L’analisi che legge Trump quando dice: si esagera con la pandemia

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Tutti si sono accorti che la competenza, di fronte a una pandemia, è necessaria, ma ora lo scontro è tra diverse competenze: c’è esperto ed esperto. Secondo una ricostruzione del New Yorker, l’ultimo esperto cui si è affidato Donald Trump è Richard Epstein della Hoover Institution. Professore alla scuola di Legge della New York University, Epstein è un giurista libertario conosciuto negli Stati Uniti anche perché non si sottrae alle molte polemiche. Il 16 marzo, Epstein ha pubblicato un documento dal titolo “Coronavirus Perspective” che ha iniziato a circolare molto nel governo americano ed è arrivato anche allo stesso presidente che pare si sia subito affezionato all’idea: Epstein sostiene che ci sia stata una reazione esagerata a una minaccia che non è così grave come molti l’hanno presentata. Trump ha avuto fin dall’inizio la tentazione di continuare la sua strategia minimizzatrice – ha cercato di isolare il virus “cinese” chiudendo le porte anche agli europei (non tutti, all’inizio gli inglesi erano esenti) – ed è intervenuto soltanto quando i mercati hanno preso a crollare, ma sempre con l’obiettivo di trovare qualcuno su cui scaricare la colpa. Il testo di Epstein era perfetto: sosteneva che l’Organizzazione mondiale della Salute aveva esagerato con la definizione di “pandemia” e prevedeva che ci sarebbero stati 500 morti negli Stati Uniti (aveva aggiunto uno zero poco dopo, dicendo che c’era stato un errore). Il 23 marzo, Epstein ha pubblicato un nuovo documento più esplicito fin dal titolo: “Coronavirus Overreaction”. Dice: “I progressisti pensano di poter guidare la vita di ognuno di noi con una pianificazione centralizzata, ma lo stato dell’economia stabilisce una cosa differente”.

Secondo Epstein, la pianificazione centralizzata ha portato a un crollo dei mercati, e non servirà a salvare nessuna vita. La conversazione sul New Yorker con Isaac Chotiner (che si occupa delle interviste per la sezione “Q&A” e ha sviluppato la competenza di ascoltare le risposte dei suoi interlocutori e di ribattere) non finisce bene: il giornalista cerca di capire su quali competenze si fondano le analisi di Epstein, ed Epstein inciampa un po’. Il risultato finale, dopo qualche colpo sotto la cintola da entrambe le parti, è che le premesse del giurista hanno a che fare moltissimo con l’ideologia. Ed è esattamente quel che i democratici contestano a Trump: vuole trattare un’emergenza sanitaria come un elemento della campagna elettorale, e questo rende la risposta del governo insufficiente e pericolosa. Mentre Epstein spiegava al New Yorker com’era stato possibile dimenticare uno zero nel calcolo dei morti, i morti superavano la soglia duemila e il dottor Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases masticato dal trumpismo, la spingeva per il bilancio totale oltre quella delle 100 mila vittime. Un’esagerazione, secondo Epstein e secondo buona parte dell’Amministrazione Trump. L’ideologia non è a senso unico. Nel Regno Unito, Jeremy Corbyn, leader uscente del Labour (il 4 aprile si saprà il nome del suo successore), sostiene che la pandemia è la conferma che la sua proposta elettorale – sconfitta a dicembre – fosse quella giusta: Epstein la chiama “pianificazione centrale”, i commentatori vanno semplici con “socialismo”, e ancora una volta è materia sensibilissima di scontro elettorale. A Corbyn molti rispondono che la sua idea per la vita quotidiana – interventismo statale – va giusto bene, se va bene, per un’emergenza di proporzioni globali, ma nella retorica corbyniana il fatto che questa pandemia sia il suo riscatto è già molto presente.

C’è esperto ed esperto e c’è esagerazione ed esagerazione, insomma. Quel che Epstein non dice è che il problema oggi non è tanto la chiusura quanto piuttosto l’urgenza di aprire. E’ di questo che parla anche Trump quando fa la classifica degli stati che mostrano più apprezzamento e quindi saranno trattati meglio. La competenza adatta per soddisfare questa urgenza è la visione politica, non il calcolo delle esagerazioni.

Paola Peduzzi – Il Foglio – 31 marzo 2020

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Trump: sarà un successo restare sotto i 100 mila morti

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Domenica Trump aveva pro messo di aiutare l'Italia, e ieri ha parlato al telefono col premier Conte. I due leader hanno ribadito l'impegno a lavorare insieme per sconfiggere il coronavirus.
«Ieri sera abbiamo avuto una riunione in cui si è parlato dell'Italia. Intendiamo aiutarla, anche sul piano finanziario». A rivelarlo era stato il presidente Trump, durante la conferenza stampa di domenica pomeriggio alla Casa Bianca, dove aveva annunciato che le linee guida per il blocco delle attività negli Usa sono state estese fino al 30 aprile, dopo che i consiglieri scientifici lo hanno avvertito del rischio che l'epidemia di coronavirus arrivi ad uccidere fino a duecentomila americani. Trump non era sceso nei dettagli dell'assistenza che intende offrire al nostro Paese, ma rispondeva a una domanda che gli chiedeva direttamente cosa intende fare per l'Italia, anche per bilanciare l'impressione che finora gli aiuti a Roma siano arrivati solo da Cina, Russia e Cuba. Questo tema era stato discusso anche nella telefonata di venerdì scorso tra i ministri della Difesa, Esper e Guerini, che avevano confermato l'amicizia tra i due paesi e discusso la possibile assistenza del Pentagono. Fonti autorevoli spiegano che l'aspetto finanziario dell'intervento non è chiaro, ma sul piano delle forniture sanitarie si sta lavorando in maniera intensa con Washington. Nei giorni scorsi il presidente ha ordinato alla General Motors di produrre ventilatori, e ha detto che le macchine indispensabili per salvare le vite dei malati verranno mandate agli alleati che ne hanno più bisogno, come l'Italia. Questo è il primo atto concreto che potrebbe avvenire, insieme ad altri materiali come le maschere. Ieri infatti Trump ha detto di aver promesso a Conte l'invio di forniture mediche per circa cento milioni di dollari.
La conferenza stampa di domenica, oltre al tema Italia, ha segnato un netto cambio di tono da parte di Trump, perché l'epidemia potrebbe arrivare ad uccidere 200.000 persone negli Usa e nessuna città o stato verrà risparmiata. A dirlo sono stati i due principali consiglieri scientifici della Casa Bianca, Anthony Fauci e Deborah Birx. I contagi in America sono saliti a quasi 150.000 e i morti sono oltre 2.800. L'epicentro resta New York, dove ieri è arrivata la nave ospedale della Navy Comfort, con mille letti e sale operatorie. E' ancorata al Pier 90 e ospiterà i pazienti non colpiti dal coronavirus, per liberare posti nei nosocomi ai malati che rischiano la vita per il Covid 19. Un ospedale da campo è stato costruito anche nell'East Meadow di Central Park da Samaritan's Purse, per accogliere i pazienti del Mount Sinai.
Fauci ha chiarito che la sua previsione di 200.000 morti negli Usa si basa sui modelli, e dipenderà dalle scelte delle autorità e la risposta dei cittadini. Se il social distancing verrà rispettato, e i governanti aumenteranno i test, la tracciatura dei contagi e i letti d'ospedale per i malati, il totale potrebbe essere molto più basso. Quello che non cambierà, secondo la responsabile della Casa Bianca per la risposta al coronavirus Birx, è che tutte le città e gli stati verrano colpiti, e quindi devono prepararsi a reagire. Davanti a questi avvertimenti, Trump ha rinunciato all'idea di riaprire il paese a Pasqua, estendendo il blocco delle attività alla fine d'aprile. Il presidente, che per circa due mesi aveva sottovalutato l'epidemia, ha detto che «se riusciremo a contenere le vittime sotto la soglia di centomila avremo fatto un buon lavoro». Qualche speranza in più è venuta dalla Johnson & Johnson, che ha annunciato l'inizio dei test del suo vaccino sugli esseri umani a settembre, e dalla Fda, che ha autorizzato l'uso di idrossiclorochina e clorochina come cure sperimentali.

Paolo Mastrolilli – La Stampa – 31 marzo 2020

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Incubo New York

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Duecento morti in un giorno, uno ogni nove minuti e mezzo, e di fronte al dilagare del contagio il New York Times lancia l’allarme: "A questo ritmo, ben presto New York avrà superato Wuhan e la Lombardia". La metropoli più grande d’America concentra oltre la metà dei decessi da coronavirus a livello nazionale. Si sente tradita dal governo centrale, abbandonata e perfino demonizzata anche dai connazionali, dalle regioni e dagli Stati vicini che trattano i newyorchesi come degli appestati da respingere. Teme scenari che erano riservati ai film di fantascienza ("Fuga da New York") con un ritorno di miseria, criminalità e disordine sociale. Il governatore democratico Andrew Cuomo, diventa l’eroe locale nello scontro quotidiano con Donald Trump: «Non capisco perché il presidente parla di quarantena, non ne vedo l’utilità sanitaria. Invece c’è urgente bisogno di respiratori, dai 30.000 ai 40.000, e il governo non ce li dà, la protezione civile ne manda 4.000. Questi sono numeri, io governo sulla base di questi numeri, le opinioni del presidente non mi interessano. Se il presidente condanna 26.000 pazienti, scelga lui quelli che devono morire». Cuomo a differenza di Trump conosce la situazione drammatica sul suo territorio: al Columbia University Irving Medical Center i medici stanno cominciando a usare un apparecchio respiratore ogni due pazienti. Altrove, in Alabama, già si parla di razionare le cure agli anziani e ai disabili.

La quarantena non oppone soltanto New York alla Casa Bianca. In realtà a voler cingere un cordone sanitario attorno alla Grande Mela sono le stesse autorità locali delle zone limitrofe: vogliono fermare la fuga dei newyorchesi verso le seconde case, verso la provincia meno densamente affollata e quindi meno vulnerabile al contagio, verso le zone di villeggiatura. Dal Connecticut alla Florida diversi governatori impongono l’isolamento forzato ai newyorchesi o ne bloccano l’arrivo. Senza precedenti sono le misure prese dalla governatrice dello Stato di Rhode Island: blocchi stradali per respingere gli automobilisti con targa newyorchese, Guardia Nazionale mobilitata per blindare il confine regionale e addirittura per dare la caccia ai newyorchesi asserragliati nelle seconde case. «Il mio rischio numero uno in questo momento si chiama New York City», ha detto la governatrice. «Giù in Florida hanno un sacco di problemi con tutti i newyorchesi che ci vanno», ha rincarato Trump.

Lo scontro fra Cuomo e Trump ha sortito almeno due risultati. Su pressione del governatore democratico di New York, il presidente si è deciso a invocare la legislazione di guerra (il Defense Production Act del 1950) per requisire di fatto una fabbrica della General Motors costringendola a riconvertirsi nella produzione di apparecchi respiratori, che in questo momento data la scarsità si vendono a 50.000 dollari l’uno e sono fuori dalla portata di molti ospedali. Sempre sotto la pressione di Cuomo, ieri il presidente ha finalmente fatto partire dal porto militare di Norfolk in Virginia la nave- ospedale U.S.N.S. Comfort, diretta a Manhattan. Però il bastimento della U.S. Navy non è attrezzato per chi ha il coronavirus, i suoi mille posti letto serviranno a decongestionare il sistema ospedaliero newyorchese da altri pazienti.

Le misure restrittive a New York diventano più stringenti: partono le multe da 500 dollari per chi non rispetta la distanza di sicurezza di due metri; e Cuomo rinvia dal 28 aprile al 23 giugno l’elezione primaria. Ma un nuovo allarme ora riguarda l’ordine pubblico. Ci sono già 500 positivi al test coronavirus tra gli agenti del New York Police Department, quattromila assenti per malattie, e da ieri il primo decesso tra i poliziotti. In una Manhattan trasformata in città-fantasma, colpisce lo spettacolo dei negozi di lusso, dalla Quinta Strada a Soho: molti oltre a chiudere hanno deciso di proteggere le vetrine con assi di legno e altre barriere. Lo si fa di solito quando è in arrivo un uragano distruttivo. Stavolta la paura è un’altra: che l’impoverimento di massa e la ritirata delle forze dell’ordine possano provocare rapine, assalti ai negozi. È dagli anni Ottanta che New York ha visto una costante riduzione dei reati, diventando una città sempre più sicura: ma la memoria degli anni violenti si riaffaccia di fronte alla nuova crisi. In tutti gli Stati Uniti sono stati richiamati in servizio un milione di riservisti della Guardia Nazionale, ma non si occupano di ordine pubblico: il contingente di New York sta finendo di costruire un ospedale dentro il centro congressi Jacobs Jarvits sul fiume Hudson.

Federico Rampini – la Repubblica – 29 marzo 2020

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