“Hilde in Italia”

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HILDE LOTZ-BAUER ha fotografato l’Italia negli anni Trenta”. Per la prima volta esposte insieme, le stampe create dal suo sapiente occhio compongono l’esposizione fotografica che sarà ospitata al Museo di Roma in Trastevere dal 17 gennaio al 5 maggio 2024 con il titolo “Hilde in Italia. Arte e vita nelle fotografie di Hilde Lotz-Bauer”.

La fotografa percorse quasi tutta l’Italia, da nord a sud, muovendosi tra la gente con la sua piccola Leica portatile, catturando la vita delle città così come delle zone rurali più isolate.

Molto del suo lavoro artistico oggi conosciuto si sofferma su occasioni quotidiane e festive, soprattutto in Abruzzo. Le donne ritratte nella serie su Scanno, immortalate nei loro costumi realizzati a mano, appaiono come opere d'arte viventi. Hilde curava con attenzione la composizione estetica e i dettagli trasformando i reportage in un'opera ricca di spunti personali e dal valore documentario,  anche a livello critico e sociale.

Alla fine degli anni Settanta, le fotografie di Hilde furono presentate per la prima volta in mostre a Firenze, Bonn e a Londra, con buon successo da parte della critica. Nel 1993 collaborò con il fotografo Franz Schlechter che restaurò e stampò 80 immagini scattate con la Leica raffiguranti persone, paesaggi e città italiane per una personale al Museo Reiss di Mannheim.

In occasione di questa esposizione si presenterà l’opera complessiva realizzata nel decennio 1934-1943 mettendo in luce e in dialogo, per la prima volta, i due maggiori aspetti della sua produzione: le commissioni per gli storici dell'arte e la fotografia di reportage, lo sguardo di storica dell’arte e quello di fotografa.

Hilde Bauer (1907-1999), sposata prima Degenhart e poi Lotz, sviluppò un personale ed originale sguardo artistico durante il suo primo soggiorno in Italia tra il 1934 e il 1943. Come mise piede sulla penisola se ne innamorò perdutamente. Roma, in particolare, fu un luogo straordinario per Hilde, vissuto e sentito fino alla fine come la sua vera casa. La  città presso il Cimitero Acattolico ne conserva oggi le memorie.

Formatasi come fotografa alla scuola di Monaco dopo aver già conseguito un Dottorato in Storia dell'Arte, arrivò a Roma alla fine del 1934 grazie ad una borsa di studio presso la Bibliotheca Hertziana lasciando la sua terra natale proprio mentre il nazionalsocialismo prendeva il potere.

La sua carriera ebbe inizio fotografando disegni per il suo primo marito Bernhard Degenhart, celebre studioso di disegno italiano. Successivamente con la sua fotografia accompagnò le ricerche di numerosi storici dell’arte. In mostra saranno esposte immagini del progetto sui Castelli di Federico II nell'Italia meridionale diretto dallo storico dell’arte Leo Bruhns insieme a una selezione delle fotografie per il progetto sull'urbanistica fiorentina voluto dal direttore dell’istituto fiorentino Friedrich Kriegbaum. Hilde fu l'unica fotografa professionista operante presso gli Istituti Storici di Roma e di Firenze e creò immagini impeccabili di scultura, disegno, architettura e urbanistica.

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’organizzazione è stata seguita  dall’ Archivio Hilde Lotz-Bauer e la  curatela da Federica Kappler e Corinna Lotz, figlia di Hilde Lotz-Bauer. La mostra viene realizzata in collaborazione con OFFICINE FOTOGRAFICHE ROMA e Goethe-Institut e ha  il sostegno dell’Ambasciata delle Repubblica Federale di Germania.

Sono circa un centinaio le fotografie che giungono in mostra dall'archivio Hilde Lotz-Bauer a Londra, dai due Istituti Max Planck per la Storia dell’arte: la Bibliotheca Hertziana di Roma e il Kunsthistorisches Institut a Firenze, e dalla collezione del fotografo Franz Schlechter a Heidelberg.

Patrizia Lazzarin, 17 gennaio 2024

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“Darwin’s Smile''

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Cosa lega la scienza alla recitazione, a quel mondo fatto di gesti, di espressioni, di racconto soprattutto per immagini delle nostre emozioni? Lo charme di Isabella Rossellini, attrice, modella, regista e figlia d’arte, nata dal matrimonio dell’indimenticata attrice svedese  Ingrid Bergman e del regista italiano Roberto Rossellini, nel suo spettacolo di ieri sera, andato in scena al Teatro Comunale Città di Vicenza, ha affascinato l’affollatissima platea, interpretando le affinità che ci fanno assomigliare a cani, gatti, scimmie, galline, pavoni  …

Darwin’s smile, unendo i due grandi amori dell’attrice: la recitazione e l’etologia, è un’opera che come indica il termine smile è improntata all’ironia e ancora di più è in grado di  suscitare un “enorme” sorriso sulle nostre labbra, sottolineando l’incredibile legame tra il mondo umano e quello animale. I gesti e le voci, di cui la recitazione evidenziava la forza, sono stati il percorso scelto per mostrarne l’origine.

Scene tratte dal cinema muto, gli stessi spezzoni che abbiamo visto scorrere sul fondale e che esibivano eroine affrante dal dolore, sono servite all’attrice per impersonare ruoli diversi e per narrarci così vicissitudini ed emozioni lontane fra loro per natura. Erano per Isabella, un serbatoio a cui attingere per identificarsi di volta in volta con un’immaginaria donna abbandonata e “ripresa” dal suo amante, oppure sofferente per emicrania e dolori fisici di ogni tipo e alla fine, con grande divertimento del pubblico, per immaginare dimenticanze di ogni genere,  come avere lasciato senza cibo il suo amato cane Pippo.

Legandosi alla teoria darwiniana l’attrice ha voluto far riemergere comportamenti animali che ci appartengono ancora oggi. Fra tanti ha colpito quella dell’etologo che l’orango femmina abbraccia  mentre sta morendo perché ha capito il dolore dell’essere umano per la sua perdita. Un’affinità struggente, verrebbe da dire. Ma tuttavia l’umorismo calzante di una scena, giunta in ordine cronologico poco prima, trasforma le nostre emozioni in riso.

Isabella Rossellini è una  profonda conoscitrice degli animali. “Vive a meno di 100 km da New York nella sua ‘Mama Farm’,  in una   fattoria didattica in cui si occupa anche di ospitalità, ispirata dall’esperienza degli agriturismi italiani”, ha raccontato durante il suo monologo.  Ha conseguito  qualche anno fa all’Hunter College di New York un master in Comportamento e conservazione degli animali e ha un dottorato di ricerca Honoris Causa, ricevuto dalla Facoltà di Scienze dell’Università del Quebec di Montreal.

 E nella sua fattoria, nella Mama Farm,  lei ci conduce attraverso immagini che ci mostrano le sue galline impegnate nello spolverarsi il piumaggio fra la polvere quando vedono arrivare improvvisamente una pecora. E allora  esse si irrigidiscono come  faremo noi, con la stessa empatia, potremmo dire, come quando giunge  qualcuno o qualcosa che non conosciamo in modo inaspettato.

 Gli uomini sono cambiati nei millenni  e si sono spogliati in parte della loro animalità, ci suggerisce Isabella,  per diventare più belli come mostrano le nostre pelli lisce senza peli, ma molte similitudini permangono. Gli stessi  umani hanno modificato la genetica scegliendo, nella selezione degli animali utili, di far riprodurre quelli con determinate caratteristiche.

Quando Rossellini è comparsa  con le vesti di un pavone maestoso con la ruota scintillante ha svelato anche la vulnerabilità della nostra umanità. I costumi che indossava per impersonare di volta in volta gli animali, quasi invitati a dire la loro non con le parole, ma con la più efficace mimica e con le voci, hanno saputo insegnarci qualcosa e farci riflettere.

Il monologo è diventato quasi una scorribanda che ci ha condotto nel mondo multiforme e incredibile della recitazione e a “rivedere” teorie scientifiche e dinamiche comportamentali. Un’operazione insolita che ci ha permesso al tempo stesso di curiosare nel mondo del sapere e di farlo con piacere, ridendo come ci suggerisce il titolo.

Il  modo di fare divulgazione scientifica insieme  allo  spettacolo di Isabella Rossellini viene considerato un unicum nel panorama artistico internazionale. Sono famosi i suoi corti sul lato comico della sessualità degli animali “Green Porno”, realizzati a partire dal 2008.

 Lei ci ha raccontato: "Durante il lockdown ho avuto molto tempo per riflettere sulla mia passione per il teatro e per la scienza. Questi miei due forti interessi mi sembravano distanti e separati: uno soddisfaceva il cuore, l'altro il cervello. Finché non ho capito che si possono conciliare. Finalmente il mio cuore e il mio cervello hanno fatto pace …”

Patrizia Lazzarin 17 gennaio 2024

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Il maestro di S. Francesco e lo Stil Novo del '200 umbro

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Nel Duecento in Umbria matura il distacco dell’arte pittorica dall’universo figurativo bizantino. Incomincerà quella rivoluzione che nella scultura in quel momento storico ci mostra artefici come Nicola Pisano che, nella drammaticità e movimento delle sue figure, restituisce all’arte una rinnovata vitalità. Il percorso della pittura è segnato dalla nuova umanità che vediamo nel Cristo sulla Croce e nell’affettuosità del piccolo Gesù verso Maria, mentre i loro corpi acquisiscono lentamente volume e iniziano a muoversi nello spazio.

Sono passi misurati che arriveranno a Giotto e a quei maestri del colore che dipingeranno sui pontili ad Assisi consegnandoci una testimonianza della spiritualità e dell’ingegno umano che conservano il mistero di un tempo eterno.  Avremmo modo di conoscere Il Maestro di San Francesco, uno degli artisti più misteriosi del Duecento in una mostra attesa in primavera alla Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia.

La rassegna che reca il titolo Il Maestro di San Francesco e lo Stil novo del Duecento umbro ha la curatela di  Andrea De Marchi, Emanuele Zappasodi e Veruska Picchiarelli. Un appuntamento che è in calendario  dal 10 marzo al 9 giugno e  coincide con le celebrazioni per gli 800 anni da quando  San Francesco ricevette le stimmate.

Fra i  primi  pittori chiamati a dipingere  nella basilica di San Francesco e per stile  vicino ai modi di Giunta Pisano che con buona probabilità fu  suo maestro, Il Maestro di San Francesco  che operò in Umbria tra il 1260 e il 1280, conserva per noi molti tratti poco conosciuti. Il suo nome gli deriva dal  fatto  che la tavola su cui spirò recava  l’effigie del santo dipinta sulla stessa asse.  

Questo pezzo  che  è  ora conservato in Santa Maria degli Angeli sarà  eccezionalmente esposto nella mostra perugina che vedrà riuniti per la prima volta sessanta capolavori provenienti dalle più prestigiose istituzioni museali: dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dal Metropolitan Museum di New York alla National Gallery di Washington.

La stessa Galleria nazionale dell’Umbria  conserva il 60% delle sue opere su tavola. Il percorso della mostra si estenderà al ciclo con Storie del Cristo e Storie di san Francesco messo a punto dal pittore nella chiesa inferiore della Basilica di Assisi, anche in virtù dell’accordo di valorizzazione che lega il Sacro Convento al museo.

Nel Duecento al  Maestro di San Francesco i frati minori si rivolsero, dapprima per lavorare alle vetrate della chiesa superiore della Basilica, a fianco di maestri tedeschi e francesi e successivamente  per decorare l’intera chiesa inferiore. Nella navata ad aula unica, egli  incastonò il primo ciclo delle storie di Francesco, raccontato in parallelo con quelle di Cristo, secondo le indicazioni di Bonaventura da Bagnoregio, allora generale dell’ordine.

L’esposizione di Perugia ha fornito anche  l’occasione per fare dei rilievi con laser scanner 3D sulle pitture murali della chiesa inferiore di Assisi e così restituirci,  attraverso una ricostruzione digitale, l’assetto del ciclo dipinto verso il 1260 che era stato in seguito modificato in ampia misura per l’apertura delle cappelle laterali.

Momento culminante del percorso espositivo alla Galleria nazionale sarà la Croce datata 1272, proveniente dalla chiesa perugina di San Francesco al Prato ed  uno dei pezzi più importanti del museo.

Accanto al Maestro di San Francesco verrà documentata la produzione pittorica in Umbria a lui contemporanea, dalla metà del secolo all’avvio del cantiere pittorico della chiesa superiore della Basilica di Assisi con papa Niccolò IV.

Significativo punto  di partenza sarà l’opera umbra di Giunta Pisano, la cui finezza e maestria fece scuola, mentre i visitatori  avranno  anche la possibilità di apprezzare i lavori del probabile Gilio di Pietro da Pisa, attivo a Siena e Orte verso la metà del secolo.

Verranno ricostruite le figure di comprimari come il Maestro delle Croci francescane e il Maestro della Santa Chiara, grazie all’eccezionale presenza della pala proveniente dalla Basilica della santa e della croce dipinta del Museo Civico Rocca Flea di Gualdo Tadino. La produzione del Maestro del Trittico Marzolini testimonierà invece la straordinaria varietà di opere e artisti dell’Umbria del secondo Duecento, osservatorio privilegiato per comprendere i fitti scambi che in quegli anni caratterizzarono le rotte del Mediterraneo, tra la Terra Santa e l’Italia centrale.

Quest’ultima fu la culla del francescanesimo e di quei rivolgimenti artistici epocali che non si potrebbero immaginare senza il clima sviluppatosi nella Basilica di San Francesco.

Patrizia Lazzarin, 15 gennaio 2024

 

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