Protagonisti dell’espressionismo italiano

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Si potranno scoprire a Roma, fino al 2 febbraio 2025, alla Galleria D’Arte Moderna  circa 130 opere che ripercorrono la variegata realtà dell’espressionismo italiano, con particolare riferimento alle personalità e ai gruppi che hanno operato soprattutto a Roma, Milano e Torino.

Una delle stagioni più originali della cultura artistica italiana della prima metà del XX secolo è rappresentata infatti dall’espressionismo degli anni Venti-Quaranta che ha recato alla ricerca artistica un contributo  fondamentale. A questa esperienza estetica e poetica a cavallo fra le due guerre è dedicata la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano, ideata in vista della celebrazione del centenario della stessa Galleria (1925-2025).

Il progetto espositivo “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano” è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano. Essa ha la curatela di Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta. L’organizzazione è di  Zètema Progetto Cultura.

In epoche  differenti gli artisti hanno fatto uso del colore e  della deformazione per esprimere istinti e pulsioni che fuoriuscivano  dalla confort zona del razionale e della forma idealizzata.  

Già nel Romanticismo e poi nel post-impressionismo forma e colore, liberati da compiti “mimetici”, acquistano autonomia  raggiungendo piena maturazione nella stagione dell’espressionismo francese e austro-tedesco, quando il colore, unito alla violazione della forma, dà voce al disagio esistenziale, alla protesta antiaccademica e anche alla lotta politica.

E se da un lato è vero che l’espressionismo italiano può bene essere descritto più che come un movimento unitario come un “arcipelago” di esperienze indipendenti, trasversali e costanti sono invece alcuni tratti poetici e linguistici. Essi sono  la prevalenza della visione soggettiva dell’artista, un senso di inquietudine esistenziale che si traduce nell’alterazione della forma idealizzata, la ricerca del “primitivo” e del “selvaggio” e la netta prevalenza del colore sul disegno, ovvero dell’elemento linguistico impulsivo rispetto a quello razionale della linea.

Espressionismo deriva dal latino exprimĕre, composto da ex e premĕre cioè premere fuori, esternare  la propria personale sensibilità. Ecco perché i ritratti non tendono più verso l’esattezza fotografica,  la città diventa scenario di visioni allucinate e oniriche e gli oggetti delle nature morte si trasformano in  metafore enigmatiche.

Grazie al dialogo con la collezione della Galleria d’Arte Moderna, le opere provenienti da altre collezioni capitoline come Musei di Villa Torlonia e Casa Museo Alberto Moravia, e poi le opere della prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, mai esposta nella Capitale, è possibile comprendere  la variegata realtà dell’espressionismo italiano, con particolare riferimento alle personalità e ai gruppi che hanno avuto come centro d’azione le città di Roma, Torino e Milano.

La Collezione Giuseppe Iannaccone, specializzata nell’arte italiana fra le due guerre, è unica nel panorama italiano e internazionale. Nacque   dalla passione collezionistica di Giuseppe Iannaccone e illustra la stagione dell’espressionismo italiano degli anni Venti-Quaranta, con una predilezione, cioè, per quei gruppi che hanno costruito una proposta artistica “neoromantica” successiva e alternativa alla stagione neo-classica del Novecento sarfattiano e di Valori Plastici.

Il dialogo fra le  collezioni  illumina  conferma come l’arte italiana fra le due guerre abbia intessuto feconde e proficue interazioni con la cultura europea.

Il percorso espositivo inizia naturalmente da Roma, con la Scuola di via Cavour e alcune delle personalità che hanno definito  la “scuola romana” e le sue peculiarità tematiche e tecniche, non ultima quella del tonalismo.

In origine l’incontro fra i giovani Gino Bonichi (Scipione) e Mario Mafai, cui presto si avvicina la lituana Antonietta Raphaël, dà l’avvio a una pittura visionaria e onirica, animata da colori accesi e drammatiche lumeggiature, nutrita dell’ammirazione per Goya, El Greco, Bosch, ma anche per i moderni Kokoschka, Chagall, Derain, Dufyn e il Doganiere Rousseau. Roberto Longhi, recensendo la mostra del gruppo su «L’Italia letteraria» nell’aprile del 1929, individua chiaramente nel sodalizio di via Cavour le derivazioni espressioniste francesi e parla di «misture esplosive», di «virulenza bacillare» e di «sovreccitata temperatura».

Negli anni Trenta si uniscono in una nuova e variegata koinè “neoromantica” altri artisti, tra cui Mazzacurati, Pirandello, De Pisis, Melli, Afro e Mirko Basaldella e Ziveri. Una pittura materica e passionale, sontuosamente “secentesca” e accesa di luci. Bagnanti e prostitute declinano in modo vario il tema del corpo e della carnalità; il ritratto e la natura morta sono occasioni per esplorare gli affetti familiari e il fascino misterioso degli oggetti.

Gli assidui contatti parigini degli artisti romani arricchiscono la gamma linguistica di echi impressionisti e surrealisti e del clima internazionale dell’École de Paris, in un flusso di ricerche armonico e cosmopolita che la guerra inesorabilmente interromperà.

Cronologicamente parallelo alla Scuola romana di Via Cavour, il gruppo dei Sei pittori di Torino (1929-1931) costituisce un altro fondamentale punto di riferimento per l’esplorazione delle poetiche espressioniste, alternative all’ormai esaurito classicismo di Novecento.

Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio e Enrico Paolucci, «una pattuglia giovane di anni e giovane di spirito, agile e libera da ogni legame scolastico e comunque da preconcetti, unita e animata da una esemplare intelligenza comprensiva del momento» scrive Bardi, si riuniscono già alla fine del 1928 attorno ad alcune personalità di spicco della cultura torinese: il pittore Felice Casorati, il collezionista e mecenate Riccardo Gualino e i critici Edoardo Persico e Lionello Venturi, allora docente di Storia dell’arte all’Università di Torino. Attorno ai Sei ruotano altre personalità indipendenti ma affini, come il friulano Luigi Spazzapan e Emilio Sobrero, torinese ma proiettato verso l’ambiente artistico romano.

I Sei rappresentano per Venturi, grande fautore dell’impressionismo francese, considerato la radice della ricerca anticlassica contemporanea, il privilegiato luogo di ricezione e rielaborazione delle ricerche d’oltralpe. La loro cultura artistica è molto variegata: va dall’Ottocento italiano (Fattori, Previati, Segantini, Spadini, Pellizza da Volpedo) – la cui rivalutazione è guidata da Casorati in seno alla Società Antonio Fontanesi, da lui fondata nel 1925 – alla pittura di Carena, Soffici, Modigliani, con ampi riferimenti a Manet, Degas, Cézanne e in generale alla pittura francese “moderna” dall’impressionismo ai fauves. Una pittura neoromantica, incentrata sul colore e gli effetti tonali, sensuale e materica, antiretorica, tendenzialmente di tema quotidiano e di piccolo formato, alternativa al gusto novecentista e pompier.

Nel gennaio del 1929, grazie al convinto sostegno di Venturi e Persico,  i Sei si presentano per la prima volta al pubblico torinese, presso la Sala Guglielmi, elevando «l’insegna di Manet» (la locandina ne riproduceva l’Olympia) ed enfatizzando così il legame esplicito con la cultura francese, del resto storicamente consolidato nella città sabauda.

Alla ricerca pittorica si mescolano le inquietudini politiche: ne sono esempio lo scontro pubblico di Venturi con Fillia e i futuristi e con Ojetti e i sostenitori del novecentismo. La scelta antifascista costerà al grande storico dell’arte la rinuncia alla cattedra universitaria e l’esilio politico.

L’ambiente artistico di Milano negli anni Trenta è caratterizzato da un vivace gruppo di artisti e intellettuali che vivono con disagio il clima di restaurazione culturale progressivamente imposto dal Regime fascista: tra questi il filosofo Antonio Banfi e il critico Edoardo Persico, giunto a Milano dopo l’esperienza torinese. È per primo il gruppo dei “chiaristi”: Del Bon, Spilimbergo, De Rocchi, De Amicis e Lilloni  a intraprendere la via del colore e della pittura en plein air, alternative ai solidi volumi e ai solenni chiaroscuri novecentisti. La fondazione nel gennaio 1938 della rivista «Vita giovanile», in seguito «Corrente. Vita giovanile», da parte del diciottenne Ernesto Treccani, raduna attorno alla testata gli spiriti animati da una forte ispirazione civile e da scelte artistiche anticonformiste.

Il periodico, pubblicato fino al Maggio del 1940, si sviluppa accanto all’attività dell’omonima Bottega e della Galleria della Spiga. Tra le pagine della rivista – che si attesta come uno dei più agguerriti e vivaci fogli d’opposizione e come una poliedrica “enciclopedia” delle ricerche anticlassiche internazionali in ambito artistico, musicale, poetico, filosofico e letterario – passano intellettuali del calibro di Argan, De Grada, Sereni, Comencini, Lattuada, e ancora Montale, Sbarbaro, Quasimodo, Gadda, Anceschi, Saba, Vittorini, Pratolini e Rebora.

Accanto ai letterati ci sono i pittori e gli scultori: Birolli, Sassu, Manzù, Valenti, Migneco, Broggini, Morlotti, Cassinari, Treccani, Guttuso (figura “ponte” fra Milano e Roma) e molti altri che vi transitano in maniera più o meno episodica.

Questi artisti guardano con attenzione alla recente esperienza romana della Scuola di Via Cavour e intessono feconde relazioni con artisti come Pirandello e Levi. La prima mostra si tiene alla Permanente di Milano nel marzo del 1939, la seconda nel dicembre dello stesso anno presso la Galleria Grande.

Il riferimento alla vita non è una trovata lessicale: significa contrapporsi alle atmosfere sospese e rarefatte del movimento Novecento, protagonista assoluto degli anni Venti; significa inoltre, sulla scia del Romanticismo, un forte coinvolgimento intimo e personale, dell’artefice come dell’osservatore; significa infine concentrarsi sull’umanità e i sentimenti primari, le idee e le passioni. Il linguaggio attinge alla forza primigenia del colore, capace di esprimere emozioni ed inquietudini: naturale allora recuperare la lezione dell’espressionismo belga e tedesco e tutta la ricerca dispiegatasi in Francia da Delacroix agli Impressionisti, da Van Gogh ai fauves, o, per restare alla scena lombarda, l’ancor forte eredità della Scapigliatura, del Divisionismo e del Futurismo. Negli anni Quaranta subentrerà un chiaro riferimento al Picasso di Guernica, manifesto internazionale di una pittura di acceso impegno civile.

È interessante notare perciò la molteplicità del segno pittorico: il tratto fiabesco di Badodi, quello visionario di Valenti, il piglio picassiano di Guttuso e Morlotti, la furia neo-boccioniana e gestuale di Vedova e le maschere ensoriane di Tomea e Salvadori. Corrente non ha un solo stile, ma unico è l’imperativo: «parlare alla gente di cose vive».

Patrizia Lazzarin, 11 luglio 2024

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Si torna a teatro. La nuova stagione a Vicenza

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È stata presentata la nuova stagione artistica del Teatro Comunale di Vicenza, alla presenza del Presidente della Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza Luca Trivellato, del Sindaco Giacomo Possamai e dell’Assessore alla cultura e al turismo della città, Ilaria Fantin. Ha  spiegato  nei dettagli la programmazione, il Segretario Generale della Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Pier Giacomo Cirella.

La programmazione 2024-2025  si mostra ricca di linguaggi e contenuti,  con una nuova sezione dedicata ai concerti rock e alla musica elettronica. Sono stati annunciati in anteprima, la nuova edizione di New Conversations Vicenza Jazz dal 15 al 25 maggio e dell’Olimpico Jazz Contest 2024.

Una cartellone multidisciplinare che  presenta oltre 100  spettacoli dei più diversi generi.

Danza, prosa, musica da camera e sinfonica, circo contemporaneo sono le sezioni del cartellone, i generi di spettacolo dal vivo disponibili anche in abbonamento, mentre family show, musical, cabaret, danze della tradizione, gospel, operetta con musica dal vivo, one man show ( spettacoli fuori abbonamento) e naturalmente il cinema al Ridotto completano l’offerta.

I curatori artistici delle varie sezioni che compongono il cartellone sono Loredana Bernardi per la danza e Alessandro Bevilacqua per la danza contemporanea, Annalisa Carrara per la prosa, Piergiorgio Meneghini per la concertistica e la sinfonica, lo staff del Comunale per i progetti formativi #tcvieducational, le residenze artistiche e il circo contemporaneo, Marco Ghiotto per la nuova sezione di musica elettronica e  rock  progressivo e Riccardo Brazzale per il jazz.

 “Il teatro siete voi” sarà anche per quest’anno l’headline della campagna della nuova stagione artistica del Tcvi, la 17a della sua storia.

Essa si aprirà mercoledì 6 novembre  con un classico della commedia all’italiana anni Ottanta “Coppia aperta quasi spalancata”, l’originale  testo di Dario Fo e Franca Rame, per chiudersi dopo quasi sette mesi di intensa programmazione lunedì 26 maggio con il concerto della OTO – Orchestra del Teatro Olimpico e il suo direttore Alexander Lonquich, sul podio e al pianoforte, a presentare due capolavori assoluti del repertorio sinfonico come la Sinfonia n. 6 “Pastorale” di Beethoven e la Sinfonia n. 1 op. 38 “La Primavera” di Schumann, un inno alla natura e un monito alla sua salvaguardia.

I concerti live di musica rock ed elettronica, novità della stagione artistica 2024-2025 presenteranno agli estimatori e al pubblico degli appassionati e non solo, una proposta artistica di qualità, con 4 serate di grandi live, caratterizzate da stili molto diversi che vanno dall’elettronica all’avanguardia, dal rock sperimentale al progressive, per mettere in luce i percorsi che hanno maggiormente influenzato la scena musicale degli ultimi decenni. Si parte con un doppio live, protagonisti gli Autechre, duo inglese composto da Rob Brown e Sean Booth, senza dubbio la band di elettronica contemporanea più importante al mondo e il dj set di Matthew Herbert, eclettico producer che spazia tra la dance, il jazz e l’house.

La stagione di danza del Teatro Comunale conferma la sua vocazione all’eclettismo culturale e  alla contaminazione dei linguaggi coreografici. Questa nuova programmazione intreccia un intenso dialogo al femminile sia con autrici ed interpreti straniere e nazionali, sia per quanto riguarda i temi delle coreografie, oltre a proporre un confronto serrato per celebrare e destrutturare alcune pietre miliari della storia della danza moderna (“La Sagra della Primavera” della britannica di origini indiane Seeta Patel Dance, la “Cenerentola” ecologica en travesti dei Chicos Mambo, il flamenco storicizzato della Compagnia Antonio Gades). Fra gli altri nomi delle protagoniste e degli interpreti per la danza in Sala Maggiore vi sono sono quelli dell’ungherese Eva Duda Dance Company, in prima nazionale con l’originale spettacolo dal sapore circense dedicato alla pittrice Frida Kahlo e Adriano Bolognino che proporrà un appassionato omaggio a Eleonora Duse.

La prosa presenta una pluralità di linguaggi, un alternarsi di toni e stili che vanno dalla commedia brillante (“Coppia aperta quasi spalancata” con Chiara Francini e Alessandro Federico, “Plaza Suite”, interpretata da Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio) a quella più amara (“Fantozzi. Una tragedia”, con Gianni Fantoni), la rivisitazione dei grandi classici, la tragedia shakespeariana con “Otello, “Di precise parole si vive” di Lella Costa e Gabriele Vacis, il teatro di Eduardo De Filippo con “La grande magia” interpretata da Lella Costa e Gabriele Vacis in un’inedita versione; o ancora la magnifica ossessione di Orson Welles con “Moby Dick alla prova”, nella recente edizione del Teatro dell’Elfo, interpretato da Elio De Capitani. Offre spazio anche all’ironia sagace di Veronica Pivetti, protagonista con il musicista Anselmo Luisi de “L’inferiorità mentale della donna”, o allo humour in stile british della commedia interpretata da Giuseppe Pambieri e Paola Quattrini “La signora omicidi”.

Al Ridotto, spazio più adatto a narrazioni intimiste, è prevista ancora una rilettura di ispirazione letteraria, quella del capolavoro romantico di Alexandre Dumas, l’eterna e struggente “Signora delle Camelie” rivisitata da Giovanni Ortoleva, per passare ad un genere agli antipodi, lo spettacolo capostipite dei drag show italiani, il rutilante “Nina’s Radio Night” dei Nina’s Drag Queen e per giungere al teatro civile e di protesta che dà voce alle giovani generazioni, portato in scena da due interessanti artisti come Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri. Per chiudere due intensi monologhi, rigorosamente al femminile, protagoniste due grande interpreti del teatro italiano, amate e apprezzate dal pubblico vicentino, come Viola Graziosi con “Il racconto dell’ancella” tratto dal romanzo di Margaret Atwood e Ivana Monti in “Una vita che sto qui”, la storia toccante di una milanese doc che non vuole lasciare la sua casa e il suo mondo.

La concertistica presenta ancora una volta il suo format consolidato, protagonisti grandi solisti, ensemble blasonati e formazioni cameristiche, per proporre al pubblico un programma musicale che abbraccia capolavori di 40 autori che vanno dall’epoca rinascimentale ai giorni nostri.

Anche la stagione di musica sinfonica conferma la sua programmazione “classica” che alterna la OTO-Orchestra del Teatro Olimpico guidata dal suo direttore principale, il maestro Alexander Lonquich ad altri prestigiosi direttori ospiti come Filippo Lama.  Hossein Pishkar, direttore iraniano che si è perfezionato con Riccardo Muti proporrà un originale repertorio tratto da Schubert, Schumann e Mendelssohn. Salirà nuovamente sul podio al Tcvi Giovanni Sollima, uno dei più acclamati violoncellisti a livello internazionale, per presentare un programma decisamente fuori dagli schemi. Il tradizionale Gran Concerto di San Silvestro sarà diretto dal giovane maestro tedesco, Niklas Benjamin Hoffmann. Ancora un fuori abbonamento, in primavera, con lo speciale concerto dell’Orchestra Frau Musika e del Coro del Friuli Venezia Giulia, diretti dal maestro Andrea Marcon, dedicato a Mozart e Salieri, nel bicentenario della morte del compositore italiano.

Il circo contemporaneo assume un ruolo sempre più significativo nella programmazione del Teatro Comunale di Vicenza, tra i primi teatri italiani ad inserirlo stabilmente in stagione con un abbonamento dedicato. In cartellone ci sono 5 spettacoli per rappresentare le diverse anime e l’evoluzione di quest’arte dalle origini antiche.

L’investimento per la nuova stagione artistica 2024-2025 del Tcvi è di circa 1.300.000 euro  solo riferendosi al costo artistico ed escludendo le spese tecniche per la messa in scena degli spettacoli e dei concerti.

Biglietti e abbonamenti

Il rinnovo abbonamenti è iniziato mercoledì 3 luglio 2024 e prosegue fino a mercoledì 31 luglio. Continua a settembre da martedì 10 a sabato 14 settembre. Mercoledì 3 luglio è cominciata  anche la vendita dei biglietti per gli spettacoli fuori abbonamento, circo, luoghi del contemporaneo danza e concerti rock/elettronica che prosegue fino alle date degli spettacoli.

I nuovi abbonamenti saranno in vendita da mercoledì 18 settembre, fino all’inizio delle stagioni, mentre i biglietti degli spettacoli delle stagioni saranno in vendita da martedì 24 settembre.

Patrizia Lazzarin, 10 luglio 2024

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Now we have seen. Donne e arte negli anni ‘70

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Per 4000 anni siamo state guardate, ora guardiamo noi. La frase è contenuta in un testo fondamentale del femminismo italiano: Manifesto di Rivolta femminile scritto nel 1970 dall’artista Carla Accardi, dalla giornalista Elvira Banotti e dalla critica d’arte Carla Lonzi. Queste potenti parole che mostrano la necessità di una rivoluzione e l’esistenza di un atavico svantaggio femminile evidenziano questo storico passaggio, ponendo l’attenzione sul guardare a meglio  sullo sguardo che da passivo diventa attivo.

La recente pubblicazione Now we have seen, Women and Art in 1970s Italy  si richiama dunque a questo contesto. Il libro a cura di Giorgia Gastaldon ed edito da Silvana Editoriale è interessante perché mette in relazione le richieste dei movimenti femministi negli anni ’70 e la Visual Art.Lo fa adottando un approccio che è principalmente storico e critico  e studia quindi l’emancipazione femminile di quel periodo mettendo in luce le sue relazioni privilegiate con la Visual Art. In quegli anni in Italia si compiono innovative riforme legislative e culturali.

Ricordiamo ad esempio  la legge sul divorzio e quella sull’aborto fino ad arrivare negli anni ’80, all’abolizione del matrimonio riparatore. Le donne furono liberate da limitazioni che condizionavano la loro vita come ad esempio l’obbligo di chiedere al padre o al marito la possibilità di avere un passaporto o il dovere di portare il cognome del marito alterando la loro originaria identità.

il primo capitolo di questo volume è dedicato agli aspetti pubblici ed espositivi delle opere delle artiste. Maria Bremer indaga le mostre per sole donne in relazione al femminismo e alla pratica di riscoprire artiste dimenticate o trascurate. Contestualizza le esposizioni all’interno della storia canonica dell’arte e della storia delle mostre, e riflette anche sull’annosa questione dell’emarginazione che le rassegne  riservate a sole donne rischiano di incoraggiare, e di cui hanno sofferto alcune partecipanti a quelle mostre. Un processo ben noto chiamato ghettizzazione delle minoranze. Per evitare questo la studiosa suggerisce di non analizzare le mostre di donne separatamente dal resto della storia delle esposizioni.

 L’autrice del secondo capitolo, Silvia Bottinelli  considera la “domesticità” nelle arti visive italiane, concentrandosi sulla casa come oggetto di interesse per alcune artiste femministe attive in Italia negli anni ’70. La casa, un luogo che vide grandi cambiamenti tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni ‘70, è al centro del pensiero femminista italiano e di conseguenza delle opere di molte artiste che, in varia misura, condividevano convinzioni simili e sviluppavano una prospettiva femminista.

Nel terzo capitolo Raffaella Perna fa focus sui metodi della rappresentazione femminile usati da un gruppo di fotografe che operano in Italia sempre in quegli anni e li mette in relazione con le categorie di compiti domestici e extradomestici. Le loro foto possono testimoniare la complessità e le contraddizioni esistenziali e lavorative delle donne italiane negli anni ’70.

Il quarto capitolo scritto da Lara Conte si concentra sulla processualità e in particolare sulla sua rilevanza per la costellazione delle esperienze femminili all’interno della scultura italiana tra gli anni Sessanta e Settanta. Essa analizza le diverse prospettive che miravano a modificare il moderno e lineare ordine di sviluppo della storia dell’arte e si interroga sulle categorie dominanti nella ricerca nel Ventesimo secolo, come la relazione tra astrazione e figurazione o le categorie in cui si inseriva lo sviluppo delle avanguardie.  Il contributo rileva così una serie di derive geografiche rispetto alla corrente principale, svelando  condizioni di marginalità. Conte fa emergere il lavoro di varie artiste che cercarono di sovvertire ruoli codificati e codificanti all’interno del mondo dell’arte.

Nella quinta ed ultima parte del libro Giorgia Gastaldon offre una rilettura dell’astrazione di molte artiste visuali che operavano negli anni ’70. Ella ha cercato di identificare una serie di strategie adottate da un gruppo di donne astrattiste che possono venire associate sia per attitudini sia per intenzioni alle idee e le azioni delle femministe italiane di quel tempo. Il volume rappresenta l’esito finale dell’omonimo progetto di ricerca sviluppato presso la Biblioteca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte di Roma, nell’ambito dell’Italian Council 11, intrapreso con il sostegno e il patrocinio della Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero Italiano della Cultura.

Patrizia Lazzarin, 9 luglio 2024

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