Le grandi dimissioni

  • Pubblicato in Cultura

Il tempo di riprenderci la vita è uno degli argomenti principali del recente libro della sociologa Francesca Coin, edito da Einaudi. Il leit motiv e titolo, in caratteri rossi, Le Grandi Dimissioni  che spicca  sulla copertina del  testo, concentra il significato del nuovo rifiuto del lavoro e il desiderio  di uscire dalla gabbia, come quella ben disegnata sul frontespizio che si mostra aperta per accogliere un piccolo volatile.

 La studiosa che fino a settembre 2022 ha lavorato come professoressa associata nel dipartimento di Sociologia dell’Università di Lancaster, nel Regno Unito e che ora insegna nel Centro di competenze lavoro welfare società del dipartimento di Economia aziendale sanità e sociale (Deass) della Supsi, in Svizzera, fa un’analisi approfondita sulle cause di questo rifiuto del lavoro, anche da parte di chi non potrebbe permetterselo. Cifre alla mano, indagini di enti statistici accreditati e soprattutto le interviste alle persone che spiegano da vicino i problemi vissuti,  restituiscono un quadro chiaro della situazione non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo.

L’anomalia italiana, come la definisce la scrittrice, risalta nel contesto internazionale poiché da una parte c’è la difficoltà, in molti settori, di trovare il personale necessario per un’efficiente attività produttiva e, dall’altra ci sono invece cinque milioni di persone disoccupate e scoraggiate. “Le Grandi Dimissioni nate da una crisi esistenziale, e in particolare e soprattutto dopo l’emergenza del Covid 19, mostrano l’esigenza prima latente, e ora palese di trasformare il mondo del Lavoro, le sue modalità organizzative e i suoi obiettivi”.

L’analisi è anche  storica e viene citata la frase “nessuno vuole lavorare più”  che comparve per la prima volta nel 1860. In quella lettera al Richmond Enquirer si sosteneva che l’abolizione della schiavitù avrebbe condotto le nazioni alla bancarotta. Il timore di cosa accadrebbe se tutti smettessimo di lavorare è ritornato periodicamente sulla stampa e proprio di recente su quella italiana, dove ci si chiede come mai in un paese attanagliato dalla disoccupazione manchi il personale negli ospedali e nei ristoranti.

In un excursus lungo il “900 l’indagine si sofferma  soprattutto sugli aspetti economici e mostra i motivi  di coloro che, nei diversi ambiti lavorativi, hanno scelto di rinunciare a un’occupazione,  a volte anche a un bel lavoro. Emerge da subito fra i fattori che motivano la scelta la quantità di lavoro richiesta e spesso il numero delle ore straordinarie non pagate che spesso le persone  devono fare senza poter obiettare,  pena ritorsioni e maltrattamenti.

La concezione del lavoro si è modificata nel tempo e se negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, si desiderava abolire il lavoro e la società in classi, negli anni Ottanta sembrava possibile passare da una classe all’altra e, come dice la studiosa Coin, “servirsi dell’ascensore sociale per comprarsi un’automobile e un frigorifero. I sogni in quella fase erano diventati individuali”. Bastava mettere in gioco il proprio talento. Tutti ce la potevano fare.

Negli ultimi anni lo smantellamento di diverse forme di retribuzione e di vantaggi  ha fatto venire meno  il coinvolgimento del lavoratore come avviene quando un matrimonio fiorisce sulla  fiducia e reciprocità. Il taglio dei costi e condizioni  lavorative di sfruttamento hanno mostrato lo scompenso dei pesi sostenuti da chi dava la sua fatica in cambio ormai di salari spesso non sufficienti per una vita dignitosa, e/o si richiedeva una presenza in azienda che escludeva le possibilità di avere una vita sociale e affettiva normale.

 Il mutamento della concezione del  lavoro è stata evidente e traumatica  in tanti settori dove salari bassi, turni massacranti, mobbing, bullismo e cultura antisindacale ne hanno trasformato la qualità. La fedeltà si è tradotta in repulsione. Negli Stati Uniti quarantotto milioni di persone si sono licenziate nel 2021 e nel 2022 il loro numero è salito a  quasi cinquantun milioni. In Italia le dimissioni sono state quasi due milioni. In Cina è nato il movimento Tang Ping che significa sdraiarsi in risposta alla legge 996 che richiedeva di lavorare dalle ore nove alle ventuno per sei giorni alla settimana, così in India dove viene messa in discussione l’etica del lavoro e dove l’agenzia di reclutamento personale di Michael Page segnalava a giugno 2022, che l’ottantasei per cento dei lavoratori di tutti i settori, età e livello, prevedeva di dimettersi nei successivi sei mesi.

 In Italia la sanità, la ristorazione e la grande distribuzione appaiono gravati da disuguaglianze e ingiustizie rilevanti, dovute anche a cattiva organizzazione. In particolare, Francesca Coin attraverso interviste a medici ed infermieri ha evidenziato la carenza di personale esistente negli ospedali che ha mostrato tutta la sua criticità durante la pandemia, quando sono mancati anche i posti letto  e il materiale medico necessario alle cure. Scegliere chi salvare, in alcuni casi è stato, un obbligo che andava contro i principi etici e della Costituzione, come si legge nell’articolo 32 della stessa. Il problema della carenza di personale sanitario  non sembra in via di risoluzione e  si aggrava con le ulteriori dimissioni di molti medici  per l’impossibilità di sostenere carichi di lavoro assai gravosi, le poche ferie e turni che si succedono uno sull’altro senza tregua.

Gli ospedali trasformati in aziende sembrano mostrare  evidenti segnali di crisi dove il ricorso ai medici a gettone aumenta il costo sostenuto dalle aziende ospedaliere in maniera esorbitante. E in Italia ci sono anche due milioni di persone senza medico di base …

 L’analisi di Francesca Coin è sicuramente approfondita e in grado di mostrare la necessità di una nuova umanità nel pensare al lavoro, alle persone e alla salvezza del pianeta il cui rischio di eccessivo sfruttamento nella rincorsa alla produttività è oramai un dato certo.

Patrizia Lazzarin, 14 agosto 2023

Leggi tutto...

L'eredità della pittura di macchia

  • Pubblicato in Cultura

La mostra si sofferma su un particolare momento della storia dell'arte italiana dell'Ottocento: la più tarda fase evolutiva della pittura di macchia, quando, negli ultimi decenni del secolo, l'eredità dei vecchi maestri si trasforma e trova una nuova identità nelle ricerche di alcuni giovani pittori, cresciuti nell’ammirazione degli epigoni, ma desiderosi di modificarne  le istanze e i modi.

La pittura macchiaiola che aveva vissuto una breve e intensa stagione compresa  nel ventennio che va dal 1855 al 1875, osservava il vero  per darne un’interpretazione che utilizzava la macchia come contrasto per realizzare gli effetti di luce. Questo modo di dipingere che si avvaleva dell’ausilio del chiaroscuro aveva le sue lontanissime origini nel Quattrocento e si traduceva nella definizione di soggetti e cose ritratti con il piacere della sintesi.

In quegli anni  la città di Livorno aveva assunto un ruolo di primo piano nella scena culturale toscana. Meta di viaggi,  ma anche sede di un importante porto, la città viveva un momento molto florido economicamente e soprattutto vivace  per le arti visive, la letteratura, la musica e il teatro.

Nelle ricerche pittoriche dei giovani artisti  residenti in città è ancora   chiara l'eco della lezione dei Macchiaioli.

Giovanni Fattori,  che nato a Livorno spesso ritornava in città,  Silvestro Lega che si recava a dipingere nel paese toscano di  Gabbro e Telemaco Signorini rimangono per questi pittori un riferimento per i loro valori e non solo per la loro arte.

Il realismo tuttavia si trasforma in loro per la necessità  di un maggior coinvolgimento emotivo che in parte i loro predecessori avevano già sperimentato.

Pur con questa profonda ammirazione nei confronti dei maestri, le nuove generazioni sentono dunque l'esigenza di superare le istanze della macchia per raggiungere quella che Llewelyn Lloyd  ha definito  "la vera emozione sentita".

Le ragioni più profonde della rivoluzione nata alla metà del secolo tra i tavoli del Caffè Michelangelo già vent'anni dopo stavano così cambiando in parte “identità”.

Nello studio di Guglielmo Micheli, tra Borgo San Jacopo e Borgo Cappuccini, nel quartiere vicino a Piazza Mazzini, si riuniscono alcuni artisti, tra i quali Llewelyn Lloyd, Gino Romiti, Renato Natali, Antonio Antony de Witt, Giulio Cesare Vinzio, Benvenuto Benvenuti, Oscar Ghiglia e Amedeo Modigliani che già si distingueva nella sua espressione figurativa.

Essi appartenevano quasi tutti  alla   media   ed   alta   borghesia   cittadina e cercavano in Micheli nuovi stimoli per le loro ricerche. Nello studio – ricavato dalla serra di casa – Micheli trasmette loro la lezione di Giovanni Fattori, lasciandoli per il resto liberi di seguire le proprie attitudini.

Guglielmo Micheli sa comunicare loro il metodo di visione e ricostruzione dello spazio per sintesi e il valore della struttura architettonica nella composizione pittorica propri dell'opera di Fattori. Suggerisce  loro però di reinterpretare liberamente la Macchia, anche alla luce di alcune nuove correnti della  pittura europea.

In quegli anni a Livorno crescono alcune delle principali personalità della scena artistica degli anni successivi. Ci sono artisti, quali Mario Puccini, Giovanni Bartolena e Renato Natali che hanno incarnato l'anima di questa città nella loro pittura, radicandovisi anche dal punto di vista della loro ricerca. Livorno e i suoi dintorni vive nelle loro tele e condiziona le loro scelte personali.

Le opere esposte in mostra – firmate da alcuni dei principali maestri livornesi dell'epoca e provenienti da collezioni private di diverse aree della penisola – raccontano questo cambiamento radicale: il passaggio dalla lezione "del vero dal vero" della pittura di macchia alla modernità espressa nelle sue più varie forme.

Conosceremo  nella visita alla mostra, la tavolozza espressiva ed emozionale di Ulvi Liegi, il rigore cezanniano di Oscar Ghiglia, la tendenza divisionista di Plinio Nomellini  e l'ingenuità quasi ostentata di Giovanni Bartolena.

Nella rassegna ci sono le  opere di Guglielmo Micheli, Ulvi Liegi, LLelwelyn Lloyd, Giovanni Bartolena, Mario Puccini, Plinio Nomellini, Gino Romiti, Renato Natali e Oscar Ghiglia.

 La mostra abbinata a Cortonantiquaria 2023 ha la  curatela  di Simona Bartolena e sarà visitabile dal 19 agosto al 3 settembre.

 Lo Spazio espositivo Sant'Agostino  si trova in  Via Guelfa, 45 a Cortona (AR)

Ingresso con il biglietto di Cortonantiquaria.

 Patrizia Lazzarin, 14 agosto 2023

 

Leggi tutto...

Acqua, hai in pugno tutte le vite

  • Pubblicato in Cultura

Acqua hai in pugno tutte le vite. Una frase densa di significati, pronunciata da una voce formata di terra color ocra mescolata a zucchero, ma anche percepita nella sua qualità miracolosa, grazie ai suoni di una musica che nei suoi  movimenti e ritmi ne restituiva l’essenza. Musica e poesia  hanno cantato ieri sera un’ode all’acqua con Mario Brunello e Mariangela Gualtieri, al Teatro al Castello “Tito Gobbi” di Bassano del Grappa. Le parole cadenzate, come frammenti di versi, della poetessa, nella loro lenta alternanza, hanno saputo affascinare i nostri pensieri. Si coglieva la maestosità della Natura e il senso panico che ci unisce a lei.

L’Acqua è un elemento  che possiede molti nomi. La incontriamo in tutte le cose che ci circondano: nello scrosciare di cascate impetuose, nel fresco ruscello che scende dalle colline, fra la nebbia che avvolge case e prati, come pioggia che scende delicata sui nostri vestiti o grandine che irrompe sulle nostre vite. Mari, Oceani … Differenti parole che indicano una sostanza di cui tutti siamo composti. Emerge il potere creativo del Logos. L’acqua ora acquista le sembianze di una dea che è ovunque. Potremmo pensare ad essa come a un iniziale incontro con il Divino. Forza buona o  … che non mostra pietà nel suo disegno sconosciuto.

Mari, superfici stupende che sentiamo quando ci immergiamo simili nella loro sostanza a quel liquido amniotico in cui tutti abbiamo galleggiato prima di nascere. Ricordi ancestrali. Nel paragone comprendiamo in minima parte la potenza dell’Infinito. Un tempo  dunque senza fine che le gocce d’acqua dell’opera d’arte di Gianandrea Gazzola, sulla scena, nella cadenza ritmica del loro cadere, facevano percepire nel suo trascorrere.

La notte che copriva le voci e la musica degli artisti sul palco aveva creato una nuvola di pace nei nostri cuori. Il musicista trasformava le parole, il mondo raccontato dalla poetessa, in armonia di sentire. Era un tempo lieve, dove abbandonare gli affanni del quotidiano e del contingente per aspirare alla grandezza dell’Universo.

Sulle note del violoncello la voce narrante ci spiegava il probabile arrivo dell’acqua nel nostro pianeta dal cielo. Come era giunta a noi? Una cometa l’aveva portata: un astro proveniente da luoghi non immaginabili dalla mente umana. Quell’acqua che ora beviamo in un bicchiere. Liquido magico che impedisce a noi di accartocciarci come le foglie secche  che spostiamo coi piedi camminando. Mariangela suggerisce di accogliere quello che viene dal mare, forza buona, ma anche capace di muovere la sua superficie con onde giganti che travolgono velieri alti come palazzi e gettarli nel fondo fra pesci ignari che continuano, nell’immensità profonda, il loro percorso vitale.

Accogliere quelle persone che il mare ci porta.  E la mente subito corre a quei gommoni pieni di persone in balia dell’acqua che a volte sembra arrabbiata. Ci impedirà essa di trasformare la nostra sostanza in pietra dura, non più in grado di sentire, di “riconoscere” persone e cose?

Lo spettacolo ha avuto un’accoglienza molto gradita da parte del pubblico che con i suoi applausi ha invitato ripetutamente a tornare sul parco Mariangela Gualtieri e Mario Brunello. Mariangela ha voluto allora ricordare la scomparsa di Michela Murgia immaginandola nel momento in cui  trapassa il nero e il buio per giungere nell’azzurro, in un’altra vita possibile.

E poi le sue  parole sono diventate un  ringraziamento alla Bellezza della Creazione. Tante stille, gocce di meraviglia che per ragioni di spazio si vogliono condensare  solamente in una breve frase. Grazie al colore che la rosa ci regala e non sa di farlo. Colori e profumi, assieme a un’innocente consapevolezza ci hanno restituito lo stupore di un bambino che si affaccia alla vita.

Questo spettacolo, inserito nel cartellone di Opera Estate, racconta il  sodalizio fra Mario Brunello e Mariangela Gualtieri, violoncello e voce poetica, capaci di mettersi  in dialogo con una speciale attenzione al tema dell’acqua, sentita e cantata come preziosa viva sostanza, intelligente e una, malgrado i suoi molti nomi.

In scena con loro, a scandire il tempo goccia a goccia, ‘’quasi-zero’’, l’installazione di Gianandrea Gazzola. La partitura musicale di Acqua Rotta spetta al violoncello di Mario Brunello che qui unisce le perfette architetture sonore di Bach, alla musica contemporanea di Sofia Gubajdulina, Peter Joshua Sculthorpe e del giovane Lamberto Curtoni. Il testo è composto in gran parte da versi inediti, scritti per questa occasione da Mariangela Gualtieri.

«Da lungo tempo con Mariangela avevamo in mente questa collaborazione tra parola e suono sul tema dell’acqua – racconta Mario Brunello – Abbiamo iniziato le prove con la siccità dello scorso fine inverno e ultimate, come un segnale chiaro della natura, con l’alluvione che Mariangela ha vissuto proprio nella sua terra, a Cesena. L’acqua comanda, l’acqua segna il tempo della vita, che ci sia o che non ci sia va presa sul serio. Come la musica, come la poesia. Per questo abbiamo voluto la presenza in scena anche dell’acqua, gocce che daranno il tempo al nostro dire, al nostro suonare e all’ascolto».

Patrizia Lazzarin, 12 agosto 2023

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .