Di là dal fiume e tra gli alberi nella città di Vicenza

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Il luogo potrebbe essere un acquerello dove le acque si confondono nel cielo, e gli alberi dagli alti fusti chiari che svettano sul ciglio del canale fra l’erba verde e morbida, agitano in modo lieve le foglie,  grazie ad  un alito di vento che riproduce il respiro della natura intorno.

C’è un tempo per vivere e un altro per morire. Vita, amore, bellezza sono lontani dal pensiero della morte,  tuttavia sono in parte vicini  e  a volte sembrano sfiorarsi e n quel momento nell’animo si percepiscono  intense la nostalgia e la malinconia di ciò che è stato …

Nella prima serata della domenica appena trascorsa un reading dei bravi attori Giorgio Lupano, Lella Costa e Sebastiano Somma ha saputo far rivivere il romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi dello scrittore americano Ernest Hemingway, all’interno dei suggestivi luoghi della Basilica Palladiana, del Teatro Olimpico e poi fuori nel suo giardino.

L'opera è compresa nel 76° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza, "Stella Meravigliosa" che ha la direzione artistica di Giancarlo Marinelli.

La notte e le luci dell’animazione nelle piazze sono state un accompagnamento lontano e al tempo stesso vicino del dramma di  un militare innamorato dell’arte e di una giovane donna di vent’anni. Lui che ha  poco più di cinquant’anni sa di non aver molto da vivere.  Ha combattuto due guerre: la prima e la seconda guerra mondiale. Come colonnello americano ha vinto, ma nelle sue parole, quando ricorda il russo o il tedesco non c’è odio.

La sua amata, la sua dolcissima Renata è una nobildonna veneziana  che è a sua volta pazzamente innamorata di lui. Essa gli mostra  una grande dedizione dove i confini  fra l’essere figlia e amante sembrano perdere i loro contorni.  Una Venezia sempre bellissima grazie anche al fascino dei suoi palazzi, come l’Hotel Gritti e l’Harry’s Bar, fa da sfondo al sentimento di un uomo che si interroga sul significato della vita e sulla morte che sente accanto. 

L’attrice Lella Costa ha saputo restituirci la poesia e la tenerezza dei due amanti e la trepidazione e l’attesa dell’incontro dentro una città che conserva essa stessa, nel suo galleggiare, un tremolio. Ci ha “spiegato”  l’amore nella sua fragilità e la delicatezza nel suo sfuggire quasi nel vento. Il caso, il destino ha voluto altro …  Quell’uomo che ha acquisito molta esperienza di vita, ha anche perduto … Le ferite riportate gli si leggono chiaramente nella mano che non possiede più  la sensibilità di un tempo  e che invece  la giovane nobildonna tiene in grande considerazione. Molto più ricca di lui, vorrebbe donargli nell’addio, come pegno d’amore, anche le pietre preziose di famiglia.

La separazione ineluttabile fra i due è dolorosa. La ragazza vorrebbe sempre ritardarla. Richard, il colonnello statunitense ha perso molti amici in guerra, ha visto morire, ha dovuto uccidere. Ora sul letto prima di partire e lungo il  il suo viaggio di ritorno, il pathos  dell’uomo giunto all’estremo saluto ha trovato  nelle parole dell’attore Sebastiano Somma, un canale dove scorrere fluente, avvolgente e doloroso.  

Un respiro che diventa ansimante nella consapevolezza della fine. Cos’è la vita. Eros e thanatos, amore e morte nell’intensità paralizzante che li contraddistinguono sembrano condensarsi nella vita di un essere umano rivelandone le sue qualità. Dentro il buio del giardino antico del Teatro Olimpico le parole di Somma scendevano giù dal terrazzo  del palazzo da cui ci guardava.  Erano pezzi di vita, soffi di un  respiro.  Abbiamo assistito al dramma di un’esistenza che cade come foglia in un autunno giunto prima del tempo concordato.

Allora quel fiume e quegli alberi che ci hanno fatto anche innamorare, mentre li immaginavano all’inizio del racconto, visti dal colonnello,  diventano il capolinea di una vita. Lì  regna la pace, dopo tanto sangue, ferro, denaro e forse “sporcizia” che tocca la vita degli uomini, quegli uomini di metà Novecento e … Il militare si domanda cos’è la vita e lo fa fin dal suo apparire, cosi come l’abbiamo “sentito” attraverso la voce dell’attore Giorgio Lupano che sul terrazzo della Basilica Palladiana ci ha trascinati dentro la narrazione. Fossalta di Piave, Monfalcone, il Piave, il Tagliamento sono anche luoghi della memoria, di quella individuale e di quella collettiva. Ci riportano echi del passato, storie di uomini che hanno combattuto e ora…

quella narrazione spetta a noi …

Con questo romanzo Ernest Hemingway ci ha consegnato il suo  testamento etico.  

Patrizia Lazzarin, 26 settembre 2023

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Microstoria e storia globale

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Microstoria e storia globale sono due modi di operare per analizzare gli eventi  trascorsi. Quanto e in quale modo, essi si possono combinare per aiutarci a definire il nostro “background”?  Parliamo di  quella storia che si perde nei secoli e nei millenni e di cui vorremmo sapere con maggior certezza lo svolgersi, il perché, il come, il quando e il dove che spiegano un po’ più di noi. Una mappa o forse un grande albero della vita dove incasellare relazioni e vicende.

Quali sono dunque le informazioni che vengono scelte  nella micro e macrostoria?

Come spiega benissimo Francesca Trivellato, l’autrice del libro Microstoria e storia globale, edito da Officina Libraria,  la microstoria si fonda su un uso intensivo delle fonti, specialmente atti processuali, autobiografie, documenti notarili, mentre la macrostoria attinge abbondantemente, anche se non esclusivamente,  a studi già pubblicati.

Fra le differenze che le distinguono c’è anche la misura del tempo considerato: maggiore nella macrostoria che valuta secoli e millenni, mentre la microstoria adotta  un atteggiamento sincronico.

Negli studi dei microstorici italiani, in particolare,  i protagonisti delle indagini sono spesso uomini bianchi europei, in genere di condizione sociale modesta e provenienti dal mondo rurale, mentre le macrostorie   mettono più facilmente l’Europa in una prospettiva di comparazione.

Oggi i contributi definiti di storia globale scelgono  la scala macro,  soprattutto se si valutano il numero e la varietà di approcci e sottocampi di indagine. A questo proposito l’autrice si trova d’accordo con lo storico Donald A. Yerxa.  

Come  allora mettere in relazione macro e micro e  può essere la microstoria un’alternativa o un complemento?

La scrittrice ripercorre  le vicende dei microstorici in Italia e ne evidenzia il rifiuto dell’idealismo in filosofia, della pomposità retorica e del dualismo ideologico in politica. I principali strumenti di diffusione scientifica del loro pensiero sono stati i Quaderni Storici pubblicati dalla metà degli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta e, Microstorie nel decennio 1981-1991. Ci spiega anche le ragioni  per cui essi si sono mostrati indifferenti ai temi globali e  mette a confronto i punti d’incontro, in passato, fra i differenti modi di operare, con lo scopo  di suggerire incroci da cui si potrebbero ottenere buoni risultati.

Nella microstoria, soprattutto nel mondo anglosassone, si valutano le storie individuali.

Gli storici di questa area geografica  specialmente del Nord America, dove gli universitari godono di uno status sociale meno importante rispetto all’Italia, scelgono uno stile narrativo per avvicinarsi al gusto del grande pubblico.

Cosa è cambiato nel modo di considerare la Storia rispetto al passato?

I ricercatori statunitensi Armitage e Guldi, citati dalla studiosa, hanno criticato il modo di fare storia nel quarantennio 1968-2008. Gli economisti in questa lunga stagione temporale hanno sostituito gli storici come consulenti delle istituzioni e, quest’ultimi si sono isolati in una torre d’avorio giudicandole corrotte.

Auspicano che gli storici tornino ad occuparsi di secoli e millenni per recuperare l’attenzione del pubblico e delle istituzioni e si eviti così anche  la marginalizzazione degli accademici specializzati in ambito storico. Nelle argomentazioni dei due studiosi  si evidenziano temi legati al concetto importante di longue durèe del famoso studioso Fernand Braudel. A questo punto la studiosa  si interroga però, se per loro è solo una panacea per affrontare l’era della frattura?  

Possiamo immaginare in alternativa dei nuovi storici statistici provetti? Proposte, suggerimenti, provocazioni?

Oggi per l’autrice il pluralismo metodologico continua a suscitare risposte efficaci di fronte all’egemonia crescente delle scienze naturali e di quelle sociali, ma al tempo stesso indebolisce lo statuto epistemologico dei metodi storici tradizionali e perciò erode il prestigio  degli storici nella sfera pubblica e nei circoli dei decisori politici.

A dimostrazione delle sue teorie, Francesca Trivellato apre poi finestre meno conosciute sugli studi recenti di ricercatori e soprattutto studiose  che si sono occupate di Rinascimento italiano e del Mediterraneo musulmano. Fra questi ricordo la statunitense Deborah Howard e i britannici Lisa Jardine  e Jerry Brotton. In queste analisi di microstoria emergono differenti  e ulteriori influenze islamiche e vengono rivalutati in una nuova ottica anche alcuni recuperi del mondo classico, ad esempio nell’architettura del periodo rinascimentale.

Nel libro si analizzano poi le relazioni tra capitale, azienda e legami familiari nelle comunità sefardite e armene nel Mediterraneo nei secoli XVII e XVIII, sottoponendole a confronto per mostrare i vantaggi di uno studio comparato, come alternativa all’analisi di singole diaspore.  

Temi che diventano interessanti anche nella discussione di questioni cruciali su come e quando tramonta nel Medioevo e Rinascimento, l’impresa familiare per dare avvio nuove forme contrattuali. L’interesse dell’autrice è rivolto ad  evidenziare  come i legami parentali e alcune pratiche ereditarie hanno influenzato il modo di operare delle famiglie sefardite ed armene disperse in Europa e più generalmente intorno al Mediterraneo.

Si può parlare di economia morale nell’età moderna?

Le risposte le troviamo nelle ultime pagine del testo di questa studiosa che è professoressa di Storia dell’Europa Moderna presso l’Institute for Advanced Study di Princeton. L’autrice ha scritto vari libri tra cui possiamo citare: Ebrei e capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata, pubblicato nel 2021 e  Il commercio interculturale. La diaspora sefardita. Livorno e i traffici globali in età moderna, edito nel 2016.

Patrizia Lazzarin, 24 settembre 2023

 

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Quali alberi sopravvivono agli incendi?

“Gli incendi boschivi che specialmente in estate devastano vaste porzioni di territorio sono, in realtà, fenomeni che hanno giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione delle piante, in oltre 400 milioni di anni”, spiega Mara Baudena, ricercatrice del Cnr-Isac e autrice senior dello studio considerato.

“Alcune piante hanno sviluppato particolari adattamenti che permettono loro di sussistere in ambienti incendiabili e di approfittare degli incendi per proliferare. Per esempio, i lecci mediterranei e come loro anche molte altre specie di alberi, possono ricrescere dalle loro radici dopo la combustione totale del fusto. Le pigne di alcuni pini si aprono soltanto dopo un incendio, stimolate dalla combustione.

 Tutte queste caratteristiche che una pianta può o meno possedere, regolano la sua risposta agli incendi. In passato diversi tipi di esito hanno permesso alle piante di sopravvivere al fuoco, ma le regole del gioco stanno cambiando per via del cambiamento climatico”.

Possiamo determinare la resilienza agli incendi di diversi tipi di ecosistemi a partire dalle caratteristiche delle piante che li compongono? Quale ruolo giocano gli adattamenti che le piante hanno sviluppato? A questi interrogativi ha risposto, in una ricerca pubblicata su The American Naturalist, un gruppo internazionale composto da ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Istituto di geoscienze e georisorse di Pisa,  dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Torino (Cnr-Isac) e delle Università di Reading nel Regno Unito e Uned di Madrid.

I ricercatori partono dall’analisi di un fattore fondamentale per determinare la resilienza agli incendi di boschi, foreste e praterie: la capacità delle piante di ricrescere dopo un incendio.

Nello studio è stato sviluppato un modello matematico che ha permesso di riprodurre le interazioni fondamentali tra piante ed incendi in diverse aree del mondo:Le simulazioni fatte con questo modello hanno mostrato che la resilienza delle foreste boreali, mediterranee e tropicali dipende dalla capacità delle piante dominanti di rispondere agli incendi.

 Se queste possiedono scarse capacità di risposta all’incendio, come nel caso delle foreste pluviali, anche un solo incendio potrebbe essere sufficiente per prevenire la ricrescita di questi alberi, portando ad un cambiamento radicale dell’ecosistema. Viceversa, quando la risposta agli incendi della pianta dominante è forte, come nelle nostre leccete mediterranee, le foreste sono molto resilienti: una caratteristica, questa, oggi messa a dura prova dagli stravolgimenti climatici, che rendono la capacità di risposta meno efficiente”, continua Marta Magnani ricercatrice del Cnr-Igg e prima autrice dello studio.

La ricerca ha implicazioni pratiche per quanto attiene alla gestione delle foreste. Secondo gli autori, infatti, tenere conto della capacità di risposta agli incendi degli alberi diventa particolarmente strategico per scegliere le specie più adatte ai rimboschimenti: l’albero “giusto” può garantire la ripresa dell’ecosistema anche in relazione ai sempre più frequenti incendi del nostro Paese.

Lo studio, inoltre, indaga anche le relazioni tra incendi e biodiversità osservando che, in alcuni ecosistemi come le savane africane, gli incendi possono addirittura avere ricadute positive sulla biodiversità, perché favoriscono il ricambio e la diversificazione della vegetazione.

Patrizia Lazzarin, 21 settembre 2023

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