Il matrimonio Renzi-Berlusconi non s'ha da fare

Diciamo la verità: l’idea di rimettere su le coalizioni, vista la crisi delle larghe alleanze, è abbastanza teorica, se non proprio fuori dalla realtà, al punto in cui sono ridotti i rapporti tra i leader che dovrebbero ricostruirle. Non si può escludere che ci si riprovi, o si faccia finta di riprovarci, per poi distruggerle, in vista non si sa di cosa, dopo il voto. Lo sanno bene quelli che dicono di volerle e quelli che non le escludono, ma sotto sotto le sabotano. L'editoriale di Marcello Sorgi su La Stampa.

Voto a Berlino, le conseguenze per Roma

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Il rebus che agita le acque del Pd: meglio Renzi o Gentiloni?

Si avvicina la campagna d’autunno e in casa demokrat incomincia il posizionamento di molti parlamentari. C’è chi sostiene senza se e senza ma, le tesi del segretario Matteo Renzi, stra-vincitore delle primarie del Pd: con una legge elettorale per il Senato  che non si riesce (o, forse, non si uole) approvare si rischia di avere una legislatura senza una maggioranza predefinita e solida e, perciò stesso, inconcludente con certa ingovernabilità.. C’è chi, all’interno del partito ormai renzianizzato, vorrebbe introduzione di un premio di coalizione, abbassandone la soglia dal 40 al 35%, onde renderlo più raggiungibile. Che significa? Il probabile vincitore sarà, quasi certamente, il centrodestra che vede uniti la Lega Nord di Salvini, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il Pd non ha chance di valicare questa soglia. Il problema è che Renzi non ha assolutamente intenzione di discutere, prima del voto, di coalizioni. Le carte le vuole distribuire lui. E siccome, in cuor suo, è sicuro di non raggiungere il 40% superato alle europee del 2014 (quanta acqua è passata sotto il ponte di Palazzo Chigi!), allora pensa di poter stabilire degli accordi segreti (un’altra specie di Nazareno bis) proprio con il suo avversario più temuto. Che non è il M5S di Beppe Grillo ma Forza Italia. Per poter neutralizzare la ri-ascesa del mai morto (politicamente parlando) Silvio Berlusconi, ecco che un nuovo patto con il Sire di Arcore lo potrebbe confermare a Palazzo Chigi per la prossima legislatura, a condizione che conceda al centro destra tutta una serie di regalìe che faranno infuriare il popolo Pd: Nessuna legge sul conflitto di interessi, non si parlerà più di allungare i termini prescrizionali (l’unica e vera causa della lunghezza dei processi nel nostro Paese, in particolare quando si tratta di giudicare malversazioni e ruberie dei cosiddetti colletti bianchi). Che in Germania finiscono in galera ed in Italia no. Anzi, per la verità, affinché i processi vadano a sentenza in tempi decenti occorrerebbe che i termini di prescrizione venissero interrotti dopo una sentenza di primo grado. E’ sotto gi occhi di tutti che la situazione legislativa vigente consente solamente alle persone facoltose di sfuggire ai rigori della legge, tant’è che innumerevoli volte (non ultimo il caso dei Mastella-Lonardi gate) un processo dura talmente a lungo che, inevitabilmente, finivano in una bolla di sapone. Con sprechi incredibili di pubblico denaro. Sì, perché se dopo tanti anni un iter processuale con sentenze contradditorie di primo, secondo e terzo grado (vedasi anche il processo sulla strage di Brescia) finisce in vacca  non si può parlare di è giustizia bensì di mala-giustizia. E le responsabilità sono a vario titolo distribuite tra magistrati incompetenti, avvocati che determinano ad arte la durata di un procedimento (sempre più sovente ad esclusivo vantaggio non della giustizia ma dei protagonisti, con il portafoglio gonfio di denaro, delle diverse vicende giudiziarie. Responsabilità anche dei politici che elaborano misure legislative che consentono interpretazioni sempre più favorevoli ai colpevoli di alto lignaggio. Vedrete che una decente legge elettorale non la faranno, perché nessuno vuole cambiare lo stato dell’arte. Così lorsignori potranno sempre sostenere che le responsabilità della mancata modifica di una legge elettorale, l’abolito senza che mai sia entrato in vigore Italicum, sia il M5S, sia il Pd, sia Forza Italia, che non piace né a Matteo Renzi, né a Silvio Berusconi né ai pentastellati.  Il Pd non riesce a far emergere una proposta che possa mettere d’accordo un p’ tutti gli schieramenti politici. Questo perché pretende l’approvazione di una legge che possa privilegiare il partito di maggioranza relativa. Attualmente il partito di Matteo Renzi. Che però si trova ben lontano dalla soglia di quel 40% che gli consentirebbe di dettare ed imporre le regole del gioco. Quasi certamente il futuro governo non potrà su una maggioranza chiara, modello Macron, per l’incapacità di Matteo Renzi di coagulare intorno a sé una gruppo dirigente coeso e questo passaggio delicatissimo lascerà l’Italia in una situazione di stallo ancor peggiore di quella attuale.  Così sa bene. Anche non sta affatto bene al Paese. Ma molto probabilmente ai trafficanti del Palazzo C’è, a breve, l’appuntamento elettorale nell’isola di Angelino Alfano e quanto si sta prospettando (lo strano matrimonio d’interesse tra il centrosinistra ed il centrodestra) non presagisce niente di cristallino. Insomma, la confusione regna sia a Roma che a Palermo. L’Italia è nei guai. Seri. Serissimi. Ecco quanto scrive a proposito della crisi che attraversa il partito democratico su il Giornale Laura Cesaretti, solitamente ben informata delle trame dei palazzi romani:… “Renzi ha messo le dita negli occhi a tutti, si sta facendo terra bruciata all'interno, anche tra i suoi», assicurano gli avversari. Che non negano che l'obiettivo finale sia, al di là della legge elettorale, far saltare la segreteria di Renzi. «Bisogna mandarlo a casa prima delle elezioni». E si guarda alle elezioni regionali in Sicilia in novembre: Berlusconi punta a farne la prima tappa del percorso verso la vittoria alle Politiche, e il Pd teme di prendere una batosta. Che indebolirà inevitabilmente il Suo leader: è allora, si spiega, che potrebbe partire l'offensiva finale su legge elettorale e leadership, con sponsor di riguardo che potrebbero essere Prodi, Letta jr, Napolitano: «A quel punto molti si potrebbero svegliare, e cercare di salvare il salvabile. Se riuscissimo ad andare alle elezioni con un triumvirato Martina-Delrio-Gentiloni, con Paolo candidato premier, avremmo persino chances di vittoria», ragiona un parlamentare Pd. Il sogno, infatti, è quello di arrivare a staccare da Renzi pezzi da Novanta della sua maggioranza, a cominciare da Gentiloni. Per poi costruire un'alleanza con Pisapia: «Bisogna aiutarlo a staccarsi da D'Alema, dovrebbe essere il Pd a dargli una mano offrendogli la coalizione», ripetono gli orlandiani. Convinti che «Renzi vuole solo costruirsi un gruppo parlamentare di 120 fedelissimi nella prossima legislatura, sapendo che durerà pochissimo. E poi fare qualcosa di diverso dal Pd, come Macron». In casa renziana si attendono l'offensiva d'autunno, ma sono certi che «non avranno i numeri». Anche perché l'arma delle candidature è in mano al segretario, e a fine legislatura si trasforma in arma letale in grado di convincere i più riottosi. «E poi se tentano una manovra di Palazzo per far fuori, alla vigilia del voto, un segretario eletto da 2 milioni di cittadini, si suicidano», dicono.”  Visti i successi sul piano della crescita conseguiti dall’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, che raccoglie tanti consensi, ebbene, la leadership del fiorentino Renzi è un po’ a rischio. Tutti fan buon viso a cattivo gioco, con il ministro dell’Interno che recita una sua parte, così il buon Gentiloni, mentre l’ex premier sta a guardare, preparando delle contromosse che non lo allontanino più .di tanto da Palazzo Chigi ma che gli consentano di riavvicinarsi quanto prima possibile. I successi del buon Paolo, purtroppo, lo tormentano assai. Avrebbe avuto più piacere acché il Paese ne invocasse il subentro subito. Così non è e così non sarà. L’Italia sembra abbia bisogno di una guida tranquilla non di un rottamatore che spara a salve e ha dimostrato un’evidente incapacità di far seguire alle parole (tante) i fatti, pochi. Anzi, pochissimi.

 

                                

Marco Ilapi, 19 settembre 2017

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Siamo in Italia, iI rottamatore non va da nessuna parte

Non siamo i soli. In Francia, per rinnovarsi, hanno eletto presidente Macron, un giovane senza passato e senza partito di cui tutti incominciano a dubitare. Gli americani hanno mandato al potere lo sprovveduto Trump, di cui poi sono malcontenti. E molti incominciano a rimpiangere i vecchi partiti in cui uno faceva carriera partendo dal basso, dimostrando di saper governare come assessore, sindaco in piccoli comuni o nel partito. In sostanza ripetendo il cursus honorum dell'antica Roma per cui diventavi console o tribuno ma dopo una lunga esperienza. Il vantaggio di una tale esperienza l'abbiamo constatato con Minniti. L'editoriale di Francesco Alberoni su il Giornale.

Quanto sono inesperti (e incapaci) i nostri politici

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