Italia, occhio al debito monstre!

Tutti i partiti sono appassionatamente uniti dall'avversione al fiscal compact, ovvero a quell'insieme di regole sui bilanci pubblici approvate da 25 Paesi dell'Unione Europea il 2 marzo del 2012. Con la firma italiana. Nella sostanza il pareggio strutturale di bilancio e l'impegno a ridurre di un ventesimo l'anno la parte del debito pubblico eccedente il 60 per cento del Pil, il Prodotto interno lordo. Trascorsi cinque anni — secondo l'articolo 16 — le norme dovrebbero entrare nell'ordinamento giuridico comunitario a partire dal gennaio del 2018. L'editoriale di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera.

E il debito pubblico monstre? Nel dimenticatoio...

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Un problema nel 2018, fare i conti con il Rosatellum

Da un punto di vista strettamente politico-istituzionale la legislatura è andata interamente perduta: nessuno dei problemi che si presentavano nel 2013 è stato risolto. Se vogliamo capire le sfide che attendono la legislatura che verrà, dobbiamo riconoscere che questo è il nostro (bassissimo) punto di partenza. Il commento di Giovanni Orsina su La Stampa.

   

Una legislatura buttata alle ortiche

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Nuovo Parlamento ingovernabile grazie al Rosatellum

Presumibilmente il 4 marzo 2018 si andrà al voto. Sempre presumibilmente, dopo le elezioni, non emergerà una chiara maggioranza che sia in grado di assicurare le governabilità del Belpaese per l’intera legislatura. Tutti i partiti, sottolineiamo tutti, avevano auspicato che avrebbero favorito l’approvazione di una legge elettorale che avrebbe garantito la governabilità. Invece non è successo. Il Rosatellum spaccherà in tre l’elettorato: Il centrodestra confusionario supererà il 30%, il M5S, correndo in solitaria (è la sua forza, correre da solo) si avvicinerà al 30%, il Pd si allontanerà dalla quota-Bersani, quella della non-vincita. A quel punto cosa potrà accadere? Le critiche alla legge elettorale approvata con il ricorso al voto di fiducia, a posteriori, sono risultate politicamente più che giustificate: il governo non doveva immischiarsi in una discussione che riguardava in via esclusiva il Parlamento. Si vuole ricordare ancora una volta cosa significa porre la questione di fiducia. Il provvedimento proposto in votazione, anche se manchevole in più parti, non può essere soggetto a modifiche, anche migliorative. Pur se la maggior parte dei deputati e dei senatori lo vorrebbe. E questa non è democrazia. Le legge nasce storpia e così ce la dobbiamo sorbire. A questo punto occorrerebbe porre un limite alla questione di fiducia. Non è che la governabilità venga assicurata nella sostanza perché l’esecutivo riesce ad approvare molti provvedimenti ricorrendo ai maxi emendamenti che mettono in un unico calderone normative le più disparate e lontane tra di loro, dalle questioni fiscali, a quelle previdenziali, a quelle relative all’ambiente ed ai provvedimenti a favore dell’industria delle armi e di sostegno alle migliaia di fiere paesane. Si pensi al Milleproroghe che ogni fine d’anno, consacra l’ennesimo assalto alla diligenza per tutti i parlamentari della Repubblica. E intanto il debito pubblico continua a lievitare, Si consideri che dal’avvento a Palazzo Chigi di Matteo Renzi, il rottamatore fiorentino, è salito di quasi 200 miliardi di euro (Gentiloni magari fa uso di un tono meno muscolare, ma la sostanza non è cambiata di un niente e il “conte Paolo”, di fatto, è una creatura di Renzi, visto che i ministri del suo esecutivo sono gli stessi,). Non male per chi aveva proclamato ai quattro venti che avrebbe affrontato e risolto i nodi più intricati della questione-Italia: il problema dell’abbattimento del pauroso debito che il Paese ha sulle sue spalle: 2089,6 miliardi euro al dicembre 2013, 2303 con Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Evidentemente qualche meccanismo non ha funzionato. Se poi torniamo indietro ai tempi del governo dei professori bocconiani, non è che la musica sia cambiata, anzi. Al 2012 il debito pubblico fotografato era di 1943,4 miliardi di euro. Ossia neanche Mario Monti era riuscito a scalfire il mostro dell’indebitamento. Anzi tra l’avvento di Monti e la situazione attuale la voragine si è allargata. Il debito è cresciuto di ben 360 miliardi di euro. Segno che le misure anti-crisi adottate prima da Monti, poi da Letta, quindi da Renzi e, poi, da Gentiloni non hanno funzionato  Detto in altre parole, tutti hanno fallito e, a nostro avviso, dovrebbero umilmente riconoscerlo. E farsi da parte. Non sono stati in grado di dare un contributo per far uscire il Belpaese dalle secche della crisi in cui è precipitato da decenni di cattivi governi. Dal 4 marzo del prossimo anno si è punto e a capo. Con il Rosatellum non uscirà una maggioranza certa ed il Parlamento, come primo provvedimento dovrebbe cercare di approvare una nuova legge elettorale, magari sul modello francese, su un doppio turno di collegio, che a parole piace un po’ a tutti (ma poi nessuno osa proporla e portarla in aula). Così si avrebbe la assoluta certezza che dalle urne uscirebbe una maggioranza in grado di garantire la governabilità del Paese, dopo anni e anni di instabilità. Si pensi alle ultime due legislature che in buona sostanza, sono state eterodirette dal Quirinale. Piaccia o non piaccia, la storia dei governi Monti-Letta-Renzi-Gentiloni ci inchioda a questa triste realtà. Leggi elettorali dichiarate incostituzionali, capi di governo catapultati dal Colle, parlamenti incapaci di approvare una legge rispettosa delle istanze popolari (l’elettore vuole essere, giustamente, protagonista nella scelta dei candidati)  in primis e, poi, in sede di discussione si decide di varare una legge che non assicura una maggioranza certa. Contravvenendo ai migliori propositi dei leader dei diversi partiti. E poi si pontifica sulla disaffezione dell’elettorato. Ma è pur ovvio, se nel Palazzo fanno schifezze, la gente si disillude e non  va a votare. Cosa ci riserverà il 2018? I presupposti non fanno ben sperare. Agli elettori l’ardua sentenza.

Marco Ilapi, 27 dicembre 2017

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