Renzi, la sconfitta alle amministrative fa ancora male

Ennesima batosta per il segretario del partito democratico alle elezioni amministrative. La lunga luna di miele del renzismo sembra definitivamente al tramonto. Il 40% dei consensi al rottamatore di Rignano sull’Arno nella primavera del 2014 alle europee è evaporato come neve al sole. Già le avvisaglie alle comunali dello scorso anno (con Torino e Roma regalate su un vassoio d’argento ai Cinquestelle) ci sono state e, la conferma drammatica che le politiche intraprese dal governo a guida Matteo Renzi non erano in perfetta sintonia con quello che sarebbe il sentiment del popolo democratico lo si è constatato in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. A parte che un’altra batosta l’esecutivo l’avrebbe presa anche sul referendum anti-trivelle se fosse stato raggiunto il quorum, perché chi è andato a votare ha votato contro le indicazioni della maggioranza. Altri 300 milioni di euro buttati via.  Nessuno che chieda conto di questi (ed altri incredibili) sprechi di pubblico denaro. E alla spending review si mette la sordina. Ancora una volta. Si urlacchia che le amministrative sono andate male (per il Pd) a causa delle beghe interne al partito. Chi vuole sposarsi con  fuoriusciti dell’ala bersaniana-dalemiana, chi solamente vuol contrarre matrimonio civile con la corrente dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, chi (il segretario in testa) vuol realizzare dei programmi elettorali con disincanto con Forza Italia, presumendo, dando per scontato che l’Italia è come la Germania, che gli italiani sono come i tedeschi, tanto che si può varare una Grande Coalizione, così da condurre in porto politiche che accontentino tutti gli schieramenti politici, centro, destra e sinistra. Pur nella convinzione profonda che la quadratura del cerchio in questa bella Italia non è possibile. Per tutta una serie di ragioni.

Tema migranti

Tema urne deserte

Tema legge elettorale

Tema riforma della Costituzione

Tema coalizioni

Tema Europa

Tema lavoro

I provvedimenti adottati da Palazzo Chigi, piaccia o non piaccia, sono adottati tenendo conto dei desiderata di Matteo Renzi. Ad incominciare dalle varie caselle ministeriali destinate a signori (signore o signorine) fortemente volute dall’ex premier toscano. Nessuno può smentire questo, che è un fatto acquisito. Mi volete spiegare come mai c’è stata la conferma di alcuni ministri piuttosto poco graditi dall’opinione pubblica come Giuliano Poletti, Marianna Madia e Maria Elena Boschi? A parte che anche lo stesso Pier Carlo Padoan non è ha indovinata una. Già nello scorso 2016 il debito pubblico avrebbe dovuto segnare una sensibile discesa, il che non si è verificato e non per colpa del Padreterno ma per le scelte infelici che non hanno dato i risultati auspicati, del governo a guida Renzi. Si ricorda lo scempio degli 80 euro distribuiti a pioggia ai lavoratori dipendenti che avevano un busta paga tra gli 8 mila ed i 25 mila euro annui.  Costo per un’enormità. Vantaggi per il Belpaese, nessuno. Ma poi, perché chi, un anno dopo, vedeva la sua busta paga scendere al di sotto della soglia degli 8 mila euro, era obbligato alla restituzione di quegli 80 euro? Così è successo e centinaia di miglia di persone si son trovate in ulteriore difficoltà. Una legge sbagliata, ingiusta e penalizzante. Così per i 500 euro ai diciottenni. Il cosiddetto bonus cultura. Per non parlare del jobs act e l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori Un regalo grande come una casa al centrodestra. Una mannaia per i lavoratori del settore privato. Renzi ha creato lavoratori di serie A e lavoratori d serie B. Per non parlare

Le scelte di Palazzo Chigi sono decise in un paesotto della Toscana. Rignano sull’Arno. L’inquilino capo del governo, Paolo Gentiloni, è in modo palese teleguidato da Matteo Renzi, il quale ultimo in ogni caso scalpita perché desidera riprendersi la poltrona che considera sua di diritto, tant’è che pensava di portare il Paese alle urne in piena estate, suscitando l’ilarità dell’Italia tutta: già una minoranza degli elettori ormai frequenta i seggi (si considerino le votazioni alle amministrative dello scorso anno con la netta flessione di elettori in regioni come l’Emilia Romagna, tradizionalmente rosse e ad alto tasso di partecipazione nelle elezioni, ma anche quelle del 2017), figuratevi cosa poteva accadere se alle politiche fossimo chiamati a votare a ferragosto! Per fortuna,  saltato l‘accordo tra i partiti maggiori (colpa Pd? Colpa M5S? Chissà?!), alle urne si andrà probabilmente a maggio del prossimo anno.

Migranti. Ci vuole un colpo di reni da parte della maggioranza. L’Ue occorre metterla davanti al fatto compiuto. L’Italia non è in grado di sostenere un afflusso di migranti superiore a quello dello scorso anno. Chiudere i porti di approdo nazionali alle navi delle Ong straniere sembra indilazionabile. L’Europa risponderà e sarà costretta a prendersi le sue responsabilità. Se in due giorni sbarcheranno nei nostri porti 12 mila migranti, significa che la potenzialità di crescita è di centinaia di migliaia di nuovi ospiti nelle strutture di accoglienza predisposte dal ministro Minniti. Se poi si pensa che centri come il Cara di Mineo sano la soluzione ottimale per risolvere il problema che ci trascineremo per decenni                                

Marco Ilapi, 28 luglio 2017

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Amministrative, la disfatta di Renzi

Matteo Renzi non ride più. La sconfitta nei ballottaggi brucia. Tanto. L’effetto rottamazione è già svanito. Per quanto il premier si affanni a sostenere la sua story telling, ovvero la sua narrativa fatta di slide e promesse (non mantenute, ndr), l’effetto boomerang, per lo meno su Torino e Roma si è verificato. Roma era persa dai tempi di Ignazio Marino, cacciato via dal Campidoglio in maniera stramba: il premier ha chiesto un aiutino ad un notaio compassionevole, altrimenti la situazione si sarebbe ingarbugliata sempre più. L’onesto Roberto Giachetti ha dovuto soccombere di fronte all’astro nascente del M5S Virginia Raggi. Più dolorosa la disfatta piemontese, laddove Piero Fassino era accreditato di avere fatto, durante la sua permanenza nella Sala Rossa di Torino, cose egregie. Non è bastato. La giovanissima bocconiana Chiara Appendino ha rovesciato il tavolo del primo turno elettorale, recuperando ben 11 punti e superando  Fassino di un buon margine di consensi. I torinesi hanno detto “basta” a 23 anni di governo della città sabauda da parte di uno straripante ma vecchio e ormai logoro partito democratico. In particolare nelle dimenticate periferie, laddove il disagio sociale è maggiormente avvertito. A mio avviso non ha vinto il M5S né a Torino né a Roma. Ha semplicemente perso il partito della nazione sognato al premier. Quindi ha perso Renzi. Poche chiacchiere. Se poi Matteo continua a sostenere che ha rottamato poco significa che il ragazzotto di Rignano sull’Arno non ha proprio compreso le ragioni della disfatta del suo partito. Che prelude al capitombolo sul voto referendario di ottobre. Le truppe antirenziane (dentro e fuori il Pd) prenderanno slancio giusto dall’esito di queste amministrative. Che è stato  cospargere il sale sulle ferite del partito democratico. Renzi non può onestamente accusare Piero Fassino di non avere  detto con chiarezza il perché il Pd non ha vinto al primo turno: il disagio sociale, nonostante le promesse renziane, in questi ultimi anni è cresciuto, la città era come bloccata ai nastri di partenza, la Fiat se ne è andata via a Detroit, lasciando sul terreno un po’ di macerie che illustri politologi non hanno avvertito. Scontata era ritenuta la conferma dell’ex segretario Fassino nella Sala Rossa sabauda. Invece la Appendino ha mandato  a carte quarantotto le aspettative dei democratici. Questo dopo 23 anni di regno ininterrotto, passato da Novelli a Castellani a Chiamparino e Fassino.

Marco Ilapi, 1 luglio 2016

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Amministrative, il Pd ha vinto o perso?

Matteo Renzi ha finto di ammettere la sconfitta, salvo poi sparare che quasi ovunque il Pd è sopra il 40%. Matteo: de che? Dove? Quando? Forse nella sua testa o alla Playstation. Il Pd non raggiunge quasi mai il 40%, anche perché si vergogna così tanto di essere Pd da presentarsi quasi sempre sotto mentite spoglie: liste civiche, nomi fantasiosi. Tutto pur di vivere in clandestinità. Il simbolo Pd c’era solo 130 volte su più di 1300 Comuni: l’11% circa. Una miseria. Persino meno del M5S, che come noto si presenta da solo, con il suo simbolo e non certo ovunque: più o meno in 250 Comuni. Pochi. Il commento di Andrea Scanzi su il Fatto Quotidiano.

Amministrative, le bugie del premier

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