Il caso del video su un laboratorio cinese Ma gli scienziati: questo virus è naturale

Il Coronavirus creato in un laboratorio cinese nel 2015. Sono circa le 18 di ieri pomeriggio quando questa notizia, diciamolo subito, smentita dai virologi, fa sobbalzare contemporaneamente milioni di italiani collegati a siti d’informazione e chat. La fonte citata è un servizio del TGR Leonardo, il tg scientifico di Rai3, del 16 novembre 2015, in cui il giornalista Maurizio Menicucci riportava una notizia pubblicata dalla rivista scientifica Nature. In particolare veniva raccontato un esperimento fatto nel 2015 in laboratorio da ricercatori cinesi che avrebbero innestato una proteina presa dai pipistrelli sul virus della Sars, ricavandone “un supervirus che potrebbe colpire l’uomo”. Nel servizio si dava conto della perplessità della comunità scientifica circa questi esperimenti condotti in laboratorio. Il servizio del TGR curiosamente comincia a circolare contemporaneamente in moltissime chat su Whatsapp, in alcuni casi veicolata da numeri sconosciuti. L’effetto è immediato: si riesumano le teorie complottistiche che sono già circolate dall’inizio della pandemia e che annoverano tra i sostenitori più illustri personaggi come il presidente degli Usa, Donald Trump che chiama il Coronavirus “chinese virus”. Negli stessi minuti le agenzie di stampa battono la notizia di un’interpellanza urgente del capogruppo della Lega in commissione Affari esteri, Eugenio Zoffili, rivolta al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, perché “chiarisca subito con le autorità cinesi l’origine del Covid-19”. Zoffili fa riferimento proprio al servizio (nella foto un frame) riscoperto ieri sui social del TGR Leonardo e chiede a Di Maio di «attivare subito tutti gli accertamenti del caso. La verità deve venire a galla». Una stoccata di Matteo Salvini a Di Maio, il cui rapporto sempre più stretto con la Cina non è passato inosservato. Ci vogliono due ore prima che dalla comunità scientifica arrivino le prime smentite. Categorica quella del virologo Roberto Burioni che su Twitter bolla come “l’ultima scemenza” la notizia del virus creato in laboratorio: «Tranquilli – spiega – è naturale al 100%, purtroppo». Si profonde in spiegazioni anche la curatrice del TGR Leonardo, Silvia Rosa Brusin: «Il pezzo del 2015 si riferiva a un esperimento fatto con fondi americani e cinesi che avrebbe dovuto essere un avvertimento per il mondo. Tra i due virus non c’è parentela». Ma come sempre in Rai le cose prendono subito una piega politica: si scatena il timore che il servizio pubblico possa essere accusato di diffondere notizie false e panico. Ragione per cui il giornalista Menicucci, che pure è in grado di spiegarsi, viene pregato di non farlo. In campo scende il direttore del TGR Alessandro Casarin, di non nascoste simpatie leghiste. Tocca a lui parare il colpo ripetendo una versione che ormai è un mantra: tra i due virus non c’è nessuna parentela.

Antonella Baccaro – Corriere della Sera -26 marzo 2020

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La Morale che divide democrazia e dittatura

Tutti gli esseri hanno un’anima e per suo mezzo sentono, godono e soffrono.

Questa è la vita. E la cultura medievale, che ha ancora pregi e valori per l’umanità di oggi, aveva comunque indicato che cosa fosse la morale e in quali modi l’uomo fosse in grado di reagirvi, rendendola tuttora operativa.

Il piccolo gruppo di favole che la tradizione medievale ci ha tramandato aveva come padre Gargantua e i suoi successori erano guidati da Pantagruel, Panurge e fra’ Giovanni. Vivevano in uno strano mondo: il cielo era diventato in molti punti della sua estensione assolutamente ghiacciato e quel ghiaccio aveva racchiuso gran parte delle parole che spiegano la vita. Il ghiaccio non si poteva leggere e il gruppo di Pantagruel era molto infastidito da questa impossibilità.

Ma ce n’era un’altra, egualmente inspiegabile e altrettanto fastidiosa: grandi strade, velocissime a trasportare qualunque persona e qualunque peso, avevano una loro propria direzione: ci si poteva salir sopra ma non discenderne quando si erano messe in moto e avevano una loro destinazione molti e molti chilometri più oltre. Solo lì si poteva scendere. Al contrario, vi si poteva salir sopra in qualunque punto. Si poteva anche fare a meno delle strade. Ma allora bisognava camminare ed evitare aggressioni molto pericolose.

Questa era la situazione così come la cultura medievale ce la consegnò. Moltissimi non la conoscono o la considerano una divertente favola. Altri, tra i quali mi permetto di collocarmi, considerano le “parole ghiacciate” e le “strade velocissime” come due condizioni d’un mondo che riconosce l’importanza della morale. Dunque, vogliamo chiarirla?

La morale è fatta di cento e cento particolari ma la sua essenza si riduce a una situazione decisiva: distingue il bene dal male.

L’Io distingue e salvaguarda la morale individuale.

Il popolo e lo Stato sono gli strumenti per realizzare la moralità collettiva.

Si tratta in realtà di due soluzioni politiche: una sbocca nella dittatura e l’altra nella democrazia. Questa è l’importanza della morale. Eppure ci sono democrazie che in teoria difendono la libertà ma non giovano a una moralità governante con efficacia per la massa dei cittadini. E allora qual è la soluzione? La storia può suggerirci le soluzioni del problema e ne indica da sempre i possibili risultati.

*** A me capita d’esser molto interessato a queste questioni. Perché nel corso di molti secoli il tema porta guerre e paci, amicizie e inimicizie, cultura e ignoranza. La biografia di ciascuna e di milioni di persone potrebbe essere raccontata narrando il confronto, che non ha tregua, non lascia riposo né respiro, tra l’impulso irrefrenabile dell’animale verso la felicità e il meccanismo cerebrale che gli appartiene. Che è cosa sua dietro a quella fronte. Un meccanismo raffinato, che ha confiscato all’animale una parte dei suoi istinti primigeni e governa attraverso la volontà della quale detiene gli strumenti biologici di trasmissione. Quel meccanismo si ritiene orgogliosamente autonomo e anzi sovrano, identificandosi con la complicatissima figura mentale definita con la parola Io.

Al contrario degli uomini, gli animali l’Io ce l’hanno, ma non lo avvertono.

È opportuno leggere i Pensieri che Blaise Pascal ha scritto su argomenti analoghi a quelli che abbiamo fin qui esaminato. Ecco, ad esempio, una frase che merita d’essere meditata: «Si è miserabili perché ci si riconosce miserabili, ma è essere grandi riconoscere che si è miserabili. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo. Se lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire mentre l’universo non sa nulla. Ma Dio?».

La divinità trascendente entra a questo punto nella questione morale. Scrive Pascal nei suoi Pensieri: «Senza la carità, Dio sarebbe soltanto un idolo. Cristo non è nulla senza la carità ».

Nella sua disperazione verso la morte che su di lui incombe, Pascal sente dentro di sé — e lo scrive — una via di salvezza ed è la Croce e la carità di cui Cristo rappresenta l’incarnazione ed è fonte testimoniale. A 39 anni, l’esistenza di Pascal è minata da un male che i medici non sono in grado di diagnosticare. Lascia la sua abitazione a una famiglia bisognosa e muore dopo pochi giorni a casa di sua sorella dove è stato ricoverato.

Sainte-Beuve in una pagina di grande letteratura con la quale conclude il suo saggio su Pascal, racconta il funerale immaginario di Montaigne. Vi fa partecipare tutti coloro che nel corso del tempo hanno dialogato con lui attraverso il suo libro e nutrendosi del suo pensiero.

In quel funerale immaginario, ci mette Charnon e la signorina de Gournay, Fontenelle e La Bruyère, La Fontaine, Madame de Sévigné, Montesquieu, Rousseau, Molière. Voltaire a parte, nel mezzo. «Il funerale», commenta l’autore di Port-Royal, «non può essere umanamente più glorioso, più invidiabile per l’Io? Tutti conversano del defunto, della sua filosofia che torna in gioco tante volte nella vita. Conversano di se stessi. Nessuno dimentica il proprio debito, ogni pensiero restituisce la propria eco. Chi conducono essi? E dove mai lo conducono? Dov’è la benedizione? Dov’è la preghiera? Io temo che solo Pascal, lui soltanto — se è del corteo — abbia pregato».

C’è di che associarsi a questo finale.

*** La morale perduta è un antico mio libro, ma non è certo quello che voglio qui commentare. La morale usata in certe circostanze si adatta a distinguerle ed esaminarle, ma operando in questo modo noi la usiamo per chiarire alcune questioni con una funzione di secondo grado. La morale, però, va esaminata soprattutto al primo grado. È una finalità, è il centro del discorso. Tutti gli esseri hanno un’anima e l’anima si distingue con la morale. Il Dio Unico è il centro del problema e la morale è di fronte a quel Dio o alla sua inesistenza ed è essa che decide per i mortali.

La morale distingue il bene dal male, ma effettua questa distinzione in modo individuale o collettivo. L’Io è la morale individuale. Quella collettiva è rappresentata dal Popolo e dallo Stato. La prima è democratica, la seconda è una dittatura.

Abbiamo oggi tre figure di notevole importanza che con la morale giocano molto abilmente.

Matteo Salvini, che la morale la porta ovunque con sé, ne fa uno strumento della massima importanza, che chiude i porti e le vie d’ingresso. E usa la morale politica per motivare questo suo atteggiamento col quale spera di convogliare verso il suo partito la maggioranza del voto popolare.

È dubbio che Meloni e il suo partito “Fratelli d’Italia” stiano con Salvini ed è altrettanto dubbio che ci stia Berlusconi. Ma il più dubbio di tutti è Matteo Renzi. Salvini gli piace, i Cinquestelle possono perder voti a suo favore. Se c’è un personaggio da lui detestato è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Renzi e Conte: sono questi i veri avversari.

Conte non ha nulla a che vedere con Renzi, ma Renzi viceversa ha molto a che vedere con Conte.

E Di Maio? Ecco un’altra figurina non priva di peso politico. Sta perdendo voti, ma quelli che gli sono finora rimasti hanno aumentato il loro peso e stanno rafforzando la propria autonomia. Non hanno alleanze, anche se a volte dicono il contrario.

La sinistra si è rafforzata e sta raccogliendo voti di gran peso.

La morale della sinistra è evidente: raccoglie gli istinti democratici del Paese e li convoglia verso movimenti di vario peso e nomi di notevole importanza: a cominciare, oltre che da Nicola Zingaretti, da Paolo Gentiloni, Dario Franceschini, Piero Fassino, Marco Minniti, Carlo Calenda e molti altri sindaci e governatori regionali che coltivano la sinistra democratica e giovanile. La morale è decisiva: la sinistra liberaldemocratica coltiva la moralità politica che fu impersonata a suo tempo da Enrico Berlinguer e da quelli che dopo di lui fecero una forza di rilievo del Partito comunista democratico, che oggi è ancora tra le forze storiche d’un passato più che mai proiettato verso il presente e sperabilmente il futuro. Questa è la moralità storica e di questa siamo i sostenitori. Diderot e Voltaire ci tengono buona compagnia.

Eugenio Scalfari – la Repubblica – 1 marzo 2020

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Un altro errore sulla Libia

Il cirenaico Haftar spara a volontà, il tripolino Serraj sospende la sua partecipazione al negoziato militare di Ginevra, e così le residue speranze di stabilizzare la Libia affogano in un mare di parole che vede l’Italia tra i più loquaci protagonisti. Aveva cominciato, nella corsa ai proclami ad uso interno, la tanto attesa conferenza di Berlino che pur di non fallire subito ha prodotto a cuor leggero un lungo elenco di traguardi irraggiungibili. Riuscendo in tal modo a fallire dal giorno dopo, quando si è visto che la tregua d’armi non reggeva, che le forniture di armi provenienti dai padrini dei due schieramenti continuavano imperterrite, che Turchia con Serraj e Russia con Haftar accentuavano la loro presenza sul terreno invece di ridurla, che gli Usa guardavano dall’altra parte e che l’Europa rimaneva divisa e inefficace malgrado i suoi indiscutibili interessi in Libia. Poi, fatto più unico che raro, è stata l’Onu ad alzare la voce osservando che l’embargo sulle armi «somigliava ormai a una barzelletta». Il giorno dopo, lunedì scorso, si riuniva il Consiglio dei ministri degli Esteri europei. Non poteva più far finta di niente, e incassare l’accusa di far ridere. Doveva decidere «qualcosa», e così è stato. Ma questa volta accanto alla consueta retorica diplomatica c’è stato il coinvolgimento di forze militari, con una approssimazione che non fa ben sperare. Anche perché subito dopo Haftar ha lanciato i suoi missili sul porto di Tripoli, e Serraj ha abbandonato i negoziati militari che dovevano consolidare la tregua.

Per capire meglio occorre fare un passo indietro, al nostro governo gialloverde nel quale Matteo Salvini era l’uomo forte. Fu quel governo italiano, e fu Salvini con la sua politica dei «porti chiusi», ad azzoppare la missione navale Sophia che doveva pattugliare il Mediterraneo nell’ambito della lotta ai trafficanti di carne umana. Sophia, si disse, moltiplicava il numero di migranti aumentando le loro probabilità di salvezza, dunque andava stroncata. Così fu. Ma l’idea circolava ancora in Europa, con Germania, Francia e Spagna favorevoli, Austria e Ungheria contrari per paura di nuovi rifugiati (che peraltro in Ungheria non entrano), e il nostro ministro degli esteri Di Maio, senza darlo troppo a vedere, d’accordo con Vienna e con Budapest. Non per copiare la dottrina Salvini, bensì stavolta per evitare che Salvini potesse impallinare il governo giallorosso con accuse di cedimento sul tema sempre sensibile dei flussi migratori.

Ecco allora che con il varo di una nuova operazione aeronavale «interamente diversa da Sophia» l’Europa ha formalmente sovrapposto il tema migranti e il tema Libia, al punto che se venisse constatato un «effetto richiamo» per i trafficanti anche nella nuova zona di operazioni, le navi verrebbero subito spostate o rinviate nei loro porti. Il che stabilisce, fino a prova contraria, una chiara priorità: per i Paesi europei e per l’Italia in particolare, visto che a differenza di Austria e di Ungheria noi il mare lo abbiamo intorno, il contenimento dei migranti conta molto più di quello delle forniture d’armi ai protagonisti della guerra civile libica. 

E non basta, perché Di Maio, oltre all’operazione aeronavale, ha vagamente ipotizzato anche una componente terrestre «se le autorità libiche la autorizzeranno». Ma quali autorità libiche visto che sono almeno due, per vegliare su quali confini, con quale viatico Onu, con quali regole di ingaggio? Forse il ministro alludeva a un indiretto rafforzamento delle operazioni franco-americane nel Sahel, oppure siamo ancora alle parole incaute? Nell’attesa si deve rilevare che l’alto rappresentante per la politica estera Ue, lo spagnolo Borrell, si è precipitato a frenare. 

Anche il solo aspetto aeronavale del nuovo progetto, peraltro, è ricco di interrogativi ai quali stanno già lavorando gli esperti nella speranza di far partire l’operazione a fine marzo. Se le navi della missione coglieranno sul fatto navi militari turche dirette a Tripoli, cosa faranno concretamente considerando che ci si troverà tra soci della Nato? Haftar, molto più facilmente di Serraj e della Tripolitania, può ricevere le sue forniture belliche via terra attraverso il confine egiziano: non si rischia di bloccare la Turchia e il Qatar e di dare invece poco fastidio agli Emirati, alla Giordania, all’Arabia Saudita, alla Russia che servono la Cirenaica? L’operazione, spostata a Oriente, sarà comunque ricattabile dai trafficanti di esseri umani, basterà aumentare il numero dei barconi in quell’area e le navi toglieranno il disturbo. 

Anche a volerci fermare qui la nuova missione, che non ha ancora un nome e nemmeno un comandante mentre quello di Sophia era italiano, sembra disegnata per radicalizzare ulteriormente la partita per il predominio nel mondo sunnita (pro e contro i Fratelli musulmani) che i Paesi islamici con l’aggiunta della Russia combattono in Libia, sulla pelle dei libici e anche dei migranti. Con ampi margini di ambiguità: quelli che abbiamo brevemente citato, ma anche il doppio gioco di Mosca che con Lavrov in visita a Roma invoca l’onu e nulla dice dei suoi mercenari alle porte di Tripoli, che litiga con la Turchia in Siria ma ci va d’accordo in Libia. E anche l’america di Trump che nulla dice del blocco petrolifero imposto da Haftar dopo averlo indicato come linea rossa insuperabile (forse lo spettacolo di un’europa nei guai non dispiace al presidente in campagna elettorale?). E anche tutti quanti vanno ripetendo che in Libia «non esiste una soluzione militare». Sarà anche vero, ma alla fine pure gli europei hanno dovuto tirar fuori l’effetto dissuasivo di navi bene armate. Con il rischio che gli altri siano disposti a sparare e noi no.

Franco Venturini - Corriere della Sera - 21 febbraio 2020

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