma anche psicoanalista, filosofa, teorica dell’arte contemporanea, militante femminista. Attraverso la pittura, i disegni e i taccuini, Ettinger evoca immagini tormentate e dissolventi di personalità mitologiche femminili mortificate come Euridice, Medusa, Ofelia e Persefone … Allo stesso tempo elabora anche i traumi storici, transegenerazionali e personali delle donne in tempo di guerra. I suoi dipinti muovono dalla traccia sulla tela di una figura umana, alterata al punto di diventare irriconoscibile, attraverso un lungo processo di manipolazione materiale e psicologica, come in una serie di sedute con una persona reale.

La rassegna è stata organizzata dal Comitato Biennale Donna dell’UDI, composto da Lola G. Bonora, Silvia Cirelli, Ada Patrizia Fiorillo, Catalina Golban, Elisa Leonini, Anna Quarzi, Ansalda Siroli, Dida Spano e Liviana Zagagnoni, insieme al Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, in collaborazione con la Fondazione Ferrara Arte e con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.

In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo bilingue in italiano e in inglese.

Patrizia Lazzarin, 14 aprile 2024

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Incroci di civiltà a Venezia: donne sul palcoscenico

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Il Festival Incroci di civiltà si è inaugurato ieri pomeriggio, al Teatro Goldoni di Venezia, con la presenza di Margarethe von Trotta. Un incontro piacevole, spiccatamente provocatorio di una  regista  che ha saputo raccontare nei suoi film donne passate alla Storia, con uno sguardo che ne ha recuperato non solo il loro ruolo pubblico o l’immagine nota, ma anche gli elementi che  ne rivelavano  le qualità profonde. Il festival Incroci di Civiltà, quest’anno alla sua diciassettesima edizione, registra una presenza femminile significativa.

A cominciare dalle parole della  presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia, Mariacristina Gribaudi che, sottolineando il valore della manifestazione perché fa focus sui temi come il viaggio, anche quello fantastico,  la ricerca di altri mondi e il commercio, fondamentali per la circolazione di idee e di persone, ha evidenziato il significato dell’assegnazione della  prima edizione del Premio Incroci alla regista tedesca.

Margarethe von Trotta ha posto delle pietre miliari nella coscienza tedesca e dell’umanità. È un esempio di dialogo tra le culture e di costruzione di civiltà.  Essa è stata autrice di un cinema indipendente che ha saputo ideare con originalità. Nei suoi film troviamo donne impegnate a combattere ogni giorno per la propria libertà.

La rassegna Incroci di Civiltà, ricordiamo,  si svolgerà fino al 14 aprile e porterà  a Venezia la letteratura da tutto il mondo. Scrittrici e scrittori internazionali animeranno il programma ideato e organizzato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, in collaborazione con Fondazione di Venezia e Comune di Venezia, con il sostegno di Marsilio e Fondazione Musei Civici Venezia e la direzione di Flavio Gregori. 

Nel corso della manifestazioneIl Premio giovani Incroci-Albero d’Oro è stato assegnato  a Emilienne Malfatto, per la sua opera letteraria, saggistica e fotografica, come ha spiegato Béatrice de Reyniès, segreteria della Fondazione dell'Albero d’Oro.  

Emilienne ha saputo raccontare i drammi politici e sociali della contemporaneità, le condizioni dei luoghi lacerati dai conflitti, le situazioni di sofferenza causate dalla bellicosità umana. I  suoi romanzi che si costruiscono su esperienze personali e incontri realmente avvenuti hanno ricevuto numerosi premi.Ha vinto il premio Goncourt nel 2021 per i romanzi d’esordio con Que sur toi se lamente le Tigre (Il lamento del Tigri,  Sellerio 2023) e il premio Albert-London con Les serpents viendront pour toi: une histoire colombienne (“I serpenti verranno per te: una storia colombiana"). Di recente ha realizzato un'opera di saggistica sull'ultima dittatura argentina, L'absence est une femme aux cheveux noirs (“L’assenza è una donna dai capelli neri"), in collaborazione con il fotografo Rafael Roa.

Nel corso dell’inaugurazione è stata  presentata la vincitrice del Premio Cesare De Michelis per l’editoria innovativa, la statunitense Fiona McCrae, per ventisette anni alla guida di Graywolf Press, prestigiosa casa editrice indipendente di Minneapolis.

Nell’incontro con  Margarethe von Trotta, abbiamo avuto l’occasione di  spaziare dentro la sua cinematografia  con il critico Paolo Mereghetti. Siamo andati a conoscere le ragioni del suo cinema e del suo modo di riscriverlo  partendo da uno  sguardo tutto femminile.  Lei  ha  vissuto con una donna sola, come ha raccontato, la  madre non era sposata, molto emancipata e indipendente  e  le  ha insegnato a non farsi guidare dagli uomini.

Dapprima diventa attrice, poi sceneggiatrice e infine regista.

Negli anni Sessanta si trasferisce a Parigi, anche per liberarsi dal clima opprimente che regnava in Germania. Qui contribuisce alla realizzazione di film collettivi, collaborando alle sceneggiature e co-dirigendo cortometraggi. Ama il cinema d'autore di Ingmar BergmanAlfred Hitchcock e della Nouvelle Vague francese. Come attrice, prende parte a diversi film di registi importanti, tra cui Rainer Werner Fassbinder (Il Dio della pesteIl soldato americano, 1970),  e soprattutto Volker Schlöndorff, suo marito dal 1971.

Nel 1975 von Trotta collabora con il marito alla regia de Il caso Katharina Blum, uno dei primi film a confrontarsi con il fenomeno della Raf, uno dei gruppi terroristici tedeschi di estrema sinistra più violenti nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. In questa prima prova sono già presenti i temi che diventeranno ricorrenti nella filmografia di von Trotta: il conflitto tra la sfera personale e quella pubblica e l'attenzione verso i personaggi femminili, relegati in spazi soffocanti in un mondo gestito dagli uomini.

Il primo film diretto dalla von Trotta è Il secondo risveglio di Christa Klages (1978): storia, ispirata a una vicenda reale, di una donna che rapina una banca per salvare il giardino d'infanzia in cui lavora. Anche questo film sviscera le questioni di maggiore rilevanza per la regista: i legami femminili, la sorellanza, gli effetti della violenza.

In seguito von Trotta dirige la cosiddetta "trilogia della sorellanza". Sorelle - L'equilibrio della felicità (1979), dove qui affronta il dissidio tra regole sociali e felicità individuale attraverso il conflitto tra due sorelle, l'una inserita nel sistema, l'altra incapace di accettarlo. 

Anni di piombo (1981), Leone d'oro a Venezia, ispirandosi alla storia di Gudrun Ensslin, militante della Raf morta in carcere nel 1977, e di sua sorella Christiane, rappresenta atteggiamenti opposti rispetto alla lotta armata, l'uno di convinta adesione, l'altro di condanna.

 Paura e amore (1988), liberamente tratto dalle "Tre sorelle" cechoviane, è una coproduzione italo-franco-tedesca incentrata sulle storie di tre sorelle che lottano per conquistare l'autonomia e l'autodeterminazione.

Ormai celebre a livello internazionale come esponente femminista di punta del Nuovo Cinema tedesco, von Trotta dirige Lucida follia (1982), storia di un'amicizia tra due donne, la moglie forte di un regista e quella debole di uno scienziato. Avvicinandosi tra loro, le due donne si allontanano dai rispettivi mariti che, messi in crisi come maschi, non reggono. Questo è il film più antimaschilista e bergmaniano della regista, per il modo in cui analizza il rapporto tra malattia mentale e normalità.

Rosa L. (1986), è il film sulla vita, le lotte, le conquiste e l'intimo della rivoluzionaria spartachista Rosa Luxemburg che per realizzarlo la regista ha voluto leggere  anche  moltissime delle lettere private della teorica socialista. Dopo vari film e una pausa nel 2003 von Trotta dirige  Rosenstrasse, un nuovo ritratto di donne fiere, solidali e coraggiose. Si rievoca un episodio della Seconda guerra mondiale in cui furono protagoniste le mogli ariane di ebrei tedeschi.

Nel 2009 abbiamo Vision, una serie di miniature medievali dedicate alla prima suora illuminata e anticonformista della storia. Nel 2012 giunge nelle sale  Hannah Arendt, intellettuale e filosofa, autrice del libro, "La banalità del male: Eichman a Gerusalemme", basato sulla controversa teoria per cui l'assenza di radici e memoria e, la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali, trasformano esseri banali in agenti del male.

Avremmo la fortuna di poter veder  sabato a Venezia al cinema Rossini alle 20.00, l’anteprima del suo ultimo film Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert, dedicato a questa figura di giornalista, scrittrice, poetessa e femminista ante litteram. Il racconto riguarda la poetessa e il suo amore per Max Frisch, noto scrittore e architetto svizzero-tedesco, ma anche il dolore fortissimo provato dalla donna quando si lasciarono.

Patrizia Lazzarin, 11 aprile 2024

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