Presidenziali Usa, rischio flop dei democratici

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Barack Obama, sempre più un intellettuale invece che un politico, teme che adesso la situazione si radicalizzi. Una profezia facile. Dopo il venerdì nero di Parigi 200mila cittadini statunitensi hanno comprato un fucile d’assalto. Seguendo così, magari senza saperlo, il “consiglio” del front runner repubblicano, il miliardario Donald Trump: a suo giudizio se i parigini avessero avuto più armi a disposizione, la tragedia sarebbe stata di proporzioni minori. L'editoriale di Giancesare Flesca  sul Messaggero Veneto.

Gli Usa alla ricerca di un leader credibile

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Fino al 2017 niente guerra al sedicente califfato

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Un'offensiva finale contro il Califfato, plausibilmente, non comincerà prima della metà del 2017. Nel 2016 ci saranno le elezioni presidenziali statunitensi. Il nuovo presidente si insedierà all’inizio del 2017. A lui o a lei occorrerà un po’ di tempo per elaborare una strategia utile allo scopo di venire a capo del problema nei suoi aspetti militari e politici. Obama, figlio di una stagione in cui l’opinione pubblica americana era stanca di guerre (accadde anche negli anni Settanta: Jimmy Carter fu il presidente di un Paese estenuato dopo il Vietnam), non farà nulla di nuovo, non restituirà all’America, men che mai nelle faccende mediorientali, il ruolo dello Stato guida, della potenza che esercita una forte leadership sull’insieme degli alleati. L'editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.

Obama ha sposato l'isolazionismo, l'Europa allo sbando

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Inevitabile la guerra contro il Califfatto

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Siamo, l’hanno detto molto chiaramente, in una guerra doppia. Contro un unico nemico, ma una guerra che si divide in due.  C’è il fronte interno, che passa attraverso i tavolini all’aperto, gli stadi di calcio o le sale da concerto parigine, così come attraverso i covi di Saint-Denis o Molenbeek, in Belgio, dove si rintanano i combattenti infiltrati. L'editoriale di Bernard Henri-Levy sul Corriere della Sera.

La guerra contro l'Isis è da considerarsi giusta

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