La Dottrina Monroe… d’Estonia

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La recente visita del presidente americano Barack Obama in Estonia, esplicito monito alla Russia che i Paesi baltici non si toccano, fornisce un’esilarante  contraddizione della nota Dottrina Monroe (1823), il cui crudo senso è il seguente: “Il Sud-America appartiene alla sfera d’influenza americana e le Potenze Europee sono diffidate dal ficcarci il naso. Allo stesso modo, gli Stati Uniti non si intrometteranno nelle faccende e contese degli Stati europei.”

    In realtà, poiché la Dottrina fu costantemente rielaborata ed arricchita dalle varie amministrazioni, la contraddizione con la visita del presidente americano è solo apparente e vale il suo corollario, aggiunto da Theodor Roosevelt nel 1904 che, tradotto sinteticamente, suona all’incirca così: “Noi abbiamo la forza e il diritto di impicciarci anche degli affari altrui.” Ma già anche senza il corollario, la pretesa di essere tutori esclusivi di un intero continente, dal Venezuela fino alla lontanissima Punta Arena, all’estremità sud del Cile, è perlomeno arrogante.

    L’atteggiamento non è nuovo e gli Stati Uniti sono in buona compagnia…storica, a cominciare dall’Impero Romano fino all’Impero Britannico. Vi è però un piccolo problema: contrariamente alla bandiera ideologica degli Stati Uniti, gli antichi Romani non usavano scomodare la democrazia e i diritti umani - ancora non erano conosciuti - per giustificare la loro politica estera. In quanto agli Inglesi, un nugolo di seri e devoti sostenitori dell’imperialismo britannico sostenne senza mezzi termini il diritto di quest’ultimo di diffondere e imporre civiltà, buoni costumi e missionari, oltre all’oppio, fra i popoli soggetti.  La coerenza romano-britannica e l’incoerenza americana sono notevoli e auto-esplicative. Ma vi è un’altra significativa differenza, come vedremo più avanti.

     Il ruolo di gendarme planetario degli USA, fino ad allora gigante dormiente e tutto sommato riluttante ad occuparsi di contese europee – a parte il fuggevole intervento marocchino (1906) e la partecipazione al conflitto 1915-1918 - fu consacrato grazie  alla seconda guerra mondiale. Bombardando proditoriamente Pearl Harbour, che gli USA avevano annesso nel 1898 senza chiedere il permesso agli abitanti, i Giapponesi servirono su un piatto d’oro a costoro la giustificazione per un ingresso in guerra altrimenti osteggiato dalla stragrande maggioranza della popolazione.  A ciò si aggiunsero le pressioni di Churchill, il quale vinse in tal modo la guerra con i Nazisti e perse l’Impero.

     Sulla tomba del Mikado e dell’Impero Britannico fiorì dunque sempre più rigogliosa la giungla americana, che da allora ha disseminato le sue spore da un capo all’altro del pianeta. A questo variegato itinerario non corrispondono tuttavia tappe particolarmente brillanti. Al contrario, già da Yalta lo strabismo delle amministrazioni americane iniziò a seminare i suoi frutti destabilizzanti. Il cinismo col quale l’Unione Sovietica, ex-invasore della Polonia, degli Stati baltici e della Finlandia, divenne un “alleato” è pari all’ingenuità e scarso discernimento di Roosevelt nei confronti di Stalin. I massicci aiuti americani ai Sovietici di armi, viveri e attrezzature non solo permisero a questi ultimi di fronteggiare l’invasione nazista ma di avanzare poi a occidente, inghiottendo per molti decenni tutta l’Europa orientale. I successivi pentimenti e cambiamenti di rotta americani produssero la ben nota “guerra fredda”, che pare abbia adesso un nuovo sussulto di vitalità. Deriva di tali pentimenti e timori furono la guerra in Corea e poi in Vietnam, il cui duplice fallimento fu esemplare, così come l’ostinata contraddizione con l’ottocentesca Dottrina Monroe. 

     All’ingloriosa ritirata dal sud-est asiatico seguì la perdita improvvisa di un prezioso alleato come l’Iran. Per mesi l’ambasciatore a Teheran, Sullivan, aveva tempestato (inascoltato) Washington con telegrammi allarmistici che invitavano ad intervenire prontamente in qualche modo per salvare il trono dello Shah e bloccare il nascente fungo islamico. Il risultato fu che di lì a poco Khomeini avrebbe istallato la sua teocrazia sciita e l’intristito e malato Reza Pahlevi sarebbe andato a morire in Egitto. Distrazione? Inadeguata copertura informativa? O miopia prospettica?

     Tralasciando una serie d’interventi di vario genere, dalla Repubblica Dominicana, a Granada, Panama e Somalia, anche Saddam Hussein, con la sua non del tutto illogica ma certo suicida invasione del Kuwait, fece un regalo agli USA, che promossero la prima parte della liquidazione del regime iracheno durante la Guerra del Golfo. La seconda parte, orchestrata dal binomio Bush-Cheney e giustificata dalla supposta esistenza di armi di distruzione di massa (mai trovate), costò il collo a Saddam e fornì inquantificabili profitti alla tentacolare e disinvolta multinazionale Halliburton, in cui non solo Cheney ma anche membri della famiglia Bush ricoprirono incarichi direttivi in vari periodi. I sanguinolenti risultati dell’intervento di democratizzazione e pacificazione sono sotto gli occhi di tutti: le faide tribali e gli scontri fra sunniti e sciiti non conoscono tregua. C’è da credere che Saddam Hussein si rivolti quotidianamente nella tomba, di fronte al micidiale caos settario che da allora sconvolge l’Iraq.

     Dopo ulteriori operazioni di “salvataggio e pulizia” in Europa orientale, la cui demenziale balcanizzazione è avvenuta anche grazie all’insipienza europea, arriviamo al misterioso interesse e fervore per l’Afganistan, che fin dai tempi dell’Impero britannico costituì un irrimediabile mal di testa. Ironicamente, quando i Sovietici ancora si trovavano in Afghanistan, Stallone interpretò un film dove aiutava i…Talebani a liberarsi del giogo russo! A parte l’aiuto cinematografico di Stallone, i Talebani ricevettero sotto banco dagli USA reali sostegni e assistenza militare. Oggi, essi sono diventati il nemico da debellare.

      La monotonia di questa rassegna ha dovuto tralasciare il micidiale (ma anche pieno di zone d’ombra) attacco terroristico alle torri gemelle, che avrebbe scatenato la rabbia vendicatrice americana in Iraq.

      Nel 2011 il crollo del quarantennale regime dell’imprevedibile e esibizionista Colonello Gheddafi avvenne in buona parte dietro ispirazione e sostegno americani. Il personaggio, al pari di Saddam Hussein, non era né particolarmente intelligente né uno stinco di santo ma, al pari di quest’ultimo, era riuscito a contenere faide e disordini latenti, sia pure con metodi brutali. Anche nel suo caso, la gigantesca struttura dei servizi d’informazione americani non fu capace di prevedere o di arginare il successivo caos settario che tuttora sconvolge la Libia e, quello che è più clamoroso, neanche la morte del console a Bengasi.

     Il morboso interesse per l’attuale pasticcio ucraino – ma già dai tempi del Granducato di Lituania, che comprendeva l’odierna Lituania, Ucraina, Bielorussia e parti di Polonia, esisteva in quelle regioni una confusione geopolitica, linguistica, religiosa e razziale ancora più schizofrenica – e in particolare le isteriche reazioni per la secessione della Crimea e le spinte separatiste nell’Ucraina orientale, come al solito stimolate dai media, hanno fatto inoltre passare in secondo piano un fenomeno di gran lunga più destabilizzante e irto di pericoli a livello planetario: la nascita e successivo ingrandirsi dell’auto-dichiaratosi Stato Islamico  fra Siria e Iraq. In altre parole, il presidente Obama ha ritenuto di doversi recare in Estonia, col chiaro scopo di ammonire implicitamente i Russi, rubando quindi tempo ed energie a ciò che dovrebbe costituire la sua più importante preoccupazione, e cioè, come debellare l’ultimo delirante frutto del fondamentalismo islamico, frutto per il quale egli, non molti giorni fa, ha ammesso candidamente che “we don’t have a strategy yet”.

     Non si può che rimanere ammirati per le capacità di globe-trotter dell’attuale segretario di stato americano John Kerry, capacità che indurrebbero a pensare che effettivamente gli USA sono in grado di controllare e prevenire le situazioni pericolose. In realtà, nonostante la vorticosa presenza di quest’ultimo in Iraq, Afghanistan e altri Paesi, stranamente, i servizi americani, onnipresenti e dotati d’inaudite risorse finanziarie, non si sono resi conto del fino a che punto il rampollo iracheno di al-Qa’ida, alternativamente chiamato ISI o ISIS, si sia nel frattempo sempre più rafforzato fino al punto da occupare una significativa porzione del nord Iraq e della Siria. La cosa ironica è che il suo attuale leader, Abu Bakr al-Baghdadi, responsabile di molteplici attacchi terroristici a Baghdad e in altre città, sia stato detenuto dagli Americani per almeno tutto il 2004 ma poi scarcerato…

     Sorpresa dal precipitare degli avvenimenti, l’amministrazione americana ha dovuto autorizzare perlomeno un intervento dall’alto – bombardamenti aerei – appoggiata in ciò da una serie di alleati del vicinato arabo più o meno lontano, mentre è stato lasciato ai Curdi, che lì son di casa, l’ingrato compito di arginare sul campo l’esercito del sedicente Stato Islamico. Dopo aver scatenato e gestito per anni una guerra del golfo e un’invasione militare in un Iraq dove Saddam Hussein mai avrebbe tollerato rigurgiti fondamentalisti, pretendendo che lo facciano i Turchi, i quali, ovviamente, rifiutano, dichiarandosi disposti ad inviare truppe, se anche gli altri lo fanno…

      Questo quadro sconfortante è inoltre offuscato da curiose ombre, ovvero, il silenzio totale di Bashir Assad sulle operazioni ai suoi confini nord, e da incomprensibili silenzi su un fatto assai banale: chi fornisce aiuti e armi allo Stato Islamico? Allo stesso modo, ben poco si sente sulla strana capacità di Hamas e dei guerriglieri palestinesi di essere sempre abbondantemente riforniti di armi spesso sofisticate. Se sono sempre riforniti dai Russi e dagli Iraniani, i servizi segreti americani dovrebbero saperlo e strombazzarlo a ogni pié sospinto E tuttavia su tale argomento grava una cortina fumogena. Pur in mancanza di prove specifiche, è assai probabile che gli Stati ricchi del Golfo e della Penisola Araba abbiano per anni dovuto destreggiarsi, fornendo sotto banco aiuti di vario genere, forniture militari comprese, ai più poveri ma riottosi cugini e confratelli di fede, se non altro per dormire essi stessi più tranquilli. Esiste comunque una ferrea alleanza americana con gli Stati arabi del Golfo e in particolare con l’Arabia saudita. Tenendo conto che in quest’ultima vige uno dei regimi più oscurantisti e intolleranti del mondo arabo, la relazione di stretta alleanza degli USA con quest’ultima è a dir poco scandalosa.

     L’aggettivo non viene scalfito da eventuali trite e furbesche osservazioni circa la real-politik, gli interessi petroliferi e la necessità di alleanze strategiche nella regione. Come abbiamo detto in precedenza, gli USA hanno un colossale svantaggio d’immagine: la loro arma ideologica servita in tutte le salse sono la democrazia, i diritti umani e la libertà individuale. E’ questo loro ritornello che, assieme a quello così spesso invocato da ogni presidente – la protezione del popolo americano – fa da specchio scomodo alla loro politica estera. I conti non tornano. E in quanto alla protezione, raramente nella storia universale una nazione è stata più naturalmente protetta dalla geografia degli USA, con ben due oceani alle loro coste, un Canada cugino di sangue e gli innocui vassalli sud-americani.

      Fra l’altro, dulcis in fundo, salvo la parentesi somala, gli USA non hanno mai mostrato troppe preoccupazioni o desiderio d’intervenire in un continente come quello africano, dove genocidi e terribili stragi intestine avrebbero potuto attirare un patrono amante della democrazia. Ironicamente o simbolicamente, quest’Africa in buona parte così negletta, ma le cui risorse vengono coscienziosamente sfruttate, sembra ora proiettare per vendetta le sue subdole germinazioni epidemiche (Ebola), che sono arrivate fino al Texas. Ma ritorniamo al nostro argomento e alla differenza rispetto ad altri Imperi richiamata all’inizio.

      Perché cioè gli USA non riescono a tradurre la loro politica estera in quella che per lunghi periodi del passato corrispose alla Pax Romana e a quella Britannica? Lo sviluppo del turismo di gregge (eufemisticamente chiamato “di gruppo”) non deve trarre in inganno: oggi, molti dei luoghi più pittoreschi del pianeta sono insicuri e pericolosi per il viaggiatore. Vaste parti del nord Africa, Etiopia, Africa orientale,  Medio Oriente, Nepal, Bhutan, Birmania, Sud-est asiatico, per citare solo alcuni luoghi, sono o inaccessibili o comunque non consigliabili al viaggiatore solitario. Altri sono in ogni caso inaccessibili in generale. Non è sempre stato così. Prima che una ragguardevole porzione del pianeta venissero frettolosamente e incautamente de-colonizzata, era facile o molto più facile avventurarsi in luoghi deserti e selvaggi con buone probabilità di ritornare vivi a casa propria. Quel “prima” corrisponde appunto ai tempi dell’Impero Britannico. Ai tempi dell’Impero Americano, ciò non accade, e i popoli “liberati” si scannano come mai era accaduto durante il loro passato coloniale.

      Ricapitolando, gli USA continuano ad interpretare il proprio ruolo come quello del missionario, che nessuno ha chiamato, ma che comunque si ritiene in dovere di andare a convertire i pagani. Significativo, a questo proposito, che anche il libro di memorie dell’ex- presidente Eisenhower fosse intitolato  Crusade in Europe. Tutto questo spirito missionario non è coronato dagli attesi successi. Quasi sempre, ovunque gli USA si sono intromessi, i risultati sono stati disastrosi.

      Certo, il diffuso vezzo per le teorie della cospirazione, l’inclinazione dei romanzieri o il pontificare degli storici lascerebbero spazio a interpretazioni più fantasiose, benevole o sofisticate. Ma al di là dei logori divide et impera o della responsabilità delle multinazionali americane, che ficcano anch’esse il naso ovunque ci sia qualche attività da esercitare con profitto, la sconcertante serie di insuccessi e fallimenti americani e i risultanti caos sono interpretabili in modo più prosaico ma non per questo meno attendibile.

       Paradossalmente, la geopolitica agisce anche al di là degli oceani o proprio a causa di essi…Non bastano le prestigiose università, i centri di ricerca, le ricchissime librerie disseminate in tutta l’America per compensare  la distanza fisica, psicologica, sociale e storica di questa nazione dal continente europeo, per non parlare del Medio Oriente o dell’Asia. Sarà un melting-pot di razze, lingue e culture, ma non ha mai conosciuto invasioni, migrazioni, pesti nere, spostamenti di confini, infiltrazioni secolari, millenarie espansioni. Per quanto gigantesco come continente, in realtà, esso presenta molte delle caratteristiche tipiche delle isole, in particolare, l’anemia psicologica dell’isolamento. La Gran Bretagna, anch’essa isola per definizione, sormontò tale latente anemia con le sue flotte e le sue secolari attività commerciali sotto tutte le latitudini, le due cose che mancano o sono mancate nell’evoluzione storica degli USA.

      A differenza degli Olandesi, Inglesi e Francesi, che per secoli, a parte l’attività in proprio di commercianti e imprenditori, mantennero personale civile oltre che militare nei territori coloniali da essi posseduti e amministrati, l’unico tipo di presenza civile stabile americana di controllo e osservazione all’estero sembrano essere le più o meno vaghe e aleatorie e comunque recentissime unità operative della Cia.  Gli USA, insomma, non solo sono fisicamente lontani dai luoghi dove poi intervengono, ma non ne hanno una consolidata e secolare percezione, familiarità, sensibilità.

      Ridondante di studiosi (ma da tavolino) di tutte le culture, lingue società, all’atto pratico il gigante americano si muove con la scaltrezza e sinuosità di un elefante, anziché col passo felpato e leggero che in varie occasioni storiche mostrarono i governanti cinesi, bizantini o inglesi, il cui ricorso alla forza era ridotto al minimo e sostituito da interventi meno clamorosi ma non meno efficaci. Un esempio di ciò è l’attuale penetrazione globale del commercio e dei manufatti cinesi, che hanno invaso non solo l’Europa ma anche l’Africa, e tutto ciò, senza colpo ferire.

      Le risorse, energie e capacità degli USA meriterebbero di essere spese in modo più proficuo ed efficace per diminuire anziché aumentare le tensioni e i conflitti. Finché tuttavia essi – ma sarebbe meglio dire coloro che detengono in America le leve del potere - continueranno a ritenersi un indispensabile e non richiesto gendarme planetario, il rischio è che continuino a commettere gli stessi errori, cosa che rende sempre più auspicabili, oltre che necessari, la crescita o il ripristino di altri poli di contenimento e confronto. La dinamica politica mondiale ne risulterebbe più avvantaggiata e più equilibrata. Quando la succube Europa minaccia ulteriori ritorsioni nei confronti di un Putin, che è un santo rispetto a Stalin e agli altri leader sovietici, non si rende conto che sta lottando contro i mulini a vento. La Nato aveva un senso al tempo del Patto di Varsavia. Ingrandirla e potenziarla contribuisce a mantenere in vita scenari da tempo dissolti. I tradizionali interessi della Russia, che non bisogna confondere con l’Unione Sovietica, sono a oriente, e non a ovest. Il neo eletto presidente ucraino Poroshenko, che come uomo d’affari sarà anche abile, non sembra tuttavia comprendere come la sua pretesa di entrare a far parte della Nato contribuisca ad alimentare i sospetti russi di un accerchiamento non precisamente pacifico. Quando poi lo stesso viene appunto ricevuto e sostenuto a Washington, perché stupirsi degli irrigidimenti russi?

      Marxismo e comunismo furono una disgrazia che durò decenni e infettò molte nazioni - in rosso o in rosa, ma sempre le infettò - come avvenne nella Spagna degli anni ’30, nella Grecia degli anni 40, nel sud-est asiatico fino quasi a oggi e nell’Italia degli anni ’60, per non parlare dell’annosa epidemia in tutta l’Europa orientale. Tutto questo è noto, ma è altrettanto noto ed evidente come il comunismo come ideologia, a parte alcuni fossili destinati all’estinzione – vedi, per esempio, il regime cubano o il partito comunista greco - o all’eliminazione da parte di un infastidito vicino - vedi la Corea del nord - è morto e sepolto e ripudiato dai suoi stessi iniziali fondatori o sostenitori, come sono appunto i Russi e i Cinesi. Con tutte le sue pecche ed eccessi, il capitalismo è un fenomeno più naturale dell’economia di stato, fantasticata solo da Marx e Platone, mai esistita e che di per sé presuppone un regime totalitario per poter essere applicata.

      Ritornando alle ingerenze euro-americane in Ucraina, rivelatrici di malcelati e antichi timori nei confronti della Russia, che si trascinano dai tempi di..Napoleone, dietro le attuali sedicenti preoccupazioni per l’indipendenza degli Ucraini si celano in realtà intenzioni più pratiche: indebolire il fianco occidentale della Russia e assicurarsi un solido e spesso cuscinetto. Auto-protezione o piattaforma di attacco? Quando mai gli USA e l’Europa si stancheranno di questi vecchiumi?

      I veri nemici sono altrove, e fra di essi primeggia la peste del fondamentalismo islamico, che si sta infiltrando ovunque.  Ma ad esso si aggiungono l’inesorabile spinta demografica dei derelitti che premono ad occidente, con o senza barconi; il dilagante appiattimento e intorpidimento mentali abilmente coltivati da personaggi come il fondatore di Facebook, di gran lunga più subdolo di tutte le quasi tenere immaginazioni del romanzo di Orwell; l’inquinamento atmosferico….Dobbiamo aggiungervi altro? Tutto ciò già basta e avanza, ma Europei e Americani si esercitano con i vecchiumi del passato.  

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Raccapriccianti le scene di tortura dei fondamentalisti islamici

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I guerrieri dell’Isis hanno avuto l’idea perversa - probabilmente spinti da un istinto antistorico di grande forza - di tornare alla rappresentazione pubblica della tortura. Perché di supplizio si tratta, e non solo di morte. L’umiliazione del nemico, il ridurlo a un simbolo, togliendogli ogni dignità e identità umana, fa parte di una calcolata messa in scena, di uno spettacolo che vuole essere esemplare ma che, una volta spogliata della sua innocenza storica, diventa solo oscena. Certamente però tocca il lato morboso del voyerismo telematico. C’è molta astuzia strategica, nel combinare il massimo dell’arcaismo col massimo del modernismo. Così Dacia Maraini sul Corriere della Sera.

Il mondo moderno è ripiombato in pieno medioevo

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Onu dove sei?

Il mondo è in fiamme e le Nazioni Unite hanno dato forfait. Focolai di guerra un po’ dovunque e i leader dei cinque continenti si baloccano le responsabilità e le situazioni belligeranti esplodono a due passi da casa nostra: in Ucraina, nel nord dell’Iraq con le prepotenze dell’Isis, nel medioriente con la lunga battaglia a Gaza tra i palestinesi di Hamas e gli israeliani di Benjamin Netanyahu che ha seminato migliaia di morti, tra cui moltissimi bambini. L’impressione è che ci si stia arroccando intorno alle proprie mura di casa, sottolineando i problemi di un’economia che ha smesso di crescere e cha da oggi riguarda anche la Germania. Segno che le ricette messe in campo hanno clamorosamente fallito e che occorre cambiare passo e direzione di marcia. Nemmeno tanto subdolo

La crescita del pil di un paese è un fatto sicuramente importante, perché significa che c’è lavoro, produzione e consumi. Ma un occhio di riguardo i grandi della Terra dovrebbero riservarlo anche a quel che accade in altri angoli del pianeta. Se l’Onu e la Nato fossero delle organizzazioni che hanno a cuore le sorti dei popoli, non ci sarebbe stato un Vladimir Putin che avrebbe favorito la secessione nella penisola di Crimea, a tutti gli effetti regione dell’Ucraina, uno stato indipendente e sovrano. E’ strano che il presidente degli Stati Uniti sia rimasto silente sulle gravissime mosse dell’uomo del Cremlino. Il quale sta cercando in modo nemmeno tanto subdolo di favorire la disgregazione dell’Ucraina, con la pretese della creazione di un altro stato satellite di Mosca. Del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite meglio non parlare. E’ tristemente assente. A questo punto sarebbe preferibile che venisse cancellato con un tratto di penna e le risorse assegnate agli stati che ne hanno un vitale bisogno (Iraq, Palestina, Libia, Siria, Ucraina, ecc.). Così come sarebbe ora che le seconda sede dell’Unione Europea (Strasburgo) venisse definitivamente abolita, perché costosa e inutile. Con tante grazie ai francesi di Hollande. Lo stesso potrebbe affermarsi per quel che è e che fa la Nato.

Per quel che riguarda le economie dei vari paesi, sarebbe opportuno che venisse preparata una nuova Bretton Woods. Il problema è che i leader in circolazione non sembrano all’altezza di un compito così gravoso. Ma se si vuole salvare il pianeta dalla deflagrazione occorre che i media di tutto il mondo spingano nella direzione di acconciare delle politiche di unione (economica, sociale, militare, ecc.) e non di disunione. Così come sta accadendo da troppi anni a questa parte.

Onu, dove sei? Nato, dove sei? Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che fate? Il mondo è in fiamme e voi continuate a stare seduti nelle vostre supercomode (e super pagate) poltrone. Agite, prima che sia troppo tardi.

Marco Ilapi

http://www.echeion.it/wp-content/themes/Echeion/images/bg-pattern.png); background-attachment: initial; background-size: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-position: initial; background-repeat: repeat;">                          Caro Onu, ma dove sei?    

L’estate del 2014 verrà molto probabilmente ricordata come una delle più turbolente, viste le preoccupanti evoluzioni a livello di politica e sicurezza internazionali. Il riaccendersi, qualche mese fa, del devastante conflitto arabo-israeliano nella già triste e martoriata striscia di Gaza e l’insieme degli avvenimenti che in questi ultimi giorni scuotono i territori e le popolazioni dell’Iraq,hanno infatti generato un clima di forte instabilità e tensione, mettendo a dura prova i già fragili e vacillanti equilibri presenti in alcune parti del mondo. E mentre si diffondono indiscrezioni circa possibili interventi diretti (di diverso genere) da parte di singole autorità nazionali, specie nei territori iracheni, sarebbe legittimo chiedersi dove sia e cosa faccia l’Onu, ovvero una forte autorità sovranazionale, di fronte a simili situazioni.

La nascita delle Nazioni Unite, avvenuta nell’ottobre del 1945, fu essenzialmente determinata dal desiderio di conseguire l’obiettivo, tutt’oggi valido, di mantenere la pace e la sicurezza a livello mondiale. Al riguardo, l’articolo 1 della stessa Carta Onu smentisce ogni dubbio: si legge esplicitamente che compito dell’organizzazione è «prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace». Parole queste che, se fossero tradotte alla lettera, potrebbero consentire realisticamente la fine di quelle stesse violenze e aggressioni sparse oggi nel mondo, ma che non riescono a trovare una effettiva applicazione per il prevalere di altri interessi e posizioni.

Sia i recenti eventi palestinesi, sia quelli iracheni hanno visto le Nazioni Unite fino ad ora – e quasi sicuramente anche nel prossimo futuro – limitarsi apronunciare soltanto semplici condanne contro i vari atti di aggressione inscenati. Agli appelli e alle dichiarazioni del Segretario generale, Ban Ki-Moon, pur nobili e di valore con espressioni del tipo: «In nome dell’Umanità, la violenza deve interrompersi!», non hanno fatto cioè seguito precisi, seri ed eventualmente diretti impegni, bensì solo una drammatica impotenza e un triste silenzio.Episodi simili dovrebbero essere affrontati, invece, alla stregua del Diritto Internazionale e delle disposizioni Onu, applicando quindi concretamente i provvedimenti e le soluzioni da esso appositamente previste.

 

Le Nazioni Unite, insomma, hanno il dovere certamente giuridico e morale di intervenire e ciò va consentito, almeno in questi gravi casi, eliminando tutti gli esistenti ostacoli, a cominciare da quel bloccante diritto di veto esercitato da alcuni Paesi in seno al Consiglio di sicurezza. Quella pace e quella sicurezza tanto ricercate e predicate non possono essere né interrotte da fanatiche imprese e smanie di potere di alcuni, né assicurate o disposte da singoli “big” in via esclusiva. Poiché esse sono, e devono rimanere, diritto e pretesa di tutti.

Loris Guzzetti

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