Tessere è umano

  • Pubblicato in Cultura

Isabella Ducrot. .. e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà. Una doppia mostra sui linguaggi e le culture della tessitura, tra le opere di una grande artista contemporanea e le collezioni storiche del Museo delle Civiltà è in programma al Museo delle Civiltà di Roma dal 1 agosto 2024 al 16 febbraio 2025. L’inaugurazione  è prevista il 31 luglio 2024 dalle  ore 19.00 alle 22.00.

La mostra racconta i linguaggi e le culture della tessitura in un dialogo fra una selezione di opere tessili dalle collezioni storiche del museo – alcune raramente o mai esposte prima –  e le opere dell’artista Isabella Ducrot (Napoli, 1931), che nel tessuto ritrova la sua ispirazione ed essenza umanista. L’artista è stata invitata dal Museo delle Civiltà a esplorare, insieme alle curatrici e ai curatori dell’istituzione, il patrimonio di abiti, accessori, stoffe cerimoniali o di uso quotidiano che sono custoditi nelle vetrine e nei depositi.

Dall’archeologia preistorica alle arti e alle  tradizioni popolari italiane e ai sistemi di pensiero, simbologie, narrazioni e rituali di culture africane, americane, asiatiche e oceaniane, le collezioni tessili sono tra le più affascinanti e al contempo fragili del Museo delle Civiltà, e per questo sono anche le più raramente esponibili.

Lo sguardo dell’artista, che da decenni si confronta con le culture tessili di tutto il mondo, è stato per il museo un’occasione di farsi osservare dall’esterno e scoprire innumerevoli punti di connessione tra il patrimonio che custodisce e la pratica di un’artista per cui il tessuto non è solo un materiale quotidiano, ma un millenario strumento di espressione e comunicazione fra le epoche, i territori, le culture.

 La mostra è contestualizzata da un’articolata e ampia selezione – a cura di Francesca Manuela Anzelmo, Paolo Boccuccia, Gaia Delpino, Maria Luisa Giorgi, Laura Giuliano, Vito Lattanzi, Gabriella Manna, Loretta Paderni e Massimiliano Alessandro Polichetti – di indumenti e manufatti, o anche solo semplici lembi di stoffa che testimoniano come un tessuto sia, ancor prima di un elemento funzionale o decorativo, una rigorosa struttura fisica che si manifesta come una vera e propria forma di linguaggio, a cui gli esseri umani hanno affidato il racconto–religioso e civile, individuale e collettivo delle loro culture.

I tessuti in mostra, provenienti da tutte le collezioni del Museo delle Civiltà, raccontano non soltanto la progressiva formazione della sua collezione enciclopedica, ma documentano anche i rapporti istituzionali intrattenuti dal museo con le diverse culture che ne sono l’oggetto di studio. Questa sezione della mostra si configura, dunque, come il possibile diario di un viaggio nello spazio e nel tempo e un’auto analisi della storia del museo.

Nel percorso di mostra sono esposti alcuni tessuti estremamente frammentari dalle Collezioni Preistoriche risalenti all’Età del Bronzo e provenienti dagli scavi ottocenteschi del lago di Bienne in Svizzera, insieme a tessuti realizzati in Etiopia e Congo alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo dalle Collezioni di Arti e Culture Africane, stoffe delle Collezioni di Arti e Culture Americane, dall’epoca precolombiana al XX secolo, e esempi di tapa polinesiane, particolare tipo di tessuto realizzato con strisce di corteccia d’albero, dalle Collezioni di Arti e Culture Oceaniane, che documentano nel loro insieme materiali, stili e tecniche elaborati nel corso dei millenni dai popoli nativi per rispondere a esigenze sociali, economiche, spirituali.

Particolarmente rappresentate in mostra le opere tessili dalle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche, dai manufatti himalayani a un sontuoso tessuto cinese in raso di seta con decorazione di draghi databile alla dinastia Qing e, infine, abiti da lavoro e festivi e indumenti di uso quotidiano provenienti dalle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari, per la maggior parte realizzati tra la fine del  XIX e il XX secolo e mostrati perla prima volta nell’Esposizione Internazionale tenuta sia Roma nel 1911.

Per Isabella Ducrot il tessuto è un palinsesto in cui si deposita la storia umana con le sue innumerevoli storie personali, la traccia materiale di culture immateriali, un viaggiatore solo “apparentemente muto” da una cultura a un’altra, un tramite in cui si rinuncia all’unicità per far prevalere l’intelligenza e la sensibilità delle comunità di appartenenza, per creare un contatto con gli altri e sperare in quello con il divino. Come gli esploratori e le esploratrici che hanno creato le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, anche Ducrot è stata per molti anni in viaggio, creando una collezione che ha ripiegato accuratamente nei cassetti di un armadio e, soprattutto, una molteplicità di opere in cui il tessuto non è mai supporto ma matrice dell’opera stessa.

I curatori di questa sezione della mostra – Anna Mattirolo e Andrea Viliani con Vittoria Pavesi – hanno reso possibile per la prima volta la condivisione fra le collezioni tessili storiche di un museo pubblico e la ricerca dell’artista, intendendola come celebrazione di un sapere tessile al contempo astratto e concreto, intimo e condiviso. Ciò che in un tessuto affascina l’artista non è la sua decorazione, ma la relazione compositiva fra storia e struttura, il suo essere “manufatto complesso la cui invenzione risale e epoche mitiche della storia umana”, l’essere un documento che dichiara “gusti, regole estetiche, emigrazioni di segni, testimonianze visibili e tattili di una cultura”.

Nel corso dei suoi viaggi e della sua ricerca pluriennale l’artista ha acquisito una forte familiarità con i materiali tessili, individuando in ognuno un dettaglio dal valore simbolico. Un tessuto per lei è, quindi, qualcosa di impalpabile ma a suo modo radicale:“quasi niente, difficile da descrivere per mancanza di aggettivi, niente colori, niente decorazioni, niente ricami, solo affermazione della propria essenza, la semplicità ridotta ai minimi termini eppure grandiosa e commovente, come un inno patriottico”.

 Ducrot ha continuato per anni a collezionare e a lavorare sui tessuti,ricomponendo distinzioni e opposizioni, usandone pezzi per ricomporli in nuove forme e nuove opere, liberando i tessuti che utilizza dagli utilizzi originali per trasformarli in medium artistici. La materia tessile e la tessitura sono diventate nel corso del tempo il centro di un’appassionata dedizione,con interpretazioni e intuizioni rivelatrici di ciò che sta al di là del mero dato materiale.

Accogliendo nella propria storia anche le testimonianze che rivelano tante altre storie,il viaggio e l’auto-analisi di Ducrot diventano quelli del Museo delle Civiltà…tra epoche e geografie, culture e nature, storie di persone e storie di collezioni e di musei… uno sconfinato, ancestrale tessuto connettivo in cui è possibile affermare che, per citare il passaggio di una poesia di Patrizia Cavalli dedicata alle opere tessili di Ducrot, che dà il titolo a questa mostra –“tessere è umano”.

BIOGRAFIA DI ISABELLA DUCROT

Isabella Ducrot (1931) nasce a Napoli ma da molti anni vive e lavora a Roma. In molteplici viaggi, specialmente in Asia, ha sviluppato un particolare interesse per i prodotti tessili di paesi e culture a est dell’Europa: la tradizione del tessuto così differente in Cina, India, Turchia e Asia centrale è diventata oggetto di studio. Si è andata così formando negli anni una collezione di tessuti rari e di interesse storico, e contemporaneamente da qui si è avviato un percorso di ricerca artistica che prevedeva l’uso di materiale tessile per realizzare nuove opere.

 Il tessuto diventa costante punto di partenza, in confini di ambiguità, tra espressione cromatica e violazione della struttura tessile, da cui nascono “strutture tessili parlanti, di miracolosa bellezza e fragilità”. Ne sono un esempio la serie di dodici quadri del 1989 formata da pannelli in cui sono incorporati frammenti di un tessuto andino che risale a mille anni fa.

Successivamente l’attenzione dell’artista si è spostata su un motivo costante nella cultura ottomana, il “cintamani”, a cui ha dedicato circa due anni di lavoro approdato alla composizione di una serie di arazzi con questo motivo decorativo. Nel 1993 presenta alla Biennale di Venezia un grande arazzo, oggi confluito nella collezione del Museo di Gibellina in Sicilia e, sempre degli anni Novanta, è l’uso della carta come base per una serie di grandi disegni e monotipi in bianco e nero.

Nel 2001 realizza una installazione interamente in carta nel Chiostro del Borromini presso la Casa delle Letterature di Roma (Fra dentro e fuori) mentre è del 2004 la pavimentazione in carta e acrilico per la Certosa di S. Lorenzo, Padula (Le opere e i giorni), seguita nel 2015 da una nuova installazione in carta, Effimero, per il Museo Archeologico di Napoli.

 Del 2002 è una serie di arazzi di carta dal titolo Memorie di una terra: ricordi di viaggi in Afganistan esposta all’Archivio di Stato di Milano. Un esemplare di collage di tessuto e carta e pittura è stato esposto e acquistato dalla Galleria Comunale di Roma, mentre un grande pastello su seta è entrato collezione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Nel 2005 realizza due mosaici per la stazione della metropolitana di Napoli di Piazza Vanvitelli. Nel 2008 inaugura Variazioni, mostra personale alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (dove nel 2014 inaugurerà un’altra mostra personale, Bende Sacre) e viene pubblicato il suo testo La matassa primordiale (Edizione Nottetempo).

 Dal 2012 realizza l’opera di prima pagina dell’inserto mensile «Donne Chiesa Mondo» de «L’Osservatore Romano» e, prima artista donna, il 13 marzo 2013 disegna il fregio che saluta in prima pagina l’elezione di Papa Francesco. Nel 2024 sono presentate le mostre personali Profusione a Le Consortium di Digione e Vegetal devotion alla Fondazione Sandra e Giancarlo Bonollo di Thiene. Ducrot ha realizzato anche fondali di palcoscenico per concerti e balletti (Filarmonica di Roma, Balletto del Sud di Lecce, Teatro Palladium). Hanno scritto sul suo lavoro autrici e autori come Ginevra Bompiani, Patrizia Cavalli, Achille Bonito Oliva, Giovanna Bonasegale, Ruggero Guarini, Federica Di Castro, Nadia Tazi, Tommaso Trini, Laura Cherubini, Diane Kelder, Bruno Mantura, Sandra Pinto, Lucetta Scaraffia, Silvia Ronchey, Ritanna Armeni, Raffaele La Capria, Erri De Luca.

Patrizia Lazzarin, 21 luglio 2024

Leggi tutto...

Titizè - A Venetian dream

  • Pubblicato in Cultura

Per rendere vivo un sogno necessitano anche pezzi di realtà.  Brani di vita e voli di farfalle che si muovono disegnando coreografie nell’aria, sassolini come pezzi di mosaico sulla spiaggia e rumori di acque che sussurrano, musica, bellezza, allegria, ironia … La lista  continua aggiungendo sentimenti, umori e sensazioni. Un sogno mescola sorpresa e meraviglia, presenta l’immaginabile e quello che non si è mai visto, combina  e libera la fantasia come in un processo alchemico … 

Titizè – A Venetiam dream, lo spettacolo che debutterà  il 18 luglio al Teatro Goldoni di Venezia per celebrare i suoi quattrocento anni di vita e che è stato presentato oggi in anteprima alla stampa, come indica già il suo nome, è un viaggio onirico. Esso abbraccia più campi dell’Arte. Potremmo definirlo come una fantasia disegnata da acrobati, attori, musicisti e fautori di  performance inattese.  

La  peculiarità dello spettacolo, scelto anche come official show di Venezia si origina proprio dallo studio della specificità di questa città. Nasce anche, come si è premurata di illustrare Maria Bonzanigo che ha curato le musiche, l’orchestrazione e il sound design, con l’ascolto attento della musicalità propria di Venezia. I suoi suoni, ma non solo, come ha spiegato l’autore e direttore Daniele Finzi Pasca,  colgono le atmosfere che si sono susseguite nel tempo in questa terra sospesa sull’acqua: dai suoi palazzi antichi alle voci di tanti popoli stranieri della nostra contemporaneità.

Ci sono poi costumi  reinventati come abbiamo ammirato nei pezzi di anteprima di Titizè e come ci ha anche raccontato la costumista Giovanna Buzzi. Ecco allora un Arlecchino in bianco e nero che ruba i colori a Pulcinella. Questa rappresentazione che andrà in scena fino al 13 ottobre del 2024 crea  meraviglia come quella che ha sbalordito i presenti nel vedere  volare  un’affascinante sirena con una lunga e sinuosissima  coda verde . Essa  riempiva la nostra visione mentre si calava dall’alto come in un’altalena  e nei suoi guizzi  faceva fuggire   i bagnanti rovesciando le  loro sedie e ombrelloni.

Claudia Marcolin, direttrice generale del Teatro Stabile Veneto che comprende il Teatro Goldoni di Venezia, il Teatro Verdi di Padova e quello di Mario del Monaco di Treviso ha sottolineato il valore culturale e sociale di Titizè: Essi è  un’ occasione per trasformare il teatro di prosa in una produzione teatrale dedita a un pubblico nazionale e internazionale di tutte le età, grazie all’uso del linguaggio universale della clowneria, della danza, della musica e del teatro acrobatico. Per merito di  questo progetto il Teatro Goldoni rimarrà aperto tutto l’anno.

Titizè-  A Venetiam Dream è il frutto della sinergia fra la Fondazione del Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale e  la compagnia Finzi Pasca in partnership con la compagnia Gli ipocriti Melina Balsamo.  Le musiche sono state eseguite dall’Orchestra di Padova e del Veneto e dal Coro Città di Piazzola sul Brenta.

 La Compagnia Finzi Pasca ha sede a Lugano  ed è tra le maggiori compagnie indipendenti al mondo. Nel corso della sua storia lunga  quarant’anni  ha creato e prodotto più di 40 spettacoli. I suoi creativi hanno firmato anche tre cerimonie olimpiche, due spettacoli per il Cirque du Soleil e otto opere liriche. Tra i suoi grandi eventi ricordiamo, nel 2017, Montrèal Avudo, spettacolo multimediale che unisce video mapping, luci e fontane d’acqua e che ha avuto 249.000 spettatori in quattro mesi. Finzi Pasca è stata fondata da Antonio Vergamini, Daniele Finzi Pasca, Hugo Gargiulo, Julie Hamelin Finzi e Maria Bonzanigo.

Lo scenografo Hugo Gargiulo alle domande che chiedevano  come sono studiati  i loro spettacoli per gli spazi e il teatro, ha risposto indicando come elemento di ognuno, l’adattabilità.  Le scenografie dello stesso spettacolo si misurano su e per luoghi di differenti dimensioni.

 Abbiamo avuto l’opportunità di osservare  gli interpreti mentre creavano nell’aria  movimenti capaci di svelare sempre nuove forme, come una torre di carte che si costruisce in uno spazio fluttuante. Essi ricordavano  la leggerezza di Venezia sospesa fra terra e cielo. Gli interpreti sono: Gian Mattia Baldan, Andrea Cerrato, Francesco Lanciotti, Luca Morrocchi, Gloria Ninamor, Caterina Pio, Giulia Scamarcia, Rolando Tarquini, Micol Veglia e Leo Zappitelli.

Per assaporarne in anteprima alcune emozioni si citano alcune note di regia. La drammaturgia dei nostri spettacoli usa con parsimonia le parole, ma ci interroga con immagini contraddittorie, allusioni e miraggi ci saranno riflessi nell’acqua, la diafanità delle sfocature quando le nuvole scendono basse  basse, ci sarà il gioco mitico del mascherarsi che rimanda al velarsi per svelarsi e per poi ancora rivelarsi … Ci sarà la notte e la  sua follia, le cialtronate dei buffoni, oggetti che leviteranno, pioggia surreale  … Ci sarà Venezia con il suo splendore, le sue atmosfere, la sua poesia e i misteri che la abitano.

Patrizia Lazzarin, 13 luglio 2024

Leggi tutto...

Alma, bambina e donna di una terra di confine

  • Pubblicato in Cultura

Nel  nostro viaggio siamo capitati in una terra ai confini, dove le culture si incontrano, si perdono e riallacciano i fili, si abbeverano l’una dall’altra. Poi ancora si trasformano, conservando un fascino che assomiglia al canto di una sirena che ti vuole trascinare con se nel fondo degli oceani. Il mare, quasi per ironia circonda quei luoghi. Siamo ora dentro la Storia, quella degli Stati e dei popoli, girovaghiamo nelle menti degli uomini che sognano la libertà e l’indipendenza, fra i giochi di bambini di diverse regioni, di differenti famiglie e abitudini, per sentire palpitare l’anima di Trieste e dei suoi abitanti, i suoi colori e le sue tradizioni colorate delle tinte del vecchio impero austroungarico e del suo desiderio di uno sbocco sul mare. Un luogo dove alita il respiro di un Oriente vicino, di anime slave: croate, slovene, bosniache, serbe … che mutano nel tempo.

Il romanzo dal titolo Alma di Federica Manzon, edito con Feltrinelli e nella lista dei finalisti del premio Campiello 2024, attraversa un tempo lungo, fatto di eventi vicini e lontani che sono a volte entrati nel Mito. Si comincia facendo la conoscenza delle abitudini sovrane di Tito e del suo entourage, in un’isola croata dove abbondano gli hotel di lusso e le belle donne, sulle sponde di un mare dove si decidono le sorti di una nazione e ci si osserva guardinghi, mentre la realtà della grande Jugoslavia si incrina e delle sue spoglie si nutrono i nazionalismi alimentati dagli interessi delle diverse etnie che la abitano.

I protagonisti sono un padre che vive a cavallo fra Occidente ed Oriente, nomade per bisogno e per scelta, lungo tutta la narrazione capace, grazie al racconto di Alma, di mantenere intorno a se, un alone di fascino e di mistero che attrae e interroga il lettore, e fa innamorare la figlia Alma già nei primi anni di vita. Alma che “ pioniera” con il cappellino blu con la stella rossa, fa scorribande nell’isola dei comunisti, accompagnando il padre nelle sue missioni. Il nonno e la nonna di Alma, incredibili per la varietà dei loro interessi, amanti dei libri e in particolare della cultura che appartiene al mondo teresiano.  Curiosi interpreti della realtà in cui vivono, insegnano e fanno scoprire ad Alma la bellezza  e la varietà dell’esistenza. Una nonna che va in canoa, gioca a carte e parla degli scrittori russi con un piglio da melodramma e  un nonno che le legge il giornale al Caffè San Marco e a cui si rivolge piangente e disperata, senza in quel momento punti di appoggio, durante la sua fuga a Belgrado, nella guerra dei Balcani degli anni ’90.

Alma con Vili, il bambino, figlio di amici iugoslavi  del padre che, egli ha portato a vivere con lei e la madre nel Carso, prima che scoppiasse la guerra, ci trascineranno tra le mille avventure di bambini speciali e coraggiosi, sulle spiagge e sulle terrazze di  un mare dove arrischiarsi e fra  edifici di un tempo, ora resti di  archeologia industriale. Alma mostrerà il lato nomade della sua natura, come quella di Vili che cerca, sradicato dalla sua famiglia e dalla sua terra, un’identità che sia quella che gli è propria. Ci caleremo fra le pagine di una Storia che forse abbiamo dimenticato in fretta, mentre un’altra guerra, quella in Ucraina, sempre ad Oriente, bussava alle nostre porte. Ritroveremo nomi di città devastate come Srebrenica, a tutti nota , di altre che lo sono un po’ meno, immagini di donne e uomini torturati, violentati e uccisi senza ragione. Vedremo quasi, attraverso le descrizioni, le foto di quei crimini e leggeremo anche i nomi di chi li ha commessi. Incontreremo tanta gente.

Fra i più curiosi, anche i matti della città triestina, a cui la madre di Alma, seguendo le indicazioni degli psichiatri all’avanguardia dell’epoca, si dedica perché possano, fra le persone normali, ritrovare in parte la loro umanità “contusa”.  Conosceremo il dolore e la sofferenza di chi vive la guerra e che nel libro della scrittrice di origini triestine insegna il valore della vita. Un palpito di essa attraversa l’intero romanzo e ci cala nei sentimenti dei protagonisti. Un viaggio di uomini e donne dove la Memoria  viene da alcuni di essi allontanata in un angolo per vivere più liberamente la vita. Questo fanno i genitori di Alma e in parte la stessa Alma. Diversamente dai suoi  nonni che alla Storia e al passato attingono per radicare le tante storie degli esseri umani e le loro peculiarità. Paesaggi dell’anima e della Natura si susseguono nel libro di Federica  e noi, leggendo, li abbiamo attraversati tifando per il futuro mentre ancora la Drina si riempiva di cadaveri o il mondo sembrava così confuso.

Patrizia Lazzarin, 12 luglio 2024

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .